OMELIA per l’ANNIVERSARIO della UCCISIONE di padre DANIELE BADIALI

19-03-2008


La celebrazione annuale della morte di P. Daniele quest’anno cade dentro la settimana santa; è una combinazione forte, che sovrappone il sacrificio di P. Daniele al sacrificio di Gesù. La liturgia del mercoledì santo ci avvicina al misterium iniquitatis, il tradimento di Giuda, simbolo di ogni nostro tradimento verso Dio.


Nella celebrazione della Pasqua il tradimento è l’aspetto più inquietante, perché poco o tanto ci fa percepire che in qualche modo dietro a quel gesto ci siamo anche noi.


Quando diciamo che Cristo è morto per noi, non è un modo di dire; ci siamo anche noi tra i responsabili della sua morte, e quindi ci siamo anche noi tra coloro che hanno bisogno del perdono che Egli ha chiesto al Padre sulla croce: Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno.


Prendere coscienza del nostro bisogno di perdono è l’inizio della nostra salvezza: sappiamo che c’è uno che ce lo può donare, e sappiamo che è possibile essere riconciliati, tornare nella pace vera con Dio e con gli uomini.


‘Quanto mi volete dare, perché io ve lo consegni?’ chiede Giuda. E noi diciamo: ‘Che cosa ci guadagno, se lascio perdere Cristo per i miei comodi, i miei interessi, le mie soddisfazioni?’ Lo scambio, il baratto; cosa mi conviene’


C’è molta letteratura oggi intorno alla figura di Giuda; si cerca di giustificare il suo gesto, di motivare quello che ha fatto, con lo scopo nascosto forse di volere giustificare anche i nostri tradimenti, come se ci potesse essere una scusa che può giustificarci di fronte a Cristo.


Quando Gesù dice: uno di voi mi tradirà, tra gli apostoli si diffonde il panico; nessuno è sicuro di se stesso: sono forse io? Tutti sanno di essere deboli, e questo pensiero li addolora. E lo stesso Giuda chiede: sono forse io? non avendo la percezione di essere sul punto di tradirlo, ma di fare in qualche modo una cosa giusta, almeno secondo il suo punto di vista in quel momento; dopo capirà di avere sbagliato. E’ questo il guaio, che quando facciamo il male, lo riteniamo un bene secondo noi, ma non lo è secondo Dio.


E’ abbastanza naturale non essere sicuri di se stessi. Per questo dobbiamo rimanere uniti al Signore nel momento della prova. La sicurezza in questo caso potrebbe diventare presunzione, fiducia nelle nostre forze. Mentre ci può essere una serenità vera, se uno ripone la sua fiducia in Dio. Le prove non sono segno che Dio ci ha abbandonato. Tutti sono provati, in vario modo. Anche il Servo di JHVH è perseguitato, ma può dire: ‘Il Signore Dio mi assiste, per questo non resto confuso, per questo rendo la mia faccia dura come pietra, sapendo di non restare deluso‘.


Abbiamo sentito nella lettera di P. Daniele scritta da S. Luis, come la croce sia addirittura segno di autenticità della volontà di Dio. ‘Se non c’è la croce di mezzo dubito che sia il cammino di Gesù! E la croce non la scelgo io, sono gli altri che te la danno. E’ successo a Gesù e succede a chiunque procede verso il cammino del Vangelo’.


Stupisce la lucidità con cui P. Daniele scrive queste cose, vedendo nella croce non una difficoltà di cui poter rimproverare il Signore, ma il segno di riconoscimento che il percorso sul quale c’è la prova è proprio il percorso che Dio ha preparato per te.


Abbiamo sentito anche il seguito della lettera: ‘La scommessa è credere che Gesù alle persone più care, possa dare come regalo la croce’ Ai martiri succede così!!!  Io non sono a questo punto, stai tranquillo. Ciò che vivo è molto piccolo‘. Fa sempre una certa impressione leggere queste parole, sapendo cosa successe a P. Daniele nel marzo 1997. La consapevolezza di non essere a misura di martire non poteva essere che sincera, anche perché, pur sapendo dei pericoli che potevano esistere, era impensabile ipotizzare ciò che poi avvenne.


Insieme al sacrificio di P. Daniele, nella vicinanza del 24 marzo, giornata in cui si ricordano i missionari uccisi a causa del Vangelo, vogliamo ricordare in particolare quelli dello scorso anno, che sono stati 21, di cui 15 sacerdoti, e di questi uno era italiano. Ricordiamo anche l’arcivescovo Caldeo di Mosul morto martire una settimana fa in Iraq.


P. Daniele dunque ci dice che la croce Gesù la dà ai suoi amici. E’ una croce di passione e di risurrezione. Nella lettera scritta da Ruris racconta della sua Messa celebrata nella festa dell’esaltazione della S. Croce in un paese che da quattro anni non vedeva un sacerdote. Si volta verso la croce e la vede tutta fiorita: ‘Intuisco che è un gran regalo che Gesù ci ha fatto e che vuole darla ad ognuno di noi’ Anch’io P. Daniele devo prendere la mia croce per seguire Gesù’ Gesù me la dà già fiorita perché è già risorto, ma io devo prendere la croce’.


Abbiamo bisogno di vivere la Pasqua nella pienezza della sua verità, sia come mistero di passione, sia nella gloria della risurrezione. Non è possibile dividere questa realtà; ogni tentativo è una illusione. Inseguire la felicità pensando di evitare la sofferenza che purifica, è l’inganno che viene contrabbandato con abbondanza dai falsi profeti di questo mondo. Più che evitare la croce, si tratta di trovarne il senso,  almeno quello di scoprire il dono grande che è poter seguire Gesù portando anche noi la nostra croce.


La Via crucis che dopo la Messa celebreremo nel cuore della nostra città, è il gesto che intende tradurre in modo simbolico questa realtà.


E’ questa la grazia che chiediamo per noi, per tutti quelli che portano una croce, per coloro che soffrono per la diffusione del Vangelo, perché la Pasqua sia un vero passaggio dalla morte alla vita con Cristo