OMELIA per la Solennità di TUTTI I SANTI

Faenza - Basilica Cattedrale, 1 novembre 2016
01-11-2016

Oggi la Chiesa onora e ricorda tutti i suoi figli, quelli passati e presenti. Nella prima lettura, l’autore del libro dell’Apocalisse li descrive come «una moltitudine immensa» che nessuno può contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua (cf Ap 7,9). Tra di essi sono compresi i santi dell’Antico Testamento, a partire dal giusto Abele e dal fedele Patriarca Abramo, quelli del Nuovo Testamento, i numerosi martiri dell’inizio del cristianesimo e i beati e i santi dei secoli successivi, sino ai martiri e ai testimoni di Cristo del nostro tempo. Nel mondo oggi vi sono 150 milioni di cristiani perseguitati. Anch’essi entrano nel novero dei figli di Dio che oggi festeggiamo. Tutti sono accomunati dalla volontà di essere di Cristo, di incarnare nelle loro esistenze i suoi sentimenti, di lottare come Lui contro il male col bene, di perdonare, secondo il suo insegnamento, settanta volte sette, cioè sempre.

Nella moltitudine dei santi non vi sono solo quelli canonizzati, ufficialmente riconosciuti e posti sugli altari, ma i battezzati di ogni epoca e nazione. Della gran parte di essi non conosciamo i volti, ma con gli occhi della fede li vediamo risplendere, come astri pieni di gloria, nel firmamento di Dio. Oggi non festeggiamo solo coloro che sono in paradiso ma anche coloro che camminano su questa terra, verso l’approdo definitivo. Sant’Agostino raffigura la Chiesa come un popolo immenso che si muove, quale corteo sterminato di persone, verso la Gerusalemme celeste. Di questo popolo una parte è ancora quaggiù, pellegrino sulla terra. Un’altra parte è giunto in prossimità di quel tempio di luce ove coloro che vedono il volto di Dio faccia a faccia esultano e gioiscono godendo la sua piena comunione. Si tratta di coloro che debbono ancora purificarsi e perciò si trovano nel pronao, all’entrata del tempio, in attesa di fare il loro ingresso definitivo.

La liturgia di oggi desidera che ci vediamo per quello che siamo: una grande e sconfinata comunione. Formiamo la comunione dei santi del cielo e della terra. La formiamo grazie a Colui che si è fatto uomo, ed è morto e risorto. Incarnandosi si è unito a ciascuno di noi. Risorgendo ci porta con sé e ci fa sedere accanto al Padre vittoriosi sulla morte.

Cristo è il pontefice massimo, ossia il ponte che unisce, noi che viviamo sulla sponda della mortalità e i nostri cari, che sono approdati sulla sponda dell’immortalità. Le nostre preghiere passano sul ponte che è Cristo e possono aiutare coloro che hanno bisogno di purificazione. Sempre attraverso Cristo, coloro che si sono già stabilizzati nella vita eterna, ci aiutano con la loro intercessione e la loro solidarietà. Nella santa Messa di oggi è attivo il Pontefice Massimo, Gesù Cristo, che unisce tutti i credenti, quelli passati e presenti.

Le beatitudini che abbiamo sentito proclamare secondo il Vangelo di san Matteo indicano il programma di vita dei credenti. È il manifesto della vita cristiana. Nel contesto odierno della Solennità di tutti i santi, le beatitudini indicano la strada da percorrere per vivere santi ed immacolati al cospetto di Dio. Grazie alle opere buone, ad una condotta bella si è sale che dà sapore, luce che illumina il mondo, si ha un cuore in sintonia con Dio e con la sua volontà.

Tra le beatitudini (cf Mt 5, 1-12a) troviamo una parola che riveste un’importanza particolare per la nostra vita: «giustizia». «Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati». E ancora: «Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli». Si tratta non tanto e solo della giustizia umana, quella sociale, ma in particolare della giustizia cristiana che comprende quella umana.

La giustizia di cui parla la Bibbia e con essa Matteo, implica tutti i doveri che si hanno verso il prossimo, ma specialmente quelli che abbiamo verso Dio. Abbiamo dei doveri verso Dio. La giustizia è il rispetto e la fedeltà ai diritti di Dio, quali sono stati precisati con l’Alleanza e sono stati confermati ed approfonditi con l’Incarnazione di Cristo, la nuova alleanza tra cielo e terra. I diritti di Dio obbligano a determinati doveri verso di Lui e verso il prossimo. Dio ha dei diritti su di noi. Ma, domandiamoci, quali sono i diritti di Dio? Li abbiamo dimenticati? La misericordia di Dio nei nostri confronti non ci esime dal conoscerli, non li abolisce. Per capire quali possano essere i diritti di Dio richiamiamo alcuni Comandamenti: «Io sono il Signore tuo Dio. Non avrai altro Dio fuori di me». «Non nominare il nome di Dio invano. Ricordati di santificare le feste». Il primo Comandamento chiama l’uomo a credere in Dio, a sperare in lui, ad amarlo al di sopra di tutto, con tutto il cuore e la mente. Esso ci richiama alla virtù della religione, ad adorarlo, a pregarlo, a rendergli il culto dovuto, a mantenere le promesse (non escluse quelle battesimali), fatte sia come singoli sia come comunità. Basta questo cenno per capire cosa sono i diritti di Dio.

In una società in cui domina l’idolatria del proprio «io» è difficile pensare ai diritti di Dio, come anche a quelli del nostro prossimo. Per riconoscerli occorre essere poveri in spirito, vuoti di sé, privi dell’orgoglio che ci gonfia. Occorre essere «puri di cuore», «piccoli» dentro. Solo così si può riconoscere Dio come Padre, Sommo Amore e, perché tale, nostro Redentore. Proprio la sua paternità importa che i figli gli riconoscano dei diritti. Solo così possiamo riconoscere negli altri i nostri fratelli e incominciare a capire e a vivere la fraternità in tutte le sue sfaccettature. Chi toglie dal proprio cuore l’inclinazione cattiva che ripiega su se stessi riesce a vedere Dio per quello che è: Amore eterno e Verità assoluta, Agápe e Lógos, principio e fine di tutto.

Chi è mite ed umile di cuore, chi ha un cuore puro conosce Dio e gli altri per connaturalità, per empatia. Solo chi vive la santità morale nella propria vita, e vede il proprio peccato, è in grado di avvicinarsi a Dio e di riconoscergli i diritti di Padre misericordioso. Chi è chiuso in se stesso e ha un cuore di pietra è insensibile alla Bontà e alla sua Misericordia, pur avendo la capacità di conoscerle. Solo Dio, con la sua vicinanza, con il suo calore amoroso può sciogliere il ghiaccio del nostro spirito e costituirci in popolo santo, popolo di figli e fratelli. A questo proposito, sono illuminanti le parole del profeta Geremia: «Darò loro un cuore perché conoscano che io sono il Signore. Saranno il mio popolo ed io sarò il loro Dio e ritorneranno a me con tutto il cuore» (Ger 24,7; 31, 31-34). Abbiamo bisogno di ricevere un cuore nuovo. Non ci facciamo e non diventiamo santi da soli.

L’unica condizione è che, come ha fatto Zaccheo, di cui ci ha parlato il Vangelo di domenica scorsa, accogliamo a casa nostra Gesù Cristo, che desidera entrarvi. Nella celebrazione eucaristica odierna accogliamo Gesù che si fa pane. Nutriamoci di Lui, del suo amore, per viverlo. Preghiamo per i nostri fratelli defunti, siamo popolo di Dio degno di Lui, tre volte Santo.