Saluto e riflessioni al Percorso di formazione dei volontari presso la Caritas-Centro di Ascolto

Faenza-Centro di Ascolto, 22 dicembre 2015
22-12-2015
Innanzitutto, oltre al buon giorno, il mio sentito ringraziamento e la mia gratitudine ai molti volontari che operano con la Caritas e con l’Associazione Farsi prossimo  nella Diocesi.
Qui il volontariato si caratterizza, in modo particolare, per essere cristiano, perché coloro che vi si impegnano intendono dare al messaggio del Vangelo un volto. Proprio in connessione a questa specificità si sviluppa il percorso di formazione messo in cantiere.
Il «volto» è la parte per il tutto che è la persona. Nel volontariato si mette a disposizione, con il proprio volto, tutto il proprio essere. Ci si presenta agli altri primariamente con il proprio viso e il proprio sguardo d’amore. Il nostro volto è il biglietto da visita che dice chi siamo e cosa desideriamo fare. Gli occhi, afferma la saggezza popolare, sono la finestra dell’anima. Il volto dei volontari, dunque, rivela il loro «essere per». Ma non solo. Essi vanno incontro al povero – secondo le varie accezioni – per mostrargli solidarietà e così manifestargli l’amore di Dio, il volto misericordioso del Padre. L’amore del volontario riconosce nell’altro il «prossimo», il fratello e la sorella bisognosi d’aiuto. Desidera far percepire la paternità provvida di un Dio che non rimane indifferente nei confronti dei propri figli.
I credenti si mettono a disposizione gratuitamente perché chiamati e conquistati dall’amore gratuito di Dio.
Fermiamo l’attenzione sull’incontro tra il nostro volto e quello dei fratelli in situazione di necessità. Si diceva che il nostro volto vuol’essere espressione eloquente dell’amore stesso del Padre misericordioso. Intende diventare segno efficace,  quasi un segno sacramentale, di un amore più grande di quello meramente umano. Il volontario va verso chi è bisognoso d’aiuto, ed è suo «prossimo», con la consapevolezza che non porta e non dona solo se stesso. Il proprio volto, la propria persona, rimandano ad un oltre da sè, al volto del Padre che è Amore. Il suo atto d’amore – non semplicemente un gesto interessato, ricercato per una mera gratificazione personale – è per l’altro occasione di una visione di Dio stesso. Ireneo di Lione, nel II secolo, ha scritto: «La gloria di Dio è l’uomo vivente e la vita dell’uomo è la visione di Dio».[1]
Ma il nostro sguardo pieno di tenerezza non solo rivela, ma contagia l’altro con l’amore di Dio. Può diventare «luogo» o «mezzo» di un annuncio che fa incontrare Dio stesso, toccandolo con mano. In questa maniera, peraltro, il volontario conferisce al prossimo considerazione, offre onore, ricorda la dignità dell’uomo e suscita gioia di vita e speranza. Consentire a chi viene aiutato di giungere a percepire lo sguardo d’amore di Dio stesso significa fargli sperimentare vita, calore, consapevolezza di essere capace di vero, di bene, di Dio. Significa dare la percezione di venire riammesso nella «propria» famiglia, di tornare a casa propria, ove tutti sono considerati e si sentono fratelli, figli di uno stesso Padre, rompendo le barriere dell’indifferenza e dell’estraneità.
L’esperienza di un servizio gratuito può così aiutare le persone ad uscire dall’isolamento e ad integrarsi nella comunità, riprendendo fiducia in se stesse, in Dio. Può diventare, per lo stesso volontario, esperienza di Dio, perché nelle persone concrete che si incontrano è presente Gesù Cristo, Verbo incarnato, fattosi uomo.
Il servizio del volontario è, poi, sicuramente un contributo all’edificazione della «civiltà dell’amore». Crea popolo, crea Patria, una società civile.
L’amore del prossimo non si può delegare in radice alle strutture pubbliche. Lo Stato e la politica, con le pur necessarie premure per la sicurezza sociale di tutti – purtroppo oggi questo ideale sembra smarrirsi e a causa soprattutto di un capitalismo finanziario che assolutizza il profitto siamo ridotti ad una democrazia di un terzo – non lo possono sostituire in tutte le sue specificità. L’amore del prossimo richiede sempre l’impegno personale e volontario, per il quale certamente lo Stato può e deve creare condizioni generali, favorevoli per tutti.[2] Ma mentre lo Stato con le sue istituzioni  di welfare realizza la solidarietà in maniera obbligatoria, universale, mediante personale remunerato, il volontariato la attua liberamente e gratuitamente.
La tipicità del volontariato è quella di offrire un servizio più personalizzato, meno standardizzato, ossia commisurato alla persona singola, alle sue esigenze individuali. Da questo punto di vista il volontariato è causa esemplare per tutti coloro che operano nelle strutture pubbliche della solidarietà. Proprio perché l’aiuto dei volontari mantiene la sua dimensione umana e non è spersonalizzato non può essere pensato come un «tappabuco» nella rete sociale.
Il volontariato cristiano è samaritano per natura. Si rivolge ad un «prossimo» non solo credente, ossia ad un prossimo inteso in senso stretto, bensì in senso largo, e cioè a tutti coloro che sono nel bisogno.
E, tuttavia, il volontariato cristiano sorge per ragioni di fede e si indirizza ad offrire assistenza anzitutto ai credenti, affinché questa sia proporzionata alla sensibilità e alle esigenze spirituali dell’assistito. E ciò perché Dio vuole, come affermava Duns Scoto nel XIV secolo, persone che amino con Lui: Deus vult condiligentes.[3] Dio ama tutti. Ama, però, ciascuno di noi come persone uniche ed irrepetibili. Egli, più di ogni altro, dà a ciascuno il suo. Egli dona vita, se stesso, andando oltre al principio dello scambio degli equivalenti. Dà molto di più di chi vuole conteggiare tutto e tutto pagare.
Il volontario cristiano ha di fronte a sé questo modello insuperabile. Egli è chiamato a vivere lo stile di Dio il più possibile, consapevole di volere un amore gratuito, che non viene esercitato per raggiungere altri scopi.[4] È per questa via che il volontario realizza la sua altissima dignità di figlio di Dio. «Chi è in condizione di aiutare riconosce che proprio in questo modo viene aiutato anche lui; non è suo merito né  titolo di vanto il fatto di poter aiutare. Questo compito è grazia».[5] Il volontario mediante il suo impegno trasmette ciò che ha ricevuto. La logica del suo dono si colloca al di là del semplice dovere e potere morale, al di là delle regole del mercato.
Percorrendo questo cammino diventa segno efficace della misericordia di Dio. Diventa un annunciatore e un testimone dell’amore trinitario, che ci è donato da Cristo mediante il suo Spirito. È in questo contesto che si comprende l’importanza della preghiera per il volontario cristiano. La preghiera a Dio è via di uscita dagli schemi ristretti che possono albergare anche nella mente e nel cuore di ogni volontario. Come ogni uomo, il volontario, nonostante i nobili intenti che lo sorreggono, può essere catturato dall’individualismo; può subire un calo di dono. Anch’egli ha bisogno di rigenerarsi, di conversione. Il Giubileo straordinario della misericordia appena inaugurato rappresenta una grande opportunità.
Con la preghiera si può uscire anche dalla sfiducia, dalla stanchezza, dalla routine,  da azioni compiute quasi meccanicamente, senza un cuore palpitante d’amore per Dio e per il prossimo. Il cuore del volontario non deve subire sclerosi o chiusure che lo ripiegano nella ricerca di mere gratificazioni personali. La gratificazione non va ricercata per se stessa. Essa è, piuttosto, la risonanza interiore di un comportamento improntato al pro-essere, all’essere per l’altro, in maniera disinteressata o gratuita.
Grazie alla preghiera si può superare lo sconforto di fronte all’illimitatezza del bisogno. «I cristiani continuano a credere, malgrado tutte le incomprensioni e confusioni del mondo circostante, nella “bontà di Dio” e nel “suo amore per gli uomini” (Tt 3,4). Essi, pur immersi come gli altri uomini nella drammatica complessità delle vicende della storia, rimangono saldi nella certezza che Dio è Padre e ci ama, anche se per il suo silenzio rimane incomprensibile per noi».[6]
Pregare è mettersi alla scuola dello sguardo di Gesù, dei suoi occhi. Essi non sono indifferenti. Tutt’altro. Come leggiamo nel Messaggio per la Giornata mondiale della pace del 1° gennaio 2016, Gesù Cristo, continuando e completando la rivelazione di un Dio che vede la miseria del suo popolo Israele in Egitto, e scende per liberarlo mediante Mosè, scende fra gli uomini – è Dio stesso che si rende presente nella storia – mediante l’incarnazione. Si mostra solidale con l’umanità in ogni cosa, eccetto il peccato. Gesù si «identifica» con l’umanità. Non si accontenta di insegnare alle folle, ma si preoccupa di loro, specie quando le vede affamate (cf Mt 20,3). Il suo sguardo non era rivolto soltanto agli uomini, ma anche ai pesci del mare, agli uccelli del cielo, alle piante e agli alberi, ai piccoli e ai grandi. «Egli vede, certamente, ma non si limita a questo, perché tocca le persone, parla con loro, agisce in loro favore e fa del bene a chi è nel bisogno. Non solo, ma si lascia commuovere e piange (cf Gv 11, 33-44). E agisce per porre fine alla sofferenza, alla tristezza, alla miseria e alla morte. Gesù ci insegna ad essere misericordiosi come il Padre (cf Lc 6, 36)».[7]
Profitto di questa occasione per porgere gli auguri di un santo Natale e di un buon Anno.
 

 


[1] Adversus Haereses IV, 20, 7.
[2] Cf BENEDETTO XVI, Discorso al mondo del volontariato del 9 settembre 2007 (Vienna).
[3] Opus Oxoniense III d. 32 q. 1 n. 6.
[4] BENEDETTO XVI, Deus Caritas est, n. 31.
[5] Deus Caritas est, n. 35.
[6] Deus caritas est, n. 38).
[7] FRANCESCO, Messaggio per la Giornata mondiale della pace (1 gennaio 2016).