Cari fratelli e sorelle, nel brano tratto da Isaia (60, 1-6), il profeta incoraggia il popolo d’Israele ad alzarsi, a rivestirsi di luce, perché viene il Salvatore. Sollecita ad andare incontro con solerzia alla Luce. Il Salvatore è la luce di Dio che viene a noi. Quando il popolo lo accoglie diventa, a sua volta, luce che risplende ed illumina, punto di riferimento verso cui cammineranno i popoli della terra: «Cammineranno le genti alla tua luce, i re allo splendore del tuo sorgere», profetizza Isaia. Il popolo di Dio vivrà con cuore palpitante una grande missione: essere punto di convergenza e di unificazione della grande famiglia umana.
La Chiesa, ci fa capire san Paolo nella sua Lettera agli Efesini (Ef 3, 2-3.a 5-6), dispiega indomita la sua missione in maniera analoga. Essa è chiamata a far risplendere nel mondo la luce di Cristo, riflettendola in se stessa come la luna riflette la luce del sole. I discepoli di Cristo, al pari di san Paolo, dovranno attrarre, mediante la testimonianza dell’amore, tutti gli uomini a Dio. È l’amore di Cristo la luce che illumina ed avvince. Le genti, afferma l’apostolo, sono chiamate, in Gesù Cristo, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa, per mezzo del Vangelo.
L’arrivo dei Magi dall’Oriente a Betlemme per adorare il neonato Messia, guidati dalla stella, realizza in anticipo un tale disegno. Come la stella, così la Chiesa, dev’essere segno della manifestazione del Re universale ai popoli. L’Epifania, afferma san Leone Magno, suggerisce ai credenti d’imitare il servizio che la stella rese ai Magi d’Oriente guidandoli fino a Gesù (cf San Leone Magno, Disc. 3 per l’Epifania, 5: PL 54, 244).
Particolarmente istruttivi sono, peraltro, la ricerca dei Magi, il loro incontrarsi con la Luce vera, Gesù, l’essersi prostrati davanti a Lui, donandogli oro, incenso e mirra, l’averlo adorato. Il loro stesso ritorno a casa insegna qualcosa. Mentre i doni offerti appaiono un atto di appagante riconoscimento di Gesù quale Re e Dio – l’incontro con il Salvatore si traduce, infatti, nell’intimo dono di se stessi a Lui, scegliendolo come il Tutto – la modalità del loro rientro in patria indica che essi si dissociano nettamente da Erode, re bugiardo e crudele. La conseguenza che ne deriva è che prendono un’altra strada. Commenta sant’Agostino: «Anche noi, riconoscendo Cristo nostro re e sacerdote morto per noi, lo abbiamo onorato come se avessimo offerto oro, incenso e mirra; ci manca soltanto di testimoniarlo prendendo una via diversa da quella per la quale siamo venuti» (Sermo 202. In Epiphania Domini, 3,4). La testimonianza si nutre di una conversione incessante a Colui che rinnova e fa rinascere.
La vita di Paolo, dopo la sua conversione, è stata una «corsa» per portare ai popoli la luce di Cristo e, viceversa, condurre i popoli a Cristo. La grazia di Dio, trasformando il suo animo, ha fatto di Paolo una «stella» per le genti. Il suo ministero è esempio per riscoprirci essenzialmente missionari e per rinnovare l’impegno dell’evangelizzazione con slancio, senza pause, nelle nuove condizioni di vita.
In sostanza, la Parola di Dio ci sprona a vivere con entusiasmo e coraggio il nostro essere missionari. Già l’anno Giubilare della Misericordia ci ha fatto riscoprire questa dimensione fondamentale del cristiano. Ad anno pastorale già inoltrato non dimentichiamo le scelte dalla nostra Diocesi, tra le quali quella di recepire l’esortazione apostolica Evangelii gaudium, in modo da convertirci ulteriormente come popolo di Dio e da presentarci al mondo come persone trasfigurate dall’esperienza profonda di Cristo, vivendo con Lui un’intimità itinerante. Ciò che ci consente di essere luce per i nostri contemporanei, in mezzo ai molteplici problemi della nostra società, è, infatti, l’esperienza di un rinnovato incontro con Gesù: un incontro che torna ad affascinarci, a fornirci le motivazioni profonde della missione, per comunicarlo a tutti, come il tesoro più prezioso che abbiamo a disposizione. Solo Lui risponde alle attese e alle speranze del cuore degli uomini e delle donne, dei giovani e dei bambini. Solo Lui salva, nessun altro. Solo Lui è principio di ogni rinnovamento spirituale e sociale.
Trasfigurati dall’incontro assiduo con Gesù, rivestiti della sua Luce, diventiamo un popolo giovane, che ha passione per Gesù e che si mobilita per portarlo a tutti, anche agli immigrati, in particolare alle nuove generazioni, affinché lo vivano nelle molteplici dimensioni della vita. Credenti e non credenti, italiani e non italiani, tutti hanno il diritto di conoscere ed amare Gesù Cristo, perché ogni persona è strutturata a sua immagine. La missione è la passione di chi si sente appartenere a Cristo e ritiene che la sua felicità più grande consista nel vivere Lui, nel generalo in se stessi e negli altri. Come seppe fare Maria di Nazareth, divenuta Madre di Dio. Essere «popolo giovane» vuol dire anche coinvolgere letteralmente i giovani nell’annuncio e nella testimonianza di Lui. Accompagniamoli nell’incontro con Gesù, aiutiamoli a sentirsi suoi, preparando con passo graduale ma costante il Sinodo diocesano dei giovani, con i giovani, per i giovani. Rivanghiamo e ridefiniamo l’orizzonte educativo dell’esperienza cristiana. Mostriamo come la fede offre risposte pregnanti agli interrogativi dei nostri giovani. Non dobbiamo correre il rischio che la nostra proposta di fede appaia lontana ed estranea al loro anelito di senso, al loro desiderio di compimento. Essi non sono solo creature, e neanche soltanto esseri superiori a tutti gli altri esseri viventi. Sono figli e figlie «capaci di Dio», creati per amore e per la salvezza, per essere protagonisti di «cieli e terra nuovi». Sono invitati ad essere figli di Dio nel Figlio, a non deludere il sogno o, meglio, la «fede di Dio» nei loro confronti.
Affascinati da Cristo, Uomo Nuovo, consideriamo la nostra missione non un peso che ci sfinisce, bensì una sorgente inesauribile di felicità e di rinnovato entusiasmo, tra le inevitabili fatiche di ogni giorno. Più siamo missionari di Cristo, più sperimentiamo una gioia che ripaga e contagia. Essa rifulge sul nostro volto di salvati. Ma anche l’abbondanza della vita divina, riversata su coloro che amiamo, moltiplica la nostra gioia, perché l’opera di Dio, incarnata nella vita delle persone, incoraggia e sorregge i nostri piccoli sforzi. Siamo chiamati nel nostro territorio e nelle nostre comunità ad un nuovo ardore, ad una nuova audacia. Non sottraiamoci. La Madre del Vangelo vivente interceda per noi, in questa stagione che richiede un’abbondante seminagione, un lavoro appassionato nella vigna del Signore, nell’attesa di nuovi germogli vocazionali e missionari.