Carissimi fratelli e sorelle, è questo il terzo ingresso che si compie oggi nella nostra città. Dopo i due di questa mattina, nella parrocchia di sant’Agostino e nella chiesa di san Francesco, ecco l’ingresso di don Francesco Cavina – già viceparroco a Russi; sono qui presenti il babbo, la mamma, la nonna e la sorella -, in questa parrocchia, avente come patrona santa Maria Maddalena. È qui anche presente Mons. Giuseppe Mingazzini che tanto si è donato per questa comunità, sorretto e accompagnato dalla diletta sorella Paola. Nei miei ringraziamenti metto per primo lui perché in questi ultimi mesi ha sofferto non poco per motivi di salute ed anche per il distacco. Abbiamo pregato per lui, per la sua completa guarigione. Ma devo aggiungere subito un saluto riconoscente a don Paolo Bagnoli, Vicario foraneo della città e parroco di san Marco per il suo servizio umile ed efficace in questo periodo di transizione. Non posso, però, dimenticare i vari sacerdoti e i diaconi, i laici e le laiche che si sono assunti l’impegno di seguire la chiesa, la sacrestia, la canonica, la Caritas.
La tua entrata, caro don Francesco, coincide con un momento liturgico particolare, in cui, per tre domeniche consecutive, siamo sollecitati come Chiesa ad essere vigna che porta frutti copiosi per il Signore e nello stesso tempo ad essere vignaioli solerti che la coltivano con dedizione. Pochi giorni fa abbiamo festeggiato san Francesco d’Assisi, patrono d’Italia, che ricevette dal Crocifisso di san Damiano l’invito di riparare la sua Chiesa.
Dalla parola di Gesù, dunque, e dalla stessa storia della Chiesa e dei suoi santi viene a noi un costante insegnamento: essere fedeli nella nostra vocazione di popolo di Dio: popolo che è nel mondo per portare frutti di redenzione, di trasfigurazione, non frutti di tradimenti e ingiustizie, di latrocini, di divisione e di violenze.
Un parroco è nella sua comunità come colui che serve alla sua crescita e al compimento della sua missione. Papa Francesco, nella sua Lettera apostolica Evangelii gaudium (=EG) sollecita proprio le comunità cristiane a non adagiarsi su una pastorale di conservazione, ma di passare ad una pastorale decisamente missionaria. Se la comunità cristiana non compie questa importante conversione pastorale rischia di diventare una vigna ove scarseggiano i vignaioli e diminuiscono i frutti di salvezza. Quando non vi sia una spiritualità missionaria nei credenti non alberga la passione per Gesù Cristo, non c’è la gioia di comunicarLo, di andare ad incontrarLo là ove ci sono i fratelli più bisognosi. Nella comunità-vigna del Signore non si deve essere sopraffatti dalla paura di spendersi, non si deve essere rosi nell’animo perché i frutti non giungono quando noi vorremmo, non si deve pensare ad occupare spazi nella Chiesa a vantaggio dei propri gruppi ristretti, quasi imitando i vignaioli che si impadroniscono della vigna, senza preoccuparsi di coltivare la comunione, la convergenza delle associazioni e dei movimenti verso obiettivi comuni. Sempre papa Francesco, parlando a Bologna ai sacerdoti, ai religiosi, ai seminaristi e agli diaconi permanenti, ha detto che il nocciolo della spiritualità della vita del presbitero è la diocesanità, ovvero il condurre una vita pastorale con un vivo senso di appartenenza alla comunità diocesana. Il presbitero è più se stesso, più libero, meno solo, più gioioso se pensa al suo impegno pastorale all’interno della comunione più grande rappresentata dalla diocesi, che comprende la sua comunità parrocchiale assieme alle altre.
Analogamente si può dire, che la spiritualità dei fedeli laici trova la sua essenza nella stessa diocesanità di cui si parlava a proposito dei presbiteri, sebbene secondo dimensioni e tonalità diverse. Per i laici la spiritualità della diocesanità, della comunione, si concretizza mediante un’azione convergente verso gli stessi fini della comunità parrocchiale, ossia l’annuncio gioioso di Cristo e la testimonianza del suo Vangelo; si traduce nel camminare insieme, non andando ognuno per proprio conto, pensando di ottenere così risultati migliori; si attua vivendo in quella sinodalità che comprende la comunione con il vescovo, l’ascoltarlo, l’aiutarlo nell’affrontare questioni importanti come, ad esempio, l’evangelizzazione dei migranti, l’evangelizzazione del sociale, la difesa e promozione dei valori evangelici, l’educazione alla fede delle nuove generazioni.
Rispetto a quest’ultimo impegno, come sapete, è stato previsto il Sinodo diocesano dei giovani. Nel vademecum che è stato distribuito ai parroci, ma non solo, si parla della necessità che le varie componenti ecclesiali accompagnino gli stessi giovani nel maturarsi sia come costruttori dell’edificio spirituale che è la Chiesa sia come costruttori della civiltà dell’amore. Sono sicuro che in questa comunità, ove ci sono tanti ragazzi e giovani, il Sinodo diventerà una palestra ove saranno coinvolti, con gli stessi giovani, anche gli adulti. Verranno così preparate le future famiglie cristiane o «chiese domestiche», ma anche i giovani apostoli dei loro coetanei, vocazioni sacerdotali o religiose, cittadini capaci di vivere una buona politica. La presenza di tanti ragazzi e giovani, caro don Francesco, segnala questa comunità come punto naturale di irradiazione della pastorale giovanile nella città di Faenza. Il lavoro intelligente e sacrificato dei tuoi predecessori – come don Veraldo Fiorini e ovviamente Mons. Giuseppe Mingazzini – che hanno costruito un buon livello di sinodalità tra i vari soggetti ecclesiali è garanzia di un futuro di speranza.
La Parola di Dio, il pane eucaristico, l’esercizio ampio della carità, consentiranno a questa comunità di essere vigna feconda per l’evangelizzazione e l’umanizzazione del territorio. Essa è chiamata, in particolare, ad approfondire coerentemente il legame tra fede ed impegno sociale e civile. La patrona di questa comunità, santa Maria Maddalena, che Tommaso d’Aquino definì «l’apostola degli apostoli», e che accompagnò Gesù Cristo sino al Calvario, ti sia di aiuto per il tuo nuovo ministero.