Cari fratelli e sorelle,
la scorsa settimana, giovedì 24 ottobre, il Santo Padre Francesco ha consegnato a tutti i fedeli una nuova Enciclica dal titolo Dilexit nos (=DN) «sull’amore umano e divino del cuore di Gesù Cristo». Vi parlerò della Chiesa e della sua missione a partire da tale documento.
La Pasqua come rivelazione di un amore insostituibile
Le parole del Santo Padre ci spingono e ci aiutano a leggere la Visita pastorale come occasione per riscoprire la centralità dell’amore di Gesù nella vita ecclesiale nei suoi vari momenti di celebrazione, di annuncio, di testimonianza, di carità.
Il rischio, infatti, è che alla base di tante nostre attività e scelte ci siano molti obiettivi, tranne quello di donare l’amore di Cristo. Mettiamo in cantiere tante attività che non sempre sono orientate a far incontrare Gesù, a comunicare Lui, perché ci si doni a Lui con la nostra vita. Se davvero fossimo capaci di far conoscere ed amare Gesù porteremmo nel mondo uno stile di vita non autocentrato su noi stessi bensì un’esistenza decentrata verso la volontà di Dio.
Il Cuore di Cristo ci libera dall’essere «comunità e pastori concentrati solo su attività esterne, riforme strutturali prive di Vangelo, organizzazioni ossessive, progetti mondani, riflessioni secolarizzate». Ne risulta spesso un cristianesimo che dimentica «la tenerezza della fede, la gioia della dedizione al servizio, il fervore della missione da persona a persona, l’esser conquistati dalla bellezza di Cristo, l’emozionante gratitudine per l’amicizia che Egli offre e per il senso ultimo che dà alla vita personale». In sostanza si cade in una forma di trascendentalismo ingannevole, altrettanto disincarnato (cf DN 88).
Il primo invito che colgo dalle parole di papa Francesco è il bisogno che le nostre comunità “decentrino” il proprio sguardo, il proprio orizzonte da sé stesse, dall’attivismo che dimentica il cuore della missione della Chiesa: annunciare Cristo. Tutto deve essere orientato, invece, a Gesù Cristo, vera luce delle genti, la pietra scartata dai costruttori. Gesù Cristo è il crocifisso, il vivente, il risorto: la sua Pasqua, il suo “passaggio”, la sua vittoria sul male è «il principio unificatore della realtà, perché Cristo è il cuore del mondo; la sua Pasqua di morte e risurrezione è il centro della storia, che grazie a Lui è storia di salvezza» (DN 31).
A partire dalla Pasqua, scopriamo che l’amore di Cristo è insostituibile. La Chiesa non può scambiare «l’amore di Cristo con strutture caduche, ossessioni di altri tempi, adorazione della propria mentalità, fanatismi di ogni genere che finiscono per prendere il posto dell’amore gratuito di Dio che libera, vivifica, fa gioire il cuore e nutre le comunità. Dalla ferita del costato di Cristo continua a sgorgare quel fiume che non si esaurisce mai, che non passa, che si offre sempre di nuovo a chi vuole amare. Solo il suo amore renderà possibile una nuova umanità» (DN 219).
Le conseguenze sociali dell’amore di Cristo che ci è donato
«Prendere sul serio il cuore (di Gesù) ha conseguenze sociali» (DN 29)[1]. L’amore non è qualcosa di astratto, ma la cosa più reale e concreta che può dare forma all’azione. «Abbeverandoci a questo amore, diventiamo capaci di tessere legami fraterni, di riconoscere la dignità di ogni essere umano e di prenderci cura insieme della nostra casa comune» (DN, 217).
«Oggi tutto si compra e si paga, e sembra che il senso stesso della dignità dipenda da cose che si ottengono con il potere del denaro. Siamo spinti solo ad accumulare, consumare e distrarci, imprigionati da un sistema degradante che non ci permette di guardare oltre i nostri bisogni immediati e meschini. L’amore di Cristo è fuori da questo ingranaggio perverso e Lui solo può liberarci da questa febbre in cui non c’è più spazio per un amore gratuito. Egli è in grado di dare un cuore a questa terra e di reinventare l’amore laddove pensiamo che la capacità di amare sia morta per sempre» (DN 218).
Nuove prospettive ecclesiali e pastorali
L’amore di Cristo ci spinge a convertire le strutture ecclesiali non secondo il pensiero del momento, ma secondo la prospettiva del nostro Maestro, ovvero l’annuncio del suo Vangelo, la celebrazione dei sacramenti e la vita nella carità verso gli ultimi e gli scartati.
È l’amore di Cristo che ci sollecita alla riparazione della frattura fra Vangelo e mondo, fra fede e vita, fra sapienza cristiana e cultura.
a. Il coraggio dell’evangelizzazione
Purtroppo, le comunità cristiane fanno fatica ad esprimere esplicitamente la propria fede in Cristo. Vediamo crescere sempre di più un analfabetismo religioso che non è solo frutto di una società lontana dal Signore, ma di comunità cristiane che hanno perso lo slancio evangelizzatore, il loro baricentro.
Mi sembra quanto mai opportuno rivolgere a voi comunità qui riunite l’invito di Papa Francesco:
«Cristo ti chiede, senza venir meno alla prudenza e al rispetto, di non vergognarti di riconoscere la tua amicizia con Lui. Ti chiede di avere il coraggio di raccontare agli altri che è un bene per te averlo incontrato: “Chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli” (Mt 10,32). Ma per il cuore innamorato non è un obbligo, è una necessità difficile da contenere: “Guai a me se non annuncio il Vangelo” (1 Cor 9,16). “Nel mio cuore c’era come un fuoco ardente, trattenuto nelle mie ossa; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo” (Ger 20,9)» (DN 211).
b. La missione di comunicare Cristo la si vive in comunione con la propria comunità, con la Chiesa
«Non si deve pensare a questa missione di comunicare Cristo come se fosse solo una cosa tra me e Lui. La si vive in comunione con la propria comunità e con la Chiesa. Se ci allontaniamo dalla comunità, ci allontaneremo anche da Gesù. Se la dimentichiamo e non ci preoccupiamo per essa, la nostra amicizia con Gesù si raffredderà. Non va mai dimenticato questo segreto. L’amore per i fratelli della propria comunità – religiosa, parrocchiale, diocesana – è come un carburante che alimenta la nostra amicizia con Gesù. Gli atti d’amore verso i fratelli di comunità possono essere il modo migliore, o talvolta l’unico possibile, di esprimere agli altri l’amore di Gesù Cristo» (DN 212).
Come ho avuto modo di dire alle comunità dell’Unità Pastorale Faenza Borgo, la diocesi non è qualcosa che si “aggiunge” alla parrocchia, un organo di controllo, un livello estraneo: la dimensione comunitaria della Diocesi è la forma, il contesto, il senso della vita parrocchiale. La parrocchia o si innesta nel Popolo di Dio radunato attorno al Vescovo e al presbiterio, o è come una cellula cancerosa che divide il corpo ecclesiale in sterili campanilismi o in cammini paralleli rispetto a quelli della Chiesa.
«Solo a partire dal cuore le nostre comunità riusciranno a unire le diverse intelligenze e volontà e a pacificarle affinché lo Spirito ci guidi come rete di fratelli, perché anche la pacificazione è compito del cuore. Il Cuore di Cristo è estasi, è uscita, è dono, è incontro. In Lui diventiamo capaci di relazionarci in modo sano e felice e di costruire in questo mondo il Regno d’amore e di giustizia. Il nostro cuore unito a quello di Cristo è capace di questo miracolo sociale» (DN 28).
c. Una spiritualità di amicizia con il Signore è il cuore propulsivo della missione
Nel riconoscerci tutti discepoli evangelizzatori, dobbiamo allontanare la tentazione di delegare l’annuncio solo agli “esperti”: l’evangelizzazione è propria di ogni battezzato, di ogni discepolo del Signore poiché dipende dal suo amore.
«Egli ti manda a diffondere il bene e ti spinge da dentro. Per questo ti chiama con una vocazione di servizio: farai del bene come medico, come madre, come insegnante, come sacerdote. Ovunque tu sia, potrai sentire che Lui ti chiama e ti manda a vivere questa missione sulla terra. Egli stesso ci dice: “Vi mando” (Lc 10,3). Questo fa parte dell’amicizia con Lui. Perciò, affinché tale amicizia maturi, bisogna che ti lasci mandare da Lui a compiere una missione in questo mondo, con fiducia, con generosità, con libertà, senza paure. Se ti chiudi nelle tue comodità, questo non ti darà sicurezza, i timori, le tristezze, le angosce appariranno sempre. Chi non compie la propria missione su questa terra non può essere felice, è frustrato. Quindi è meglio che ti lasci inviare, che ti lasci condurre da Lui dove vuole. Non dimenticare che Lui ti accompagna. Non ti getta nell’abisso e ti lascia abbandonato alle tue forze. Lui ti spinge e ti accompagna. L’ha promesso e lo fa: “Io sono con voi tutti i giorni” (Mt 28,20)» (DN 215).
«La missione, intesa nella prospettiva di irradiare l’amore del Cuore di Cristo, richiede missionari innamorati, che si lascino ancora conquistare da Cristo e che non possano fare a meno di trasmettere questo amore che ha cambiato la loro vita. Perciò li addolora perdere tempo a discutere di questioni secondarie o a imporre verità e regole, perché la loro preoccupazione principale è comunicare quello che vivono e, soprattutto, che gli altri possano percepire la bontà e la bellezza dell’Amato attraverso i loro poveri sforzi. Non è ciò che accade a qualsiasi innamorato?» (DN 209).
«In mezzo al vortice del mondo attuale e alla nostra ossessione per il tempo libero, il consumo e il divertimento, i telefonini e i social media, dimentichiamo di nutrire la nostra vita con la forza dell’Eucaristia» (DN 84).
+ Mario Toso
[1] DN 217 mette in relazione quanto è scritto nelle Encicliche sociali con l’incontro delle persone con l’amore di Gesù Cristo. In DN 184 si trova scritto che per costruire la civiltà dell’amore secondo Giovanni Paolo II c’è bisogno del Cuore di Cristo. I nostri atti d’amore, di servizio, di riconciliazione, per essere realmente riparatori richiedono che Cristo li solleciti, li motivi, li renda possibili. La riparazione cristiana non può essere intesa solo come un insieme di opere esteriori, che pure sono indispensabili e talvolta ammirevoli. «Essa esige una spiritualità, un’anima, un senso che le conferiscano forza, slancio e creatività instancabile. Ha bisogno della vita, del fuoco e della luce che vengono dal Cuore di Cristo».