La liturgia di oggi ricorda San Domenico, fondatore dell’Ordine dei predicatori. In questo giorno, 8 agosto 1936 Benedetta Bianchi Porro nasceva a Dovadola, provincia di Forlì, e morirà poi il 23 gennaio 1964 qui a Sirmione. Siamo dunque nell’anno 50° della sua morte.
Il ricordo di San Domenico non vuole essere solo un accostamento nella data, ma mi piace fare un piccolo confronto tra la nostra Venerabile e quel grande Santo, non tanto perché tra di loro tutti i santi un po’ si rassomigliano, ma perché mi pare che entrambi abbiano avuto a cuore il far conoscere il più possibile il Signore Gesù, mediante un apostolato che poi ha assunto in Benedetta una modalità tutta singolare.
Il Papa Francesco sta sollecitando la Chiesa sulla nuova evangelizzazione. Ha iniziato la sua esortazione con le parole: “La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù”. Se questa fu l’esperienza che fece a suo tempo S. Domenico con i suoi frati nel portare il Vangelo ai nuovi eretici che allora si stavano diffondendo in Europa, questa è stata anche la testimonianza di Benedetta quando si è resa conto che sarebbe stata quella la sua missione voluta dal Signore. La nuova evangelizzazione non comporta certamente un messaggio evangelico nuovo, ma il sapere andare incontro alle situazioni nuove di oggi e alle domande che anche l’uomo di oggi si pone, soprattutto quelle drammatiche sul perché del dolore, sul senso della sofferenza, sulla realtà di Dio.
La vita di Benedetta in una famiglia benestante, pur avendo dovuto attraversare il periodo della guerra e del dopo guerra trascorre come quella delle ragazze della sua età. È sui 16/17 anni che inizia a manifestarsi la sordità, il primo sintomo del male che la bloccherà completamente. Le prime reazioni non furono facili, soprattutto quando progressivamente si rese conto che doveva abbandonare tutto ciò che sperava di poter fare nella vita, a cominciare dagli studi di medicina che le servirono solo, dirà poi, a diagnosticare la sua malattia.
Alcuni anni passano negli studi, nel cercare di affrontare i mali mano a mano che si manifestano, e nel coltivare le amicizie, in particolare di alcune ragazze di Gioventù studentesca che le sono vicine. Di una di esse, Nicoletta Padovani, dirà un giorno: “E’ lei che ha acceso in me la fiaccola della fede”.
Nell’estate del 1959 un sacerdote di Ferrara, don Elio Giuseppe Mori, che veniva qui a Sirmione per cure, mette per iscritto alcuni pensieri frutto di vari colloqui: “Cara Benedetta, voglio affidare a questo foglio quello che avrei dovuto dirti poco fa… Dio può ben capirti. Anche Gesù in croce non poteva più agire né parlare. Ma la sua croce era il momento più valido della sua vita. Anche la tua croce assomiglia alla sua; ne è una continuazione…Non desiderare di morire, ma di vivere. Lascia che Dio conduca la tua vita, ma non pensare che la tua vita sia inutile perché non puoi agire, parlare e fare…”.
Insieme a un cammino nella fede, per Benedetta c’è anche un cammino nella consapevolezza di ciò che Dio le stava chiedendo, cioè della sua vocazione, e di conseguenza della sua missione.
Nel cammino di fede le furono di molto aiuto il dialogo e la corrispondenza con le ragazze di G.S., con le quali condivideva problemi, scoperte e ricerca sui misteri di Dio, aiutandosi con il Vangelo e letture degli scrittori sacri. Dirà un giorno alla mamma: “Mammina, io credo all’Amore disceso dal Cielo, a Gesù Cristo e alla sua Croce gloriosa!! Sì, io credo all’Amore. Mi sembrava di avere qualcosa di altro da dirti: infatti… tu mi dirai che io in Gesù ci sono nata. Sì, ma prima lo sentivo così lontano, ora invece so che Dio è dappertutto, anche se noi non lo vediamo, addirittura il regno di Dio è in noi!”. Febbraio 1961.
La consapevolezza della sua vocazione e della sua missione di apostolato verso gli altri, mi piace legarla ai due pellegrinaggi che Benedetta fece a Lourdes.
La prima volta ci andò nel giugno 1960 e ricorda così: “Il Signore proprio là a Lourdes mi fece capire la ricchezza del mio stato… Mi piace dire ai sofferenti, agli ammalati che, se noi saremo umili e docili, il Signore farà di noi grandi cose. La Madonna mi ha donata la rassegnazione cristiana”. Riconoscere davanti a Dio che anche nello stato di sofferenza in cui Benedetta si trovava, ella possedeva il grande tesoro della fede che la illuminava sul mistero della giustizia di Dio, davvero è una cosa grande.
Qualche mese dopo Mons. Mori le scriverà ancora: “Non misurare la tua vita col metro della sofferenza, pensando che abbia valore solo quello che ti costa. Il valore di ogni cosa è l’amore. Cerca di amare Dio con l’amore di una figlia. Quando stai bene gli sei vicina come quando stai male… non sei al mondo per soffrire ma per amare. Offri ogni pena come ogni gioia. La tua condizione attuale è la più vicina a Dio” (settembre 1960).
Nel marzo 1962 Benedetta scrive ad una amica: “Nessuno è inutile, a tutti Dio ha assegnato un compito”. Un anno dopo ad un’altra amica scrive parlando del proprio compito, “che non deve essere solo quello di scrutarmi dentro, ma di amare la sofferenza di tutti quelli che vivono e vengono attorno al mio letto e mi danno e mi domandano l’aiuto di una preghiera”. Si può dire che quanto più il cammino della croce si fa duro, tanto più cresce l’attenzione premurosa verso gli altri.
Ricordando il viaggio a Lourdes del giugno 1963 scriverà: “Ed io mi sono accorta più che mai della ricchezza del mio stato e non desidero altro che conservarlo. È stato questo per me il miracolo di Lourdes quest’anno”. E qualche mese dopo scriverà a Nicoletta: “Dio ci dà le cose non solo per noi, ma perché si possa anche distribuirle agli altri. Qualche volta mi rattristo perché mi pare che così, nel mio stato, io non sia utile per nessuno ed allora vorrei che avvenisse l’Incontro. Ma forse queste sono tentazioni, perché io più vado avanti, più ho la certezza che ‘grandi cose ha fatto in me Colui che è potente’ e l’anima mia glorifica il Signore”.
Davvero nel breve tempo della sua vita Benedetta ha comunicato la fede e la certezza dell’amore di Dio a tante persone sofferenti, facendo della sua vita un vero apostolato. Credo che si possa dire che Benedetta è un dono per il nostro tempo, che sta arrivando invece a legittimare la soppressione della vita degli ammalati terminali o che sono in stato di incoscienza. Si tratta di far capire la “ricchezza dello stato di chi soffre”, che non è inutile, e può far scoprire che nella vita ciò che conta non è star bene, ma sapere amare Dio e il prossimo.
Voglio concludere riportando un breve commento di Benedetta alla affermazione centrale del brano del vangelo di oggi: “Se qualcuno vuole venire dietro e me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”. Benedetta mette queste parole in bocca a Gesù e aggiunge: “Prendi la tua croce e seguimi. Non cercare di spiegare il perché. Lascia il tuo criterio, ma accetta il mio” (ottobre 1963).
Dio in ogni tempo manda i suoi profeti, adatti ad annunciare il Regno in quel particolare momento storico; sta a noi riconoscere i messaggeri che passano sui monti ad annunciare la pace, portata dall’amore che nasce dalla croce di Cristo e che giunge fino a noi mediante la testimonianza dei suoi Santi.