Omelia per la Festa di Santa Chiara

11-08-2018

La nostra vita di credenti è un intero come unità di umano e divino. Con l’incarnazione di Gesù Cristo – il Verbo si è fatto carne – l’umano e il divino sono compenetrati. Non sono disgiungibili. La vita divina permea e modella la nostra esistenza umana rendendola più simile a quella di Dio. L’esistenza umana fiorisce e giunge a compimento quanto più è pervasa e animata dal divino. L’umano, lievitato, non è diminuito in dignità. Si configura sempre più secondo un’esistenza trinitaria, fatta di relazioni di dono disinteressato, strutturata a tu, come un essere per l’altro.

La vera vita umana non è senza la vita divina dei figli di Dio, non è separabile dalla vita del Figlio di Dio. È vita nel Figlio. Qui riscontriamo il realismo della vita cristiana. La realtà vera di ogni persona non è l’umano da solo, bensì il binomio umano e divino, insieme.

Con la solennità di santa Chiara, abbiamo l’opportunità di riflettere sulla sua vita di professionista della trascendenza. Ci consente di addentrarci nelle connessioni più intime del realismo antropologico cristiano. E così possiamo capire come possiamo trasfigurare l’umanità ferita dall’egoismo e dalle divisioni. Di questo ne abbiamo un urgente bisogno, perché viviamo in un clima culturale che tende a disgiungere l’umano dal divino, a impoverirlo. Il divino viene sempre più ignorato e vanificato nella sua forza trasformante.

Santa Chiara ci sollecita a dare il primato allo spirituale, a quel divino che ci abita e ci pone in una condizione di eternità. Con la sua esistenza, ha svolto un ministero d’amore nei confronti dell’umanità, insegnando proprio il primato del divino. Lungo tutta la sua vita ha investigato e frequentato assiduamente la dimensione divina dell’esistenza umana, quella che appare più recondita. Ha compreso che anche se il nostro essere esteriore si va disfacendo, quello interiore si rinnova di giorno in giorno, grazie al Signore della vita (cf 2 Cor 4, 4,16). Di fronte al peso delle tribolazioni quotidiane ci sostiene la crescita del guadagno delle cose di lassù.

Fissando costantemente il suo sguardo sulle cose invisibili che sono eterne e durano oltre il tempo (cf 2 Cor 4,18), Chiara ha guardato alle persone e alla storia al modo di una sentinella che scruta le profondità dell’essere.

Come san Paolo è stato chiamato a svolgere un ministero nei confronti delle genti, così Chiara, assieme al poverello di Assisi, Francesco, ha svolto un servizio nei confronti dell’umanità dei suoi tempi. Ha aiutato i suoi contemporanei – e può aiutare anche noi, specie i nostri giovani sinodali – a privilegiare le cose invisibili, la dimensione interiore e nascosta del nostro essere. Specie per chi, come noi, è sempre di corsa ciò non è inutile o tempo sprecato. Ci fa giungere alle radici della fecondità della nostra vita. Quanto più coltiviamo la dimensione divina e trascendente tanto più la nostra esistenza di relazioni, di impegno comunitario si trasforma e si conforma secondo la vita trinitaria di Dio. Ossia si orienta ad una vita essenzialmente pro-essere disinteressato, vita per gli altri e per Dio, amore del prossimo in Dio. Quanto più, come ci ha detto il Vangelo di Giovanni (cf Gv 15, 4-10), rimaniamo in Cristo, alla maniera dei tralci uniti alla vite, tanto più porteremo frutti d’amore, saremo generativi di una vita nuova, non solo per noi stessi, ma per i nostri fratelli. Giovanni afferma: Gesù, e non altri, è in grado di offrirvi quella vita che andate cercando.

Care sorelle claustrali, grazie per la vostra testimonianza del primato di Dio nella vita. Voi guardate il mondo secondo la logica di Dio, logica di amore e di croce, logica di divinizzazione. Ciò vi sollecita a manifestare la vita attraverso una morte quotidiana (cf 2 Cor 4,10), a rinnovare ogni giorno il mondo visibile ed esteriore con la potenza d’amore che proviene dal mondo interiore. Grazie alla vostra consacrazione, la nostra vita è sollecitata a coltivare la connessione con Dio, a conformarsi sempre più a quella divina. È la continua immersione nello spirituale, che ci rende più atti a trasfigurare la vita terrena, rendendola più capace di far trasparire la realtà interiore.

Il vostro esempio sollecita una nuova pastoralità per il nostro presbiterio: una pastoralità orante, contemplativa e per ciò stesso più profonda ed incidente sulle persone, sulla storia. Così, indica la fonte di un autentico rinnovo dell’impegno sociale e politico, una nuova cultura della vita, come disponibilità a perdere se stessi per l’altro. Aiuta a superare il dilettantismo, la superficialità, per rimanere ancorati alle persone concrete. Solo dalla frequentazione di Colui che è Logos, Verbo fatto carne, deriva densità di pensiero, impegno missionario che partecipa alla ricapitolazione di tutto in Cristo Uomo-Dio. Grazie alla contemplazione di Cristo possiamo comprendere l’unione e la sintesi dell’umano e del divino, il futuro di risurrezione che attende la nostra fragile umanità.