Sig. Sindaco di Faenza, Sig. Vicario Generale, Mons. Vittorio Santandrea Vicario del Vicariato Forese Est, cari fedeli, è questo un momento importante per le comunità cristiane di Granarolo e di sant’Andrea: l’ingresso del nuovo parroco don Claudio Platani. Incomincia così, una nuova tappa nell’accoglienza del Signore Gesù come Parola di Dio, nella celebrazione del mistero della sua morte e risurrezione, nell’annuncio e nella testimonianza di Lui tramite la carità, intesa non solo dal punto di vista assistenziale, ma soprattutto come esercizio di una vita nuova: e, quindi, una vita di amore fraterno e di servizio reciproco, di servizio agli altri, specie ai più poveri e al mondo. Mentre si procede all’avvicendamento del parroco, ognuno, ogni componente, singola o associata, è invitata a pensare ai principali compiti della propria comunità che non sono primariamente i vari servizi sociali, le attività ricreative, aggregative, considerati in se stessi e assolutizzati. Anche in questa occasione bisognerebbe pensare a tutto quello che, in ambito parrocchiale, è organizzato in vista dell’annuncio di Gesù Cristo, della comunione con Lui e tra le componenti, per essere nel territorio umanità trasfigurata, luminosa. L’avvicendamento dei parroci – profitto per ringraziare don Pier Paolo Nava per il suo prezioso servizio – è l’occasione per chiedersi se tutto quello che si compie in una parrocchia è orientato all’annuncio di Cristo o no. Alle volte si pensa alla propria parrocchia come ad un insieme di servizi che devono essere efficienti, ma si pensa poco se si è saldi nella fede, se tutto quello che si fa si muove a partire dalla fede ed è a servizio della crescita della fede delle persone, delle famiglie, degli ammalati. Ci si dovrebbe chiedere se la propria comunità sta bene specie dal punto di vista della fede; se ci si relaziona con spirito di comunione e non si è separati, preoccupati solo di coltivare il proprio orto, senza tener conto dell’insieme della vita pastorale della comunità. Ci si dovrebbe domandare se si è appassionati della propria comunità, considerata in relazione con le altre parrocchie vicine in unità pastorale e in relazione con la Diocesi, vivendo cioè la diocesanità, e non in un mondo a sé. Così, ci si dovrebbe domandare se nel tempo si cresce nella capacità di lavorare in gruppo e in armonia, attraverso il Consiglio pastorale, il Consiglio per gli affari economici, i referenti delle associazioni e dei movimenti. Bisognerebbe cioè domandarsi se tutti si cresce nel prendersi cura della comunità, se l’obiettivo è partecipare nell’esercizio della cura pastorale comunitaria affinché Cristo sia Tutto in tutti.
In questo contesto siamo, dunque, sollecitati più che a pensare a quello che vorremmo pretendere dal parroco, a fare un serio esame di coscienza per individuare ciò che dovremmo dare alla comunità, per superare le sue povertà. Oggi giustamente si è abituati a guardare alle «periferie» verso cui bisogna andare, ma non si guarda con coraggio e sincerità alle povertà che ci sono nella nostra vita comunitaria: maldicenza acuta, paralisi della comunione, campanilismi, divisioni, litigi inutili, attivismo ansiogeno, miopia pastorale. Bisogna guardare con verità alle malattie comunitarie che ci colpiscono, alla periferia che talvolta siamo noi. Bisogna vedere noi stessi come «periferia» che ha bisogno di cure, di carità misericordiosa, di rinascita nella stima vicendevole, nel portare i pesi gli uni degli altri, nell’essere pazienti verso le inevitabili fragilità, portando il balsamo del perdono, dell’amicizia, dell’accoglienza reciproca. Non dobbiamo nasconderci che nelle nostre relazioni abbiamo trasferito l’aggressività che ci viene spesso comunicata dai mass media, dalla politica partitica. Ed ecco allora litigi, sospetti tra collaboratori parrocchiali fondati sul nulla, consigli pastorali simili ad un’assemblea di condominio, riunioni tra gruppi dove sembra prevalere la logica sindacale. Lo dico in generale. Non che capiti precisamente qui a Granarolo o a sant’Andrea. Lo affermo perché dobbiamo essere vigilanti nei confronti di tutto quanto svigorisce il fine principale: l’annuncio del Vangelo. Cari fratelli e sorelle, dobbiamo ricordare che nessuno di noi può pretendere di sondare la coscienza degli altri. Agitare, poi, la verità come se fosse un arma è contradditorio, perché la verità cristiana è la persona stessa di Gesù, che è venuto non a condannare ma a salvare il mondo.
Se mai posso offrire un consiglio a questa comunità, così ricca di istituzioni e di opere, di dedizione al bene dei piccoli e dei grandi, proprio all’inizio di una nuova tappa pastorale, favorita, come già detto, dall’avvicendamento dei parroci, è quello di verificare quanto sia chiara presso tutti l’identità della parrocchia come comunione, come unità, come partecipazione nell’esercizio della cura pastorale da parte di tutti, singoli e associati. Una tale cura deve prevalere sulle altre preoccupazioni di gestione economica, di organizzazione di feste, di celebrazioni sociali, pur legittime e funzionali, peraltro, alla realizzazione dei fini principali di una comunità cristiana. Per essere comunità viva e compatta occorre affinare la propria formazione spirituale, che avviene nella comunità e con la comunità, attraverso la partecipazione ai momenti comuni di ascolto della Parola, di catechesi, di celebrazione e di preghiera, ma anche con i momenti specifici dei ritiri, di aggiornamento, partecipando ai corsi organizzati per i catechisti, per gli adulti. A fronte della nuova situazione delle nostre parrocchie, ove la presenza dei sacerdoti è in diminuzione occorre pensare a costituire gradualmente dei gruppi di persone dedite specificamente al servizio comunitario, per favorire la comunicazione, il funzionamento dei momenti formativi, la vicinanza alle persone sole ed ammalate e tutto questo in aiuto e in sintonia col parroco, facendo capo a lui, al quale spetta un ministero di armonizzazione e di autenticazione dei carismi.
Si potrà così accogliere l’appello alla revisione e al rinnovamento delle nostre parrocchie che a dire di papa Francesco non ha ancora dato sufficienti frutti perché siano ancora più vicine alla gente, e siano ambiti di comunione viva e di partecipazione, essendo completamente orientate verso la missione.
Caro don Claudio, seppure divieni parroco, restano per te gli impegni diocesani di accompagnamento spirituale dell’ANSPI e del CSI. Ti dovrai, pertanto, interessare, sia pure attraverso i loro responsabili, degli Oratori e dei Circoli parrocchiali, come luoghi che devono essere sempre più se stessi, ossia luoghi di svago ma soprattutto di formazione. L’identità degli oratori e dei circoli parrocchiali deve essere più chiara e non confusa: si basa sul Vangelo, propone un percorso che – per chi vuole – aiuta a crescere nella fede, mette in campo educatori cristiani. Non è facendo dei frullati dove si nasconde l’identità dei formatori che si può educare. L’inclusione non va scambiata con un relativismo che favorisce in definitiva i ghetti. Per noi l’inclusione è compresa nell’identità cattolica, che proprio perché cattolica, cioè aperta e universale, implica la capacità di accogliere anche gli altri (anche i non credenti, i mussulmani), il dare una mano a chi vive esperienze diverse, integrare le differenze nella misura del possibile.
Da ultimo, caro don Claudio, data la presenza di due diaconi nella tua comunità, sarebbe bello potenziare un particolare ministero, il ministero della consolazione, che potrebbe essere validamente coordinato per l’appunto da un diacono: riguarda la disponibilità a visitare i malati terminali e le loro famiglie, gli anziani accolti in case protette, a visitare le persone e le famiglie colpite da disgrazie gravi, che spesso prendono contatto con la parrocchia in occasione dei funerali, ma che poi ritornano in ombra. Non sempre il presbitero riesce a mantenere i contatti e, d’altra parte, deve essere la comunità, e non solo il sacerdote, a prendersi cura dei suoi membri.
Visto che hai partecipato all’intensa esperienza del Sinodo dei giovani non esitare a spronare i tuoi giovani a divenire protagonisti nell’evangelizzazione e nella testimonianza della carità nei vari campi delle attività umane e nei confronti di quei giovani che, per varie ragioni, si sono allontanati da Cristo.
Tu lo sai, non c’è bisogno che te lo dica. Nel brano evangelico di Luca che abbiamo sentito proclamare si legge che chi è fedele nelle cose di poco conto è fedele anche in cose importanti (cf Lc 16, 1-13). Noi tutti confidiamo, dato che ce ne hai già dato prova, che tu possa essere fedele anche nel tuo servizio di parroco qui a Granarolo e a sant’Andrea, e non solo, specie in un futuro non lontano.
Maria santissima, la Beata Vergine delle Grazie, patrona della nostra Diocesi, ti protegga e ti accompagni.
+ Mario Toso