Cari fratelli e sorelle,
il racconto della Genesi che abbiamo ascoltato nella prima lettura, ci rivela, con un linguaggio del tutto particolare, l’amore con cui Dio ha desiderato e ha creato l’uomo e la donna.
Non possiamo ascoltare questo passo dell’Antico Testamento come se fosse una narrazione storica o un trattato scientifico. La tradizione di Israele non ha sviluppato un saggio letterario per spiegarci come è avvenuta la creazione. Ha approntato un racconto per rivelare il perché Dio ha creato qualcosa come la terra, il cielo, e quanto è racchiuso in essi. È stato il suo amore a determinarlo.
In particolare, abbiamo ascoltato che la pienezza per l’uomo non è un individualismo isolato, l’essere solo, ma l’essere relazione che si apre all’altro, l’essere relazione capace di comporre un’unità di comunione con gli altri «io», come nel caso dell’unione sponsale tra l’uomo e la donna. La complementarità della differenza sessuale, dono di Dio, indica una relazione importante, fondamentale: i due, come poi ribadirà Gesù, «saranno un’unica carne» (cf Mc 10, 2- 16). Ma non c’è solo la relazione tra l’uomo e la donna. La Scrittura ci fa anche capire che l’uomo è creato fin dall’origine come persona, costitutivamente in relazione con sé stesso, gli altri, il mondo e Dio. La persona si realizza nella giusta relazione con Dio, con gli altri, con l’ambiente.
Questo dato originario è più forte di ogni legge e di ogni ideologia che vorrebbe identificare la specificità dell’uomo nella sua capacità di possedere e di dominare. Noi oggi constatiamo gli effetti di un antropocentrismo malato sia nella guerra di aggressione sia negli sconvolgimenti naturali delle alluvioni, causati da cattive relazioni dell’uomo sulla natura, quali la mancata prevenzione e l’assenza della messa in sicurezza dei nostri fiumi.
L’amore pasquale di Cristo per la sua Chiesa, il suo sangue versato sulla croce sono il fondamento e il potenziamento di ogni amore, di ogni giusta relazione.
Non possiamo oggi dimenticare che siamo alla conclusione della Visita pastorale del Vescovo. È con gioia e con speranza che guardando alle comunità del centro di Faenza si possono riconoscere i segni della presenza dello Spirito che non abbandona la sua Chiesa.
Viviamo un certo spopolamento del centro storico, tuttavia in esso scorgiamo il gravitare di molte famiglie che sono a ridosso dello stesso centro, per cui le comunità parrocchiali dell’Unità Pastorale non mancano di famiglie, di coppie di fidanzati, di ragazzi e di giovani, che gioiosamente la popolano. Ieri pomeriggio ho incontrato in santa Maria Vecchia i bambini e i ragazzi delle parrocchie dell’Unità ed erano oltre cento cinquanta, quasi duecento, senza contare che non erano tutti. Così sappiamo che gli scout che gravitano attorno a san Francesco sono 200. La sera precedente avevo incontrato le tre Caritas parrocchiali presso il Centro san Terenzio. Tali Caritas sono presidi dell’amore di Cristo nei confronti dei poveri, degli stranieri. La loro forza sta nell’essere espressioni delle comunità parrocchiali, nell’essere aperti a tutti e nell’essere in rete con la Caritas diocesana.
Preso atto di questo, occorre crescere nella collaborazione reciproca, nella concretizzazione di percorsi pastorali condivisi, capaci di superare uno sguardo introverso, ripiegato solo sulla propria realtà.
La pastorale vocazionale, giovanile, familiare, in particolare devono essere orientate e animate dallo stesso fine, che è l’amore del Signore Gesù. È necessario un lavoro capillare, capace di creare relazioni profonde nel tessuto sociale ed ecclesiale della città.
Non possiamo ignorare la situazione culturale e sociale che ci aspetta nei prossimi anni, dove assisteremo, purtroppo, alla crescita di un analfabetismo religioso, a causa di una secolarizzazione spinta, di un calo drastico dei presbiteri, dell’abbandono delle proprie comunità. Occorre investire in percorsi vocazionali seri, costanti, e, aggiungerei, espliciti, ovvero che non abbiano paura di indicare la bellezza e l’importanza di seguire il Signore Gesù Cristo anche con scelte di particolare consacrazione. L’evangelizzazione, l’annuncio del Vangelo è vocazionale per sua natura, ma ogni cammino vocazionale deve essere personale. La pastorale vocazionale non può rimanere nel vago, essere generica: essa deve divenire accompagnamento spirituale concreto, prolungato, competente, che presenta esplicitamente sia il ministero ordinato, sia la specificità della vita familiare e di ogni altra vocazione.
In definitiva, dobbiamo fare nostro il comando di Gesù a Pietro: «prendi il largo e getta le reti». Prendiamo il largo, senza paura, poiché nella barca della Chiesa, con noi, c’è il Signore. È Lui che ci chiama a non avere paura della sua parola di salvezza. Dobbiamo riscoprici tutti discepoli missionari, chiamati a rinnovare con creatività e fedeltà lo stile evangelizzatore delle nostre comunità e in ogni ambito in cui operiamo.
Il centro della città manfreda ha una sua grande potenzialità, costituita dal suo patrimonio di fede e di storia: vi invito, allora, a rinnovare la vostra passione per Gesù Cristo, il vostro impegno evangelizzatore e culturale, ad essere sale e lievito nei vari ambiti della vita sociale, ad aprire il più possibile le chiese, con l’aiuto generoso di volontari, cercando di intercettare i ritmi frenetici delle persone, per offrire la possibilità dell’incontro quotidiano e del dono di se stessi al Signore della storia. Le persone che passano davanti alla chiesa devono percepire che quel luogo è “per loro”, che lì il Signore li aspetta da sempre per adorarlo, anche solo per qualche minuto. Per questo potrebbe essere opportuno riconsiderare l’apertura e la chiusura delle nostre chiese negli orari della pausa pranzo, o la mattina prima del lavoro, o la sera dopo il lavoro.
Dopo la visita pastorale del vescovo una prossima occasione di impegno interconnesso e corale delle varie pastorali e delle comunità sarà rappresentata dalla celebrazione del prossimo Giubileo, indetto da papa Francesco con la Bolla Spes non confundit e che noi vivremo localmente facendo perno sui Vicariati.
Mi rivolgo ora a voi, ragazzi e ragazze che fra poco riceverete il dono della pienezza dello Spirito. Vi ungerò il capo con il crisma, un olio profumato, esattamente come si ungevano nell’antichità i re. Voi da oggi diventerete più consapevolmente come un re: ossia capaci di rispondere della vostra vita con le vostre azioni libere, grazie allo Spirito santo che vi sarà donato. Riceverete lo Spirito d’amore, che è l’abbraccio tra il Figlio e il Padre. Un tale Spirito vi è dato non perché lo conserviate per voi stessi. Lo Spirito santo vi invia nel mondo perché lo doniate ai vostri fratelli e lo viviate in ogni ambiente per trasformarlo portandovi Gesù Cristo, la sua vita nuova. In questi giorni ho avuto modo di visitare i luoghi disastrati dalla terza o dalla quarta (per alcuni paesi) alluvione. Ho incontrato persone, famiglie senza più casa. Ho avuto modo di incontrare a Modigliana anche un anziano, dinamico e geniale, Riccardo Ceroni, che mi ha confidato che, pur nella drammaticità della sua situazione, aveva tanta felicità che gli «scappava» dalla testa e me la voleva comunicare. Perché? Perché, a fronte dell’allagamento della sua casa e alla rovina del piccolo orto, aveva pregato suo babbo perché dal cielo gli desse una mano. Cosa è avvenuto? È capitato che un gruppo nutrito di giovani di Modigliana è giunto in suo soccorso. Ringraziandoli disse loro che non una mano gli era giunta in aiuto ma tante mani quante erano i giovani accorsi. Per questo Schérpa aveva il cuore pieno di gioia e voleva comunicarla a tutti, anche al vescovo. E mi ha abbracciato ripetutamente, baciandomi, facendomi visitare il suo laboratorio e l’orto rinforzato verso il torrente che lo fiancheggia. Cari giovani, ecco allora l’invito che, in occasione della Cresima vi faccio: siate cuori, menti, mani che aiutano i fratelli e le sorelle mostrando ad essi l’amore potente di Gesù, riconoscendo nei poveri e negli abbandonati il suo Volto. Con il dono dello Spirito d’amore diventerete più responsabili della vostra vita di fede: essa non è solo affidata ai vostri genitori o ai vostri catechisti, ai padrini, ma d’ora in avanti sarà soprattutto nelle vostre mani, per rendere ragione della speranza che è nel vostro cuore. Vi invito, nel cammino post-cresima, che potrebbe vedere momenti di incontro e collaborazione tra i vostri gruppi parrocchiali – oggi qui riuniti per la Crismazione -, a coltivare l’amicizia con il Signore, a spendere del tempo per cercarlo, nella preghiera, nella lettura della Parola di Dio, nelle relazioni vere con i vostri amici, nell’aiuto concreto ai più poveri. Solo il Signore può dare senso alla vostra vita. Prendetevi a modello il beato Carlo Acutis, prossimo santo.
In questa santa Messa, in particolare, il nostro grido per la pace si faccia preghiera!
+ Mario Toso