Il ricordo dell’anniversario della morte del Servo di Dio P. Daniele Badiali viene illuminato dalla liturgia della quinta domenica di Quaresima, che essendo assai vicina alla Pasqua ci richiama con forza la grazia di quel mistero.
Il testo di Isaia con l’immagine di un nuovo esodo, annunciato per coloro che sarebbero tornati da Babilonia, ma riferito a tutti coloro che camminano dal peccato alla grazia, ci ha descritto la prospettiva della vera conversione. ‘Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche! Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?’. S. Paolo dirà ‘Se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove‘ (2 Cor 5,17).
È importante riflettere sul significato della novità per il cristiano, che non significa inseguire le cosiddette novità del mondo, ma scoprire Cristo, l’uomo nuovo (cfr Ef 2,15). Il tempo della Quaresima ci accompagna in questo cammino che interesserà di fatto tutta la nostra vita.
Nella seconda lettura abbiamo sentito la chiarezza con cui viene tracciato questo percorso: ‘Tutto ormai io reputo una perdita di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero come spazzatura, al fine di guadagnare Cristo‘ (3,8).
Si tratta di una alternativa chiara, che richiede una lucidità coraggiosa sostenuta dalla fede, cioè dal buon guadagno che si vede nell’incontro con Cristo. Non si può stare a mezza via, nel comodo compromesso tra pratica religiosa e cedimento alla vita mondana. La radicalità evangelica nasce dalla consapevolezza che Cristo è capace di darci più di quanto siamo disposti a lasciare. Il Papa Benedetto XVI lo ha detto fin dall’inizio del suo pontificato con queste parole: ‘Cari giovani non abbiate paura di Cristo! Egli non toglie nulla, dona tutto. Chi si dona a lui riceve il centuplo. Sì, aprite, spalancate le porte a Cristo e troverete la vera vita’.
Non è difficile trovare anche nelle lettere di P. Daniele affermazioni che vadano nella stessa direzione, di chi ha lasciato tutto per trovare Gesù: ‘Se non fosse per Gesù, non sarei qui. Questa scommessa di cercare Gesù vale più di qualsiasi altra cosa nella vita‘ (pag. 125). E ancora: ‘È una grande fatica restare uniti a Gesù, quando tutto intorno a te va per il senso contrario’ Bisogna dare via tutto, ascoltare la voce di Gesù e metterla in pratica’ (pag. 158).
Anche P. Daniele era convinto di essere stato conquistato da Cristo Gesù e quindi di potersi fidare della sua grazia nell’essere fedele. Non è spaventato dalle difficoltà, dai sacrifici; ha paura solo della propria debolezza e della poca fede. Scrive ancora: ‘Se mi lamento è perché non ho la fede per ringraziare Gesù nei momenti di prova. Solo dopo mi accorgo che è una grazia poter partecipare alle sofferenze di Gesù’ Agli amici più cari, per regalo, dà la sua croce” (pag.174).
San Paolo affronta anche il tema della partecipazione profonda alla vita e alla morte di Cristo, per partecipare alla sua giustizia, basata sulla fede, ‘perché io possa conoscere lui, la potenza della sua risurrezione, la comunione alle sue sofferenze, facendomi conforme alla sua morte, nella speranza di giungere alla risurrezione dai morti’ (3,10s).
Alla radice di questo incontro con Cristo che cambia la vita e ci trasforma in creature nuove c’è la fede, a noi donata nel battesimo e accolta nella vita, alimentata dalla parola di Dio e nutrita dall’Eucaristia; fede che esperimenta l’incontro con Cristo nell’accettare il suo perdono.
Tutti abbiamo bisogno del perdono di Cristo, perché tutti siamo peccatori. La nostra vera sciagura non è nemmeno il peccato, quanto il disperare del perdono del Signore o pensare di non averne bisogno.
La donna del vangelo di oggi, colta in flagrante adulterio e portata davanti a Gesù, può dire di aver incontrato Cristo in conseguenza del suo peccato. Anche qui si può dire: ‘O felix culpa!’. Anche lei ha fatto l’esperienza che il Figlio di Dio ‘non è venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo‘ (cfr Gv 12,47). Gesù ha pure detto che è venuto non per i giusti, ma a chiamare i peccatori a convertirsi. ‘E di questi il primo sono io’, dobbiamo aggiungere tutti con San Paolo (1 Tim 1,15). Il problema quindi non è nemmeno il peccato, quanto il riconoscere di essere peccatori, di aver bisogno di perdono, chiederlo e accoglierlo.
Cos’è che ha cambiato la vita alla donna del Vangelo? Non gliel’avrebbe certo cambiata la lapidazione, se fosse stata applicata la legge di Mosè. Ciò che ha cambiato la vita a quella donna è stato l’incontro con Cristo: ‘Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più’.
Possiamo sicuramente pensare che se quella donna non è più caduta nel suo peccato non sarà stato per la paura della legge di Mosè, ma perché è rimasta sconvolta da questo Rabbì che non l’ha condannata e le ha detto di non peccare più. L’incontro con Cristo cambia la vita.
Cominciare ad incontrare Gesù nel perdono, poi continuare nell’accettare la croce, poi le opere di carità verso i piccoli e i poveri, per poterlo poi riconoscere nell’Eucaristia quando Egli viene incontro a noi. Le vie lungo le quali il Signore ci tende il suo agguato sono le più diverse, ma hanno come unico scopo di farci incontrare Lui.
L’esempio di P. Daniele, che
Abbiamo raccolto nella liturgia di oggi il racconto della liberazione di un popolo dall’esilio, di una donna dalla solitudine del suo peccato; abbiamo sentito l’invito a liberarci dalle cose di questo mondo che sanno di vecchio, per correre con Cristo verso la perfezione: nessuno può dire di averla conquistata, fintanto che è in questa terra; ma continuiamo a ‘correre verso la meta, al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù’.