Faenza, Seminario Tre Sere Catechisti, 30 settembre 2024.
La Chiesa oggi, e i catechisti per conseguenza, devono fare i conti con una società fortemente secolarizzata, sempre più lontana dalle radici cristiane, dall’esperienza viva di Gesù Cristo. Non si può presupporre, in un contesto sempre più indifferente nei confronti di Dio, che i propri destinatari siano persone che già amano con convinzione, e con la propria vita, Gesù il Signore. Al più ne mostrano una qualche nozione, un attaccamento con radici poco profonde. Il terreno su cui i catechisti spesso sono chiamati a gettare il seme della Parola fatta carne è molto simile al terreno sassoso o ricoperto di rovi e spine della parabola evangelica narrata da Gesù (cf ad es. Mt 13, 1-23). Pertanto, essi devono sempre meno praticare una catechesi semplicemente nozionistica, che si limita a dire chi è Gesù Cristo, la Chiesa, ma non è sufficiente a condurre ad incontrarli e ad amarli, a viverli. Occorre, pertanto, che i catechisti e le catechiste spendano le proprie energie pastorali – energie di intelligenza e di cuore, energie pedagogiche, supportate da conoscenza esperienziale di fede, da empatia – in un accompagnamento costante e paziente dei ragazzi e dei giovani, affinché questi stessi sperimentino sempre più una vita comunitaria e parrocchiale ove ci si ama, ci si aiuta a fare di Cristo il centro della propria esistenza, a provare il piacere spirituale di essere popolo, famiglia di Dio. I catechisti, educatori alla fede, sono chiamati a far sì che la preghiera, l’ascolto della Parola, l’adorazione, i ritiri, le molteplici iniziative formative portino i ragazzi e i giovani più esplicitamente all’incontro con il Signore, non tanto alla partecipazione del singolo evento. I vari momenti a cui partecipano i ragazzi e i giovani debbono, allora, essere pensati e organizzati in modo che li conducano non solo a conoscere – cosa importante, ovviamente: non si ama chi non si conosce – ma soprattutto ad amare il Signore, a donarsi a Lui, alla Chiesa! Cristo deve essere riconosciuto come Colui che è più intimo a loro di quanto non lo siano a loro stessi.
È da vedere, senza forse, la diminuzione delle vocazioni, come anche la rarefazione delle presenze dei giovani in chiesa, ma anche l’esistenza di minoranze sempre più esigue, proprio nella carenza di un amore sincero ed intimo nei confronti del Signore Gesù. Evidentemente non bisogna scoraggiarsi perché, quando sperimentiamo la desolazione, sempre dobbiamo chiederci quale messaggio il Signore ci vuole comunicare. Si è passati, ha sottolineato papa Francesco nel suo ultimo viaggio pastorale in Belgio, da un cristianesimo sistemato in una cornice sociale ospitale a un cristianesimo ‘di minoranza’ o, meglio, di testimonianza. E questo richiede il coraggio di una conversione ecclesiale, per avviare quelle trasformazioni pastorali che riguardano anche le consuetudini, i modelli, i linguaggi della fede, perché siano realmente a servizio dell’evangelizzazione.
Di questo il sottoscritto ha parlato nell’incontro con il presbiterio all’inizio del nuovo anno pastorale. Ecco quanto ho detto: «Il cristianesimo e la cultura da esso generata non costituiscono più un presupposto ovvio del vivere comune, della società, delle famiglie, delle associazioni ecclesiali e di ispirazione cristiana. Anzi, vengono spesso negati, emarginati, sminuiti. Molti cristiani non posseggono più l’alfabeto della fede che si nutre e si esprime mediante la liturgia. Non pochi battezzati sembrano essere caratterizzati da un certo analfabetismo religioso.
Per essere più precisi è opportuno dire che ciò non implica la fine del cristianesimo in sé ma di una sua concretizzazione storica. Ci si trova, in definitiva, di fronte ad un compito non piccolo, quello di vivere il cristianesimo in un nuovo contesto socioculturale, più povero di una visione dell’uomo e della storia in sintonia con il Vangelo, richiedente nuove modalità di evangelizzazione, una nuova generatività sul piano della fede stessa, della missionarietà, della catechesi, della cultura. Dobbiamo impegnarci nel difficile compito dell’ascolto e del dialogo aperto con queste visioni, a volte lontane dal Vangelo, per trovare nelle persone, giovani e adulti, quelle aperture, quelle domande e quei desideri insopprimibili di qualche cosa di più alto, attraverso i quali far giungere ancora il messaggio di Cristo. Quella che stiamo vivendo non è semplicemente un’epoca di cambiamenti, ma è un cambiamento di epoca. Siamo in uno di quei momenti nei quali i cambiamenti non sono più lineari, bensì epocali; sollecitano delle scelte che trasformano velocemente il modo di vivere, di relazionarsi, di comunicare ed elaborare il pensiero, di rapportarsi tra le generazioni umane e di comprendere e di vivere la fede e la stessa scienza.
Occorre ripensare le grandi vie dell’evangelizzazione della cultura e dell’inculturazione del Vangelo, che rappresentano due dinamismi pastorali che vanno sempre insieme. Tutto ciò richiede il continuo ripensamento dell’annuncio, della catechesi, dell’educazione, della formazione dei credenti, della liturgia, della carità. Occorre condurre per mano, con pazienza, i fedeli nell’esperienza cristiana esistenziale dei misteri della salvezza, affinché essi vivano una profonda unità tra fede e vita. L’alternativa è rappresentata da quelle nefaste separazioni che vanificano la totalità dell’incarnazione di Cristo. La redenzione di Cristo risorto, noi lo sappiamo, permea tutte le dimensioni costitutive della persona.
Il patrimonio del Vangelo, della fede, della Tradizione rimane sempre valido ma necessita di essere attualizzato e reso accessibile agli uomini e alle donne di oggi, soprattutto ai giovani».
I ragazzi e i giovani oggi vanno, in particolare, introdotti in una fede incarnata, che si accresce mediante la sua continua sperimentazione: ossia una fede che non è separata dalla vita, bensì che si struttura nelle persone mediante le buone pratiche animate dalla carità di Cristo. La fede senza le opere – ha insegnato san Giacomo – è morta.
Per aiutare i ragazzi e i giovani a superare la separazione della fede dalla vita è fondamentale per i catechisti l’approfondimento della dimensione sociale della fede, nonché l’assunzione nella catechesi dell’insegnamento sociale della Chiesa. Il connubio tra catechesi e insegnamento sociale della Chiesa è connaturale perché entrambe si radicano nell’esperienza della fede cristiana, una fede incarnata ed integrale, ovvero concernente tutta la persona, nel volume totale del suo essere.
Una catechesi che non valorizzi adeguatamente l’insegnamento sociale della Chiesa si priva di uno strumento privilegiato per l’inculturazione della fede nell’ambito sociale; perde, per conseguenza, un mezzo importante nella formazione di personalità mature; depaupera e svigorisce la propria dimensione prassica e liberatrice. In altre parole, la catechesi senza l’elemento essenziale dell’insegnamento sociale diviene meno commisurata alle sfide dei segni dei tempi, alla molteplicità delle dimensioni costitutive delle persone. La catechesi, che educa ad una vita spirituale incarnata, deve strutturarsi anche come catechesi sociale. Ossia una catechesi che educa a vivere la propria fede nella famiglia, nel mondo del lavoro, nell’economia, nella società politica, nelle comunicazioni sociali, nell’ecologia, nell’uso dell’intelligenza artificiale.
+ Mario Toso