Care sorelle e fratelli,
nella 22.a Giornata mondiale della vita consacrata celebriamo la Festa della Presentazione del Signore, che chiude le feste natalizie. La prima lettura, tratta dal Libro del profeta Malachia (Ml 3, 1-4) è motivo di riflessione per tutti i credenti, ma in modo particolare per le persone consacrate al Signore. Ecco le parole del profeta Malachia: «Chi sopporterà il giorno della sua venuta? Chi resisterà al suo apparire? Egli è come il fuoco del fonditore e come la lisciva dei lavandai; siederà per fondere e purificare l’argento; purificherà i figli di Levi, li affinerà come oro e argento, perché possano offrire al Signore un’offerta secondo giustizia».
Il Signore Veniente non giunge in mezzo a noi per lasciare le cose come stanno, anche nei nostri conventi o case religiose. Egli scende per purificare tutti, non escluse le persone dedite al culto, le claustrali, i religiosi e le religiose, i laici. Il Signore viene per renderci più autentici, più capaci di servire, mediante l’offerta disinteressata e generosa di noi stessi. L’azione di rinnovamento del Signore nei confronti delle persone a Lui consacrate non è fine a se stessa, non finisce nelle persone che ne sono investite. Come Maria e Giuseppe che ascendono al tempio e vi sostano, anche le persone consacrate diventano partecipi della profezia concernente il Messia. Maria e Giuseppe incontrando gli anziani profeti Simeone ed Anna, sentono cantare sia il futuro di salvezza preparato da Dio per i popoli della terra, sia il futuro di sofferenza del Figlio di Dio. Il padre e la madre di Gesù sono benedetti da Simeone e Maria si sente dire: «Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione – e anche a te una spada trafiggerà l’anima – affinché siano svelati i pensieri di molti» (Lc 2, 22-40).
Le persone consacrate, spose di Cristo, sono chiamate a condividerne il destino. Anch’esse hanno la missione di essere nel mondo, al pari del Messia, segno di contraddizione. Come Gesù Cristo non è venuto a portare pace sulla terra ma la divisione (cf Mt 10,34), così è per coloro che si consacrano a Lui, cercandolo incessantemente, notte e giorno.
La scelta di Cristo non rende le persone consacrate inerti, rassegnate allo status quo, sia nelle proprie comunità sia nel mondo. La loro presenza nel mondo non è neutra, incolore ed ininfluente. La loro vita, completamente dedita a cercare il volto di Dio, a conoscerlo e ad amarlo, è posta totalmente a servizio di un amore pieno di verità, che sbaraglia il male, il diavolo, colui che ha il potere della morte (cf Eb 2, 14-18). Sono a servizio completo di Dio, ma contemporaneamente si prendono cura dei fratelli e delle sorelle, della loro fioritura umana e divina. Diventando degni di fede nelle cose che riguardano Dio, modello di sacerdozio, ovvero di consacrazione totale a Dio, concorrono ad innalzare la vita spirituale e morale della città.
La vita delle persone consacrate non è tutta racchiusa nelle mura del convento o della casa religiosa. Pur essendo vita nascosta, trasborda dalle pareti, si proietta nel mondo, raggiunge le vicende dell’umanità. È vita per Gesù Cristo e per il suo corpo mistico. È esistenza che si offre per l’unità e la pace. Il demonio porta divisione, inimicizia, menzogna. Chi è del Signore porta la primavera dello spirito, la testimonianza di un dono disinteressato, del servizio senza secondi fini, il principio dell’unità e della concordia.
Care sorelle e fratelli, al termine di questa omelia, vi esorto ad essere nella nostra chiesa locale persone votate a Cristo, persone che tessono l’unità e sono maestre nel servizio della comunità e non ambiscono a tenere sequestrate le persone a sé, bensì le portano a Gesù Cristo. Il posto che si occupa nella Chiesa non è per se stessi, bensì per il bene di tutti. Essere di Cristo equivale ad essere di tutti, per tutti. In vista di questo servizio occorre avere innanzitutto cura della propria vita interiore, la quale è la prima e più importante attività missionaria e pastorale. In secondo luogo, non rinunciate a camminare in cordata, sottovalutando che il vostro ministero ha una radicale forma comunitaria, che non equivale ad un somma di tanti. La vostra missione nella Chiesa è sempre un’opera collettiva, tramite cui non ci si può ritenere padroni della vigna del Signore (cf Mt 21, 33-46), dimenticando di essere suoi collaboratori (cf Mt 20, 1-16). In terzo luogo, regola di vita delle persone consacrate e impegnate pastoralmente è lo studio: perché il proprio ministero ecclesiale possa essere e restare tale – ossia servizio pastorale – occorre tenere in alta considerazione lo studio della sacra Scrittura, nonché l’esperienza di una fede incarnata nel mondo contemporaneo. Chi non studia e pretende di insegnare, ebbe a scrivere Gregorio Magno nella sua Regula pastoralis, è un temerario. Quanto più uno desidera essere maestro di vita cristiana tanto più dev’essere esperto intellettualmente ed esperienzialmente della Parola di Dio. Le monache, i pastori, gli educatori alla fede non possono non studiare la sacra pagina, le scienze teologiche ed umane: interrogati dalla loro gente circa le realtà spirituali e morali, non possono mettersi a farfugliare risposte vane o superficiali, specie quando è il momento di offrire chiarezza, prospettare soluzioni credibili e fondate. E, tuttavia, la prima lezione di chi desidera essere maestro di fede è la sua vita. Studio-vita è un binomio inscindibile. L’annuncio è ben fatto quando non si scorpora il detto dal fatto: la Parola studiata, pregata, deve diventare Parola vissuta. Cristo stesso mostrò nella sua persona tutto ciò che insegnò. Gesù incominciò a fare e a insegnare (cf At 1,1). In questa Eucaristia accogliamo, celebriamo, viviamo il Verbo di Dio che si fa carne, muore e risorge.