[set 23] Intervento – Apertura Visita pastorale a Brisighella

23-09-2024

Cari fratelli e sorelle,

venendo in questa valle, dopo i giorni difficili in cui abbiamo vissuto una terza alluvione, non posso che ripetere quanto afferma Papa Francesco nell’Enciclica Laudato si’:

«Se “i deserti esteriori si moltiplicano nel mondo, perché i deserti interiori sono diventati così ampi”, la crisi ecologica è un appello a una profonda conversione interiore. Tuttavia dobbiamo anche riconoscere che alcuni cristiani impegnati e dediti alla preghiera, con il pretesto del realismo e della pragmaticità, spesso si fanno beffe delle preoccupazioni per l’ambiente. Altri sono passivi, non si decidono a cambiare le proprie abitudini e diventano incoerenti. Manca loro dunque una conversione ecologica, che comporta il lasciar emergere tutte le conseguenze dell’incontro con Gesù nelle relazioni con il mondo che li circonda. Vivere la vocazione di essere custodi dell’opera di Dio è parte essenziale di un’esistenza virtuosa, non costituisce qualcosa di opzionale e nemmeno un aspetto secondario dell’esperienza cristiana» (LS 217).

Conversione, non solo ecologica ma integrale, è la parola fondamentale che caratterizza il discepolo di Gesù Cristo. «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo» (Mc 1,15) è l’annuncio centrale di Gesù, la buona notizia che ha inaugurato con la Sua predicazione. Dio è vicino e noi possiamo orientare a Lui tutta la nostra vita. Dio non è troppo in alto, né troppo lontano da noi (cf. Dt 30, 11), ma richiede un cambiamento.
Ovvero, l’incontro con il Signore, se è un vero incontro, non può lasciarci come prima, cambia la nostra persona nella sua totalità. E questo si esprime in ogni campo della nostra vita: nelle relazioni in famiglia, nella comunità ecclesiale, fra noi, nelle relazioni sociali e con l’ambiente che ci circonda.
La conversione è integrale: comporta la sfera spirituale, la dimensione materiale, sociale, culturale, ecologica.
È questo il cambiamento che la realtà odierna ci sta mostrando come unica prospettiva: siamo chiamati ad una conversione integrale. Una tale conversione implica la costante unione fra fede e vita, il superamento della frattura fra di esse. Viviamo, infatti, in una società che non è più cristiana come prima, dove la fede non rappresenta più un presupposto del vivere comune.
A questo proposito, riporto alcune parole di don Giuseppe Dal Pozzo, già parroco di Taglio Corelli (Alfonsine), che mi hanno molto colpito:
“Veniamo come ricostruiti e ritemprati dalle prove che la situazione ci propone; nel cuore del mondo con il cuore di Cristo. Essere minoranza vuol dire credere senza vedere, lavorare senza raccogliere, sognare senza dormire, grandi ideali in piccoli progetti, leggere sotto le apparenze, entrare nelle profondità e coglierne le falde sorgive, programmare il possibile per preparare l’impossibile, il miracolo, interpretare sia i rumori, sia i silenzi come messaggi cifrati e mirati, perché io li raccolga e li capisca. Interiori come un eremita, esposti come un condottiero”.

Da questa introduzione, mentre vengo fra voi, viene spontaneo indicare alcune prospettive per il cammino futuro di questa comunità.

L’impegno per i giovani.
Stimolati in particolare dall’intervento di don Marco Fusi, responsabile della Pastorale giovanile dell’Arcidiocesi di Milano, alla “Tre giorni del clero”, è bene evidenziare due aspetti.
Il primo riguarda la centralità di Gesù, dell’annuncio del Vangelo, nei confronti dei giovani. Molte volte Gesù Cristo e la sua parola nuova di salvezza, sono come un’ombra che li accompagna, quasi un aspetto scomodo, sul quale non insistere molto con i giovani. A voi giovani presenti, invece, ripropongo la fede della Chiesa che non smette di annunciare che con Gesù Cristo la vita cambia, acquista significato e senso nuovi. Non abbiate paura dei cambiamenti che comporta seguire Gesù: Lui è esigente perché ci ama e perché ci vuole felici. Mentre ci chiede tutto, ci dona tutto e ci invita a farci dono per gli altri: ecco la chiave della felicità.
L’altro aspetto sul quale fermarci a riflettere è l’incapacità di stimolare una partecipazione sentita e costante alla vita parrocchiale che vada oltre l’evento momentaneo, sporadico. Le nostre attività non devono avere come fine il raggiungimento di grandi numeri: hanno come fine l’amore per Gesù Cristo, suscitarlo nelle persone, in modo che esse lo accolgano e si donino a Lui. Questo è l’unico criterio, l’unica prospettiva: non la quantità, ma la qualità delle nostre proposte. È importante non pensare all’evangelizzazione come a una serie di eventi discontinui, ma come ad un cammino integrante, costante, continuativo, con una direzione precisa, che è l’amore per Gesù Cristo e per il prossimo. Più volte durante le Visite pastorali ho avuto modo di ripetere che su questo punto – ossia la capacità di superare l’evento sporadico – si gioca la vera corresponsabilità nella comunità, che non è una semplice solidarietà di collaborazione. La vera corresponsabilità implica un vero senso di appartenenza profonda alla comunità, a Gesù Cristo. Prima dell’appartenenza alla comunità familiare, alla comunità civile, viene l’appartenenza a Gesù Cristo e alla sua Chiesa, il Popolo che lui raduna.

Il coinvolgimento dei laici.
Sul tema della corresponsabilità mi rivolgo ai tanti laici e laiche presenti che con generosità permettono lo svolgimento di tante iniziative nella parrocchia. Il calo delle vocazioni (al matrimonio, alla vita religiosa, al sacerdozio) ci spinge a riconsiderare il ruolo e i compiti dei parroci e di noi tutti, che siamo chiamati a vivere più comunità in un territorio sempre più ampio.
In questo scenario, è inevitabile stimolare, rispetto alla nostra situazione attuale, un maggiore coinvolgimento e valorizzazione dei laici (catechisti, educatori, volontari, ecc.) in tutti gli ambiti. Dobbiamo costruire insieme una parrocchia/comunità che non ruoti solo attorno a ciò che il parroco riesce a fare di persona, ma una comunità animata da molteplici ministeri. I gruppi ministeriali, che nella nostra Diocesi sono stati proposti da tempo e sono già realtà in alcune parrocchie, sono una prospettiva da valorizzare a servizio dell’unità e dell’annuncio del Vangelo.
Il parroco non può fare tutto, per questo sono importanti quegli strumenti di ascolto e di discernimento in chiave sinodale che sono i consigli pastorali e degli affari economici. Devono diventare sempre più l’organo di comunione, non di divisione, strumenti di coordinamento, dove ognuno di noi possa prendersi delle responsabilità in ordine all’annuncio del Vangelo, alla celebrazione dei Sacramenti e alla testimonianza della carità.

È, peraltro, fondamentale diminuire anche l’autoreferenzialità dei vari gruppi e associazioni, per riscoprire l’appartenenza all’unica comunità unita dall’Eucaristia. Deve essere chiaro che, come la parrocchia si inserisce in una Diocesi che costituisce una vera Chiesa locale sul territorio, così tutti i gruppi e tuti i ministeri di ogni genere e specie, devono trovare nella dimensione ecclesiale parrocchiale il contesto nel quale svolgere la propria missione.

Che l’amore di Cristo possa essere, davvero, la prospettiva per camminare insieme nell’unità, per sviluppare un coinvolgimento effettivo ed affettivo dei laici e delle laiche, per stimolare un rinnovato impegno vocazionale per i giovani e per il servizio nella società, nel mondo.