Faenza, Chiesa dei caduti, 4 novembre 2019
04-11-2019
La Giornata dell’unità nazionale e delle forze armate viene a coincidere, per la Chiesa, con la memoria di san Carlo Borromeo, grande santo, la cui opera riformatrice ha influenzato anche la Romagna, soprattutto per quanto concerne la formazione dei sacerdoti. All’Università di Pavia si era formato nel diritto. Divenne cardinale segretario di Pio IV, suo zio, e in seguito fu fatto arcivescovo di Milano. Come Segretario di Stato lavorò con zelo indefesso per il Concilio di Trento e la pratica attuazione dei decreti. Morto Pio IV, S. Carlo lasciò Roma per recarsi alla sua sede arcivescovile allora ridotta in tale stato da scoraggiare qualsiasi tentativo di riforma; ma non indietreggiò.
Infiammato dal suo zelo apostolico percorse più volte la sua vasta archidiocesi per le visite pastorali. Però dove maggiormente rifulsero la sua carità e il suo zelo, fu nella terribile peste scoppiata a Milano, mentre egli si trovava in visita pastorale nel 1572. Tutti i personaggi più distinti fuggivano terrorizzati: San Carlo invece, tornato prontamente in città, organizzò l’assistenza agli appestati, il soccorso ai poveri, l’aiuto ai moribondi, dappertutto era il primo, ovunque dava l’esempio. Per invocare poi l’aiuto divino, indisse processioni di penitenza, alle quali partecipò a piedi scalzi e prescrisse preghiere e digiuni. Alla peste seguì la più grave miseria, e il santo prelato, dopo aver dato quanto possedeva, vendette i mobili dell’arcivescovado, contraendo anche forti debiti. La Parola di Dio di oggi ci dice che Dio non scrive la storia senza di noi. Proprio perché si serve dell’uomo, i suoi disegni ci appaiono tortuosi. In realtà, la sua volontà si realizza nonostante le nostre infedeltà. Egli fa sì che anche i nostri sbagli contribuiscano alla nostra salvezza (Rm 11, 29-36). Il Vangelo di san Luca (Lc 14,12-14) ci informa che Gesù ci invita ad imitare l’amore gratuito di Dio, specie servendo i poveri.Che insegnamento ci può derivare da questa Parola di Dio per celebrare degnamente la Giornata dell’unità nazionale e delle forze armate? Dovremmo, innanzitutto, operare ascoltando Dio. Quando si opera senza riferimento alla presenza del suo Spirito nella storia ci si perde per strade lunghe e costose, spesso cariche di fallimenti e di tragedie umane. La conquista della civiltà di un Paese si ottiene camminando con Dio, non opponendosi a Lui. Senza il riferimento ad un fondamento trascendente si perde il senso della vita, della morale, della comunione nei valori. Oggi c’è chi attacca l’unità nazionale, ha detto recentemente il presidente della Repubblica Mattarella, volendo riscrivere la storia, negando l’evidenza, e cioè ignorando le guerre, gli odi razziali, le discriminazioni, le divisioni e le distruzioni del passato. L’unità nazionale non si rafforza ricadendo nei vecchi errori. Noi tutti sappiamo che l’unità nazionale, perseguita strenuamente dai popoli italiani, si è inverata gradualmente in un’unità superiore: la comunità politica italiana, con alla base il rispettivo popolo. È certamente bene celebrare l’unità nazionale. Ma non va dimenticato che essa vive e si consolida nella realtà superiore della comunità politica, sostenuta da un popolo democratico, che può comprendere più Nazioni, etnie, razze, religioni. La comunità politica vive della comunione di beni-valori, dell’unione morale del popolo. La vera sostanza, vivente e libera, della comunità politica è il popolo: moltitudine di persone e di gruppi, uniti sotto giuste leggi, in uno stesso territorio, mossi da mutua fraternità, caratterizzati da una pluralità di tradizioni multietniche e multireligiose, ma convergenti in uno stesso fine che è il bene comune, coordinati dall’autorità politica. Forse, ai nostri giorni, si dimentica l’impegno primario di essere popolo, corpo morale, dato da un insieme di persone responsabili, le quali sono singole sì ma costituiscono insieme un soggetto comunitario, non una entità massa-mediatica o virtuale etero diretta.Ma all’unità nazionale propria di un popolo, corpo morale come detto, si può attentare anche coniugando in vari atti parlamentari l’individualismo libertario. Al contrario, l’unità nazionale cresce coltivando e alimentando quella cultura personalista, comunitaria, aperta alla Trascendenza che è omologata nella carta costituzionale. È questa la cultura più consona nel rafforzare l’unione morale dei cittadini e dei gruppi attorno ai valori della libertà e della giustizia, passando attraverso solidarietà e sussidiarietà, giungendo al bene comune.Se si sono fatti progressi sulla via della concordia, del dialogo pubblico e sull’uso pacifico delle stesse Forze armate lo si deve proprio all’essere riusciti a coltivare l’ideale di una vera democrazia partecipativa, rappresentativa, deliberativa, inclusiva, fondata sulla cultura della persona, non dell’individio. Solo una cultura della persona, considerata nei suoi doveri e diritti, e non nei suoi arbitri utilitaristici, può costituire il terreno fecondo per crescere nel senso del rispetto altrui e nell’impegno per la libertà, la giustizia e il bene comune dei singoli cittadini e dei popoli. L’uso pacifico delle forze armate si radica proprio in una cultura personalista, solidale, comunitaria. I militari italiani hanno dimostrato così di impegnarsi con sacrificio ed onore nelle operazioni «Strade sicure», «Expo», «Giubileo», «Mare sicuro» e nei territori colpiti da calamità. Alla luce di una cultura di pace le loro missioni internazionali, specie in territori martoriati, hanno in prevalenza salvaguardato i diritti e contrastato il terrorismo, ossia hanno servito alla sicurezza dei Paesi presso cui operano con professionalità ed umanità. In questo nostro incontro nella Chiesa dei caduti, preghiamo per tutti coloro che sono morti nella difesa della nostra Patria. Esprimiamo riconoscenza a tutti coloro che si impegnano per far crescere l’unione morale del popolo italiano e a coloro che operano all’estero per garantire la pace.Con l’aiuto del Signore e del suo Spirito d’amore possiamo tutti insieme camminare sulla strada di una più alta unione morale e religiosa, indispensabile per rafforzare l’unità nazionale, l’impegno per la pace. Ringraziamo Dio perché continua ad attuare la sua redenzione per tutti, arricchendoci dei suoi doni.
Infiammato dal suo zelo apostolico percorse più volte la sua vasta archidiocesi per le visite pastorali. Però dove maggiormente rifulsero la sua carità e il suo zelo, fu nella terribile peste scoppiata a Milano, mentre egli si trovava in visita pastorale nel 1572. Tutti i personaggi più distinti fuggivano terrorizzati: San Carlo invece, tornato prontamente in città, organizzò l’assistenza agli appestati, il soccorso ai poveri, l’aiuto ai moribondi, dappertutto era il primo, ovunque dava l’esempio. Per invocare poi l’aiuto divino, indisse processioni di penitenza, alle quali partecipò a piedi scalzi e prescrisse preghiere e digiuni. Alla peste seguì la più grave miseria, e il santo prelato, dopo aver dato quanto possedeva, vendette i mobili dell’arcivescovado, contraendo anche forti debiti. La Parola di Dio di oggi ci dice che Dio non scrive la storia senza di noi. Proprio perché si serve dell’uomo, i suoi disegni ci appaiono tortuosi. In realtà, la sua volontà si realizza nonostante le nostre infedeltà. Egli fa sì che anche i nostri sbagli contribuiscano alla nostra salvezza (Rm 11, 29-36). Il Vangelo di san Luca (Lc 14,12-14) ci informa che Gesù ci invita ad imitare l’amore gratuito di Dio, specie servendo i poveri.Che insegnamento ci può derivare da questa Parola di Dio per celebrare degnamente la Giornata dell’unità nazionale e delle forze armate? Dovremmo, innanzitutto, operare ascoltando Dio. Quando si opera senza riferimento alla presenza del suo Spirito nella storia ci si perde per strade lunghe e costose, spesso cariche di fallimenti e di tragedie umane. La conquista della civiltà di un Paese si ottiene camminando con Dio, non opponendosi a Lui. Senza il riferimento ad un fondamento trascendente si perde il senso della vita, della morale, della comunione nei valori. Oggi c’è chi attacca l’unità nazionale, ha detto recentemente il presidente della Repubblica Mattarella, volendo riscrivere la storia, negando l’evidenza, e cioè ignorando le guerre, gli odi razziali, le discriminazioni, le divisioni e le distruzioni del passato. L’unità nazionale non si rafforza ricadendo nei vecchi errori. Noi tutti sappiamo che l’unità nazionale, perseguita strenuamente dai popoli italiani, si è inverata gradualmente in un’unità superiore: la comunità politica italiana, con alla base il rispettivo popolo. È certamente bene celebrare l’unità nazionale. Ma non va dimenticato che essa vive e si consolida nella realtà superiore della comunità politica, sostenuta da un popolo democratico, che può comprendere più Nazioni, etnie, razze, religioni. La comunità politica vive della comunione di beni-valori, dell’unione morale del popolo. La vera sostanza, vivente e libera, della comunità politica è il popolo: moltitudine di persone e di gruppi, uniti sotto giuste leggi, in uno stesso territorio, mossi da mutua fraternità, caratterizzati da una pluralità di tradizioni multietniche e multireligiose, ma convergenti in uno stesso fine che è il bene comune, coordinati dall’autorità politica. Forse, ai nostri giorni, si dimentica l’impegno primario di essere popolo, corpo morale, dato da un insieme di persone responsabili, le quali sono singole sì ma costituiscono insieme un soggetto comunitario, non una entità massa-mediatica o virtuale etero diretta.Ma all’unità nazionale propria di un popolo, corpo morale come detto, si può attentare anche coniugando in vari atti parlamentari l’individualismo libertario. Al contrario, l’unità nazionale cresce coltivando e alimentando quella cultura personalista, comunitaria, aperta alla Trascendenza che è omologata nella carta costituzionale. È questa la cultura più consona nel rafforzare l’unione morale dei cittadini e dei gruppi attorno ai valori della libertà e della giustizia, passando attraverso solidarietà e sussidiarietà, giungendo al bene comune.Se si sono fatti progressi sulla via della concordia, del dialogo pubblico e sull’uso pacifico delle stesse Forze armate lo si deve proprio all’essere riusciti a coltivare l’ideale di una vera democrazia partecipativa, rappresentativa, deliberativa, inclusiva, fondata sulla cultura della persona, non dell’individio. Solo una cultura della persona, considerata nei suoi doveri e diritti, e non nei suoi arbitri utilitaristici, può costituire il terreno fecondo per crescere nel senso del rispetto altrui e nell’impegno per la libertà, la giustizia e il bene comune dei singoli cittadini e dei popoli. L’uso pacifico delle forze armate si radica proprio in una cultura personalista, solidale, comunitaria. I militari italiani hanno dimostrato così di impegnarsi con sacrificio ed onore nelle operazioni «Strade sicure», «Expo», «Giubileo», «Mare sicuro» e nei territori colpiti da calamità. Alla luce di una cultura di pace le loro missioni internazionali, specie in territori martoriati, hanno in prevalenza salvaguardato i diritti e contrastato il terrorismo, ossia hanno servito alla sicurezza dei Paesi presso cui operano con professionalità ed umanità. In questo nostro incontro nella Chiesa dei caduti, preghiamo per tutti coloro che sono morti nella difesa della nostra Patria. Esprimiamo riconoscenza a tutti coloro che si impegnano per far crescere l’unione morale del popolo italiano e a coloro che operano all’estero per garantire la pace.Con l’aiuto del Signore e del suo Spirito d’amore possiamo tutti insieme camminare sulla strada di una più alta unione morale e religiosa, indispensabile per rafforzare l’unità nazionale, l’impegno per la pace. Ringraziamo Dio perché continua ad attuare la sua redenzione per tutti, arricchendoci dei suoi doni.
+ Mario Toso