Cari fratelli e sorelle, in questa domenica, in cui la Parola di Dio ci parla di lebbrosi emarginati dalla società (cf Lv 13, 1-2.45-46), di Gesù che guarisce il lebbroso che implora di purificarlo dal suo male, un male che separava dalla società, ma anche da Dio, secondo la mentalità del tempo, celebriamo la 26.a Giornata mondiale del malato. Non è un caso che il vescovo e numerosi fedeli cristiani siano qui presso questa struttura ospedaliera civica, ove ci si prodiga nel servizio e nella cura degli ammalati. Per onorare e vivere intensamente questa Giornata mondiale celebriamo la santa Messa, che ci sollecita a porre al centro del nostro incontro e della nostra preghiera il sacrificio di Gesù Cristo, ovvero il mistero della sua morte e risurrezione. Il Messaggio di papa Francesco per questa Giornata mondiale del malato vuole aiutarci a riflettere sul nostro servizio ai fratelli malati a partire proprio da Gesù innalzato sulla croce. Le parole di Gesù rivolte a Maria – «Donna, ecco tuo figlio» -, la sollecitano a continuare la sua maternità nei confronti dell’umanità. Come? Amando e generando figli capaci di amare come Gesù, senza limiti, sino al dono totale della propria vita. Con la consegna di Maria, da parte di Gesù, a Giovanni – «Ecco tua madre» (Gv 19, 26-27) -, la sua vocazione materna passa al discepolo prediletto e a tutta la Chiesa. Anche la comunità cristiana, come Maria, è chiamata a generare figli, capaci di amare al pari di Gesù Cristo, che si offre come vittima espiatrice per la salvezza del mondo. Di fatto, la Chiesa esercita, nei confronti dei malati, la sua vocazione materna aiutandoli concretamente, mediante una serie di iniziative e di istituzioni che curano sia il corpo sia lo spirito. Nella sua storia bimillenaria, la Chiesa, mediante Istituti e Congregazioni religiosi, benefattori, ha posto in essere strutture ospedaliere, cliniche, ambulatori, case di cura. In un contesto in cui oggi si esalta il profitto, c’è il compito di preservare, specie gli ospedali cattolici, dal rischio dell’aziendalismo, che in tutto il mondo, come scrive papa Francesco nel suo Messaggio, cerca di far entrare la cura delle persone nella logica del mercato, che si muove secondo lo scambio degli equivalenti. La carità e l’intelligenza organizzativa vorrebbero, invece, che la persona del malato fosse rispettata e posta al centro del processo di cura. In cima a tutto dovrebbero esserci gli uomini e le donne, non il denaro, per quanto non se ne possa fare a meno. Se quanto detto rappresenta un rischio reale, rispetto al quale anche il mondo cattolico deve reagire, non va tuttavia dimenticato che la Chiesa espleta la missione, affidatale dal Signore Gesù, nelle strutture gestite sia da privati sia dallo Stato, soprattutto aiutando gli ammalati a vivere le loro sofferenze uniti a Cristo, al suo Sacrificio, raggiungendo la sua statura morale e spirituale di Figlio, che offre la propria vita al Padre per la salvezza del mondo. Con riferimento a ciò, la pastorale della salute resta e resterà sempre un compito necessario, da vivere con rinnovato slancio, nel servizio disinteressato, a partire dalle comunità parrocchiali sino ai più eccellenti centri di cura, alle famiglie, che accompagnano figli, genitori, parenti, malati cronici o gravemente disabili.
Chi vive curando e servendo gli ammalati deve guardare anche alla loro vita interiore, alla loro affettività, alla loro unità di soggetti interi, personalizzando l’accompagnamento dal punto di vista psicologico, emotivo, religioso. Quanto amore è necessario per stare vicini ai nostri malati, sull’esempio di Gesù, medico del corpo e dello spirito. Le nostre vite, che spesso sono esistenze di corsa, come soleva dire il sociologo Baumann, rischiano di dimenticarsi delle persone sofferenti, di sfiorarle appena, senza incontrare il loro cuore, la parte più profonda del loro essere. Esse sono parte di noi, della nostra società solidale. Dobbiamo rendere il nostro servizio agli ammalati più compiuto, più cristiano. Curando i nostri fratelli e le nostre sorelle dobbiamo essere contemplativi, vedere in profondità, perché in ogni ammalato, in ogni anziano c’è Gesù Cristo. Amando e servendo gli ammalati, amiamo e serviamo Lui. Se non giungiamo a «toccare» il cuore degli ammalati con la tenerezza di Gesù Cristo che guarisce, non li solleviamo, non li incoraggiamo, non li amiamo come meritano: sono figli e figlie di Dio, ai quali spetta il suo amore. Senza essere toccati dall’amore dei fratelli e di Dio si muore spiritualmente, ma non solo. Viene meno la speranza. Non abbiamo paura, allora, di dare una carezza ai nostri ammalati. Non facciamo mancare le coccole ai nostri bambini sofferenti.
Questa Eucaristia ci illumini e ci rinfranchi. A Maria, Madre della tenerezza, affidiamo i malati nel corpo e nello spirito, perché li sostenga nel loro dono a Cristo. La preghiera alla Madre del Signore, che oggi ricordiamo anche come l’Immacolata di Lourdes, ci veda tutti uniti, perché ogni credente viva con amore la vocazione al servizio della vita e della salute. La Vergine Madre aiuti le persone ammalate a vivere la propria sofferenza in comunione con il Signore Gesù e sostenga coloro che, come medici, infermieri, personale ausiliario, volontari, cappellani, diaconi, si prendono cura di essi.