[ott 27] Omelia – Conclusione Visita Pastorale “Faenza Borgo”

27-10-2024

Cari fratelli e sorelle,

il Vangelo di oggi ci fa udire il grido di bisogno che abita il cuore dell’uomo. «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!», grida il cieco lungo la strada di Gerico. Un grido incontenibile, ripetuto, che supera la barriera della folla.

Il Vangelo attraverso Bartimeo, oggi ci rivela il grido che deve animare la nostra preghiera, il grido che deve trovare espressione nella nostra vita, se non ci vediamo più. Solo Gesù può ridonarci la vista, rivitalizzando la nostra fede in Lui, aprendo i nostri orizzonti alla Trascendenza di Dio.

All’inizio di ogni Eucaristia la liturgia ci pone sulle labbra questo grido, ci mette nella posizione del mendicante: Kyrie eleison, Christe eleison. È lo stesso verbo usato da Bartimeo che difficilmente possiamo tradurre con «abbi pietà di me». La liturgia non lo traduce nemmeno, perché tradurre «Signore pietà, Cristo pietà» non riesce a contenere la richiesta di salvezza che racchiude questo grido.

Fratelli, noi siamo i mendicanti della vita vera che può donare solo Dio. Siamo noi i ciechi che, molte volte, pretendono di camminare senza il Signore Gesù, dimenticando che abita e vive in noi.

In tanti momenti della nostra quotidianità, possa risuonare dal profondo del nostro cuore disorientato, demotivato, accecato dal culto del proprio io, il grido di fede di Bartimeo: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!». Non dobbiamo avere paura di chiedere a Gesù: «Rabbuni, che io riveda di nuovo!», per mettere ordine nella nostra vita confusa, disordinata. La risposta di Gesù a Bartimeo, che chiamato e balzato in piedi gli andò incontro, è stata: «Va’, la tua fede ti ha salvato».  E Bartimeo «subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada», scrive l’evangelista Marco (Mc 11,52). Ecco quanto dobbiamo fare anche noi.  Dopo che abbiamo guardato solo a noi stessi, ai nostri progetti personali o di gruppo, dopo che siamo stati guariti come Bartimeo e abbiamo recuperata la vista della fede, guardiamo alle cose importanti, al nostro essere credenti in Gesù e al nostro lavorare insieme per costruire la comunità cristiana. Riprendere a vedere significa riprendere a vivere con l’amore di Gesù tutte le nostre responsabilità: il compito di genitori cristiani, di catechisti o educatori alla fede, di pastori e di maestri, di operatori della carità, attività tutte che preparano i fratelli, specie le nuove generazioni, a edificare il Corpo di Cristo, la Chiesa.  Se cresceremo tutti, giovani e adulti, nell’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, fino all’uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di vita che è in Cristo, saremo cristiani solidi, fondati e radicati nella vita di Gesù stesso. Non saremo come fanciulli in balia delle onde, trasportati qua e là da qualsiasi vento di moda, ingannati da persone menzognere e affabulatrici (cf Ef 4, 7-16). In un contesto in cui cresce l’analfabetismo religioso, diminuisce l’attaccamento a Gesù Cristo, e le nostre comunità divengono piccoli greggi disorientati ed impauriti, irrobustiamo la nostra fede con l’ascolto della Parola, con la preghiera, con l’adorazione e il discepolato di Gesù, Verbo di Dio che si incarna nella storia per redimerla e trasfigurarla. Investiamo sulle nuove generazioni, aiutandole ad amare Cristo Via, Verità e Vita, incoraggiandole a donare a Lui la loro vita. Non basta far conoscere Gesù. È importante accompagnare personalmente i ragazzi e i giovani – mediante l’incontro, il dialogo, il sacramento rigenerante della Confessione – per aiutarli a vivere la loro fede e la loro vocazione in una maniera personalizzata.  Sia per i giovani come per gli adulti dobbiamo superare una pastorale generica, che si rivolge indistintamente sia ai più piccoli sia ai nonni. Siamo chiamati a far vivere il Vangelo specie negli adulti secondo una spiritualità e un impegno missionario, adatto alle varie professionalità (genitori, insegnanti, agricoltori, imprenditori, comunicatori, amministratori, politici, esperti di IA, ecologisti, uomini di cultura, ecc.), con l’ausilio di persone competenti. Per tutti l’apostolato va vissuto non solo entro i confini rassicuranti della propria famiglia e comunità, ma andando al largo, uscendo dal porto sicuro, per gettare le reti, ossia per far conoscere Gesù e per donarlo a chi è indifferente o non crede.

Sono rimasto favorevolmente colpito da gruppi di giovani che sperimentano la vita comune con i presbiteri della propria parrocchia, non solo per pregare insieme, ma anche per conoscere e condividere meglio le sollecitudini pastorali della propria Chiesa. Cari giovani di SMAMA vi ringrazio per avermi invitato a incontrarvi e per l’accoglienza cordiale. Mentre crescete come apostoli, guardate con coraggio i bisogni delle vostre comunità. Diventate cristiani capaci, – con una fede irrobustita dall’esperienza di Cristo Eucaristia, con la contemplazione del cuore di Cristo,[1] con l’approfondimento degli aspetti cristologici, teologici, liturgici dell’essere Chiesa -, di investire sulla crescita missionaria dei non pochi ragazzi e giovani di questo territorio.  Si tratta di innamorare i ragazzi e i giovani di Gesù, perché siano credenti che non si nascondono o si mimetizzano, ma sono, invece, testimoni coraggiosi e credibili del loro Signore. La catechesi più autentica è in grado di preparare ragazzi e giovani che non solo conoscono ma sanno donarsi al Signore Gesù. Sognando ad occhi aperti, dando sempre il primato al Signore Gesù, diventate costruttori della Chiesa diocesana e di una società più giusta e pacifica.

Partecipando a varie iniziative promosse dalle comunità dell’Unità pastorale, ho constatato passi significativi di collaborazione sul piano della pastorale vocazionale, giovanile e famigliare. Mi limito a segnalare due momenti. Prima di tutto, l’incontro col Signore di circa 100 giovani nella parrocchia di Santa Lucia per pregare, per poi conoscersi in un momento di apericena, per conoscere un po’ meglio la figura del vescovo, successore degli apostoli nella Diocesi di Faenza-Modigliana. In secondo luogo, vorrei ricordare il bel momento di incontro con i bambini e i ragazzi, che hanno pregato e partecipato ieri, nella chiesa parrocchiale di Santa Maria Maddalena, al gioco della costruzione di un cartellone raffigurante le quattro parrocchie di provenienza, unite tra loro dalla scritta “tutti insieme per Cristo”.  Sono rimasto colpito da come i catechisti sono riusciti a far capire ai più piccoli che l’unità delle parrocchie, raggruppate nella realtà pastorale «Faenza Borgo», deriva dal fatto che tutti i nostri cuori sono prima uniti a Gesù. Perché si è tutti uniti col battesimo a Gesù Cristo, si può dire che, pur stando in diverse comunità, coi nostri cuori si è tutti uniti per Gesù. Tutti i battezzati sono missionari di Gesù e vivono uniti per Lui, per farlo conoscere e amare.

Da ultimo, desidero ringraziare i sacerdoti dell’Unità pastorale, per il loro sapersi aiutare e coordinare. Auguro a loro, ai laici e alle laiche che collaborano nei vari organismi di partecipazione di crescere nell’amore del Signore Gesù, continuando a dare il loro qualificato apporto anche nella celebrazione del prossimo Giubileo e nella conclusione del cammino sinodale.

Dio benedica tutti!

                                                  + Mario Toso

P.S.

Mi preme allegare all’omelia alcuni orientamenti pratici per migliorare ulteriormente la vita cristiana nell’Unità pastorale. Eccoli.

Innanzitutto, vorrei evidenziare l’importanza di un serio investimento nella vita spirituale: ognuno di noi, per essere lievito e fermento del mondo, prima di andare ad annunciare, ha bisogno di incontrare, conoscere, sostare nell’intimità con il Signore. Un discepolo è tale nella misura in cui è disposto a coltivare una relazione viva con il proprio Maestro. Abbiamo tante occasioni per stare con il nostro Maestro, per sviluppare una vita spirituale intensa, alimentata attraverso la preghiera, la partecipazione all’Eucaristia, l’adorazione, la lettura e l’ascolto della Scrittura, il dialogo con un padre o una madre spirituale, il sacramento della Riconciliazione. La vita della Chiesa, come ricezione del Verbo incarnato, come comunione con Lui e i nostri fratelli e sorelle nella fede, come testimonianza ed annuncio, è uno stimolo continuo per crescere nel discepolato del Signore.

In secondo luogo: una spiritualità intensa, che sollecita a seguire Cristo che si incarna nell’umanità, nella storia, consentirà di essere preparati a leggere i segni dei tempi, compresi quelli rappresentati dalla drammaticità delle tre alluvioni – in alcuni luoghi quattro – che hanno colpito il nostro territorio. Questi fenomeni esigono non solo una reazione di tipo lenitivo, che cura gli effetti mediante una prima assistenza, ma ci spingono a guardare con occhi che vedono in profondità, sino a cogliere le cause della sua vulnerabilità e del suo stravolgimento, per la mancanza di una seria prevenzione e di un’adeguata messa in sicurezza.

La particolare situazione delle alluvioni, assieme ad altri gravi problemi, come la terza guerra mondiale a pezzi, le incessanti migrazioni, l’illegalità dilagante, l’indifferenza nei confronti di Dio e degli ultimi, ci insegna che dobbiamo essere più vigili rispetto ai mali e alle ferite della nostra società, più solleciti nel coltivare una nuova cultura e un nuovo impegno sociale e politico, che non si appiattisce sugli interessi di parte, ma persegue in maniera disinteressata il bene comune.

In questo contesto, ringrazio le comunità dell’Unità Pastorale, la Caritas, le associazioni, in particolare i giovani, per come hanno saputo prendersi tempestivamente cura, in rete con altre istituzioni, dei bisogni della gente, per come si sta convergendo nella ricostruzione, nel sollecitare l’indilazionabile messa in sicurezza del territorio.

In terzo luogo, desidero attirare la vostra attenzione sulla situazione che vive la Chiesa nel territorio romagnolo, ma non solo. Essa si trova entro un cambiamento sociale e culturale cruciale, che richiede una conversione pastorale, una nuova organizzazione delle stesse istituzioni ecclesiali. Il cristianesimo e la cultura cattolica non costituiscono più un presupposto ovvio del vivere comune, della società, delle famiglie, delle associazioni ecclesiali e di ispirazione cristiana. Anzi, vengono spesso negati, emarginati, sminuiti. Molti cristiani non posseggono più l’alfabeto della fede che si nutre e si esprime mediante la liturgia.

Le varie comunità rurali o urbane sono chiamate ad affrontare nuove sfide: dove prima c’era la presenza stabile di un presbitero, ora subiscono le conseguenze dell’invecchiamento della popolazione, del calo demografico nonché delle stesse vocazioni sacerdotali. È necessario crescere nella collaborazione fra le comunità: non solo per la celebrazione dei sacramenti, ma per un’animazione pastorale integrale. Il prete non può essere dappertutto e farsi carico di ogni attività parrocchiale: i laici sono chiamati a diventare corresponsabili con lui di una intensa carità pastorale, soprattutto nei confronti degli anziani e degli ammalati, delle nuove generazioni, nei momenti del tempo libero, del recupero scolastico, della ricerca di un lavoro, della formazione secondo un’ecologia integrale, della integrazione socio-culturale – mediante una conoscenza reciproca e il rispetto delle identità – con i migranti e i rifugiati che giungono in questa terra, con coloro che hanno un’altra religione.

In quarto luogo, è di grande importanza che la pastorale giovanile, vocazionale e familiare, siano incrementate con sistematicità, con un’apertura costante alla diocesanità. In particolare, avete la fortuna di avere un’Unità pastorale ricca della presenza di giovani famiglie, di tanti giovani. È opportuno pianificare una formazione approfondita per tutti gli operatori pastorali e culturali della stessa unità, una formazione relativa alla pastorale vocazionale, inserita pienamente nella Diocesi, a servizio della stessa Diocesi. La diocesanità non è un’aggiunta alla parrocchia, ma ne è il cuore, lo stile, la garanzia di una fecondità rigenerante.

Vi invito, infine, a riscoprirvi protagonisti del panorama sociale e culturale. I cattolici, i discepoli del Signore risorto hanno molto da dare e da dire alla società odierna. Animati dal fuoco d’amore per Gesù Cristo, sono chiamati ad una pastorale di largo raggio, non solo locale, a servizio delle altre comunità, sviluppando reti di collaborazione e integrazione tra le varie Unità pastorali.

Si sente l’esigenza di una presenza dei cristiani che non devono essere specialisti nella mimetizzazione della loro identità religiosa e culturale, nell’anonimato che non dovrebbe scontentare nessuno ma che non giova a chicchessia. I credenti sono chiamati a collaborare con tutti, eccetto che con Satana (l’avversario, l’oppositore, colui che separa da Dio), per porre le basi di una nuova società civile e di una nuova democrazia, a partire dalla loro identità cristiana.[2]

[1] Cf Francesco, Lettera enciclica Dilexit nos, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2024.

[2] Su questo può essere di aiuto E. Preziosi, Da Camaldoli a Trieste. Cattolici e democrazia per continuare il cammino. Prefazione di Matteo Maria Zuppi, Vita e Pensiero, Milano 2024; B. Bignami, Dare un’anima alla politica, Edizioni San Paolo, Milano 2024; M. Toso, Chiesa e democrazia, Società Cooperativa Sociale Frate Jacopa, Roma 2024; ID., Nuova evangelizzazione del sociale. Per una nuova cultura politica e di democrazia, Edizioni Chiesa di Faenza-Modigliana 2024.