La liturgia oggi festeggia gli Arcangeli Raffaele, Gabriele e Michele, che è patrono di questa bella comunità. Come ebbi modo di dire già l’anno scorso, la Sacra Scrittura e la tradizione della Chiesa, ci presentano gli angeli attraverso due tratti distintivi. Da una parte, l’Angelo è una creatura che sta davanti a Dio, è orientata con tutto il suo essere verso Dio. Non a caso, tutti e tre i nomi degli Arcangeli che oggi festeggiamo, finiscono con la parola “El”, che significa «Dio». Dio è scritto nei loro nomi e nel loro essere. La loro vera natura è l’esistenza in vista di Lui e per Lui. Il secondo tratto è collegato col primo: essi sono messaggeri di Dio. Sollecitano ad accogliere Dio e il suo progetto. Possiamo dire che essi svolgono il compito di missionari. Invitano ad accogliere Dio per diventarne annunciatori coraggiosi, capaci di sconfiggere il male e di instaurare il regno del nostro Dio.
Come ci ricorda il libro dell’Apocalisse, Michele e i suoi angeli combattevano contro il drago che fu precipitato. Il diavolo, che seduce tutta la terra, fu sconfitto grazie al sangue dell’Agnello (cf Ap 12, 7-12a). Gli angeli collaborarono, dunque, con Cristo perché la salvezza si compisse.
Anche noi, al pari degli angeli, siamo chiamati a collaborare con l’opera del Redentore, divenendone annunciatori, missionari in tutto il mondo. Solo se l’umanità accoglie maggiormente Gesù Cristo può sconfiggere i mali odierni, che finiscono per colpire anche le nostre famiglie e i nostri giovani. La misura della nostra santità è data dalla statura che Cristo raggiunge in noi.
Detto diversamente, la festa degli Arcangeli, in particolare di san Michele, ci offre una ragione in più, all’inizio del nuovo anno pastorale, di essere ricettori, convinti e metodici, della esortazione apostolica Evangelii gaudium che sollecita a mettere in cantiere una nuova tappa evangelizzatrice, perché Cristo sia tutto in tutti. Dio, infatti, ci ha predestinati ad essere conformi all’immagine del Figlio suo (cf Rm 8, 29). La nostra vita sarà viva, come scrisse sant’Agostino, quando sarà piena di Lui (cf Confessioni, 10,28).
Come sapete la nostra Chiesa che è in Faenza e Modigliana, come peraltro tutte le Diocesi d’Italia, hanno ricevuto da papa Francesco, il compito di leggere, meditare e tradurre in pratica il testo dell’esortazione ove Egli descrive la Chiesa che sogna e che vorrebbe si realizzasse in tutto il mondo: una Chiesa che annuncia il Vangelo con gioia, più missionaria, mediante tutte le sue componenti, nessuna esclusa. Per essere comunità cristiana più capace di evangelizzare, di fare figli, direbbe papa Francesco, dobbiamo convertirci sul piano religioso, pastorale, pedagogico, e del discernimento. In particolare, occorre amare di più Gesù, passare da un’azione di semplice conservazione dell’esistente, del «si è fatto sempre così», ad un’azione che non lascia le cose così come stanno. Ci vuole una permanente riforma di sé, delle strutture ed istituzioni ecclesiali, comprese le parrocchie (cf EG n. 28), le associazioni, le organizzazioni e i movimenti, per renderli più funzionali o, meglio, ministeriali all’evangelizzazione e alla connessa opera di umanizzazione. Noi abbiamo associazioni che portano nel loro Statuto il riferimento al Vangelo e alla Dottrina sociale della Chiesa, ma questi sembrano essere spariti dall’orizzonte dei soci. In un contesto di individualismo radicale e globalizzato, l’azione pastorale, rammenta papa Francesco, deve mostrare, meglio che in passato, che essendo noi strutturati ad immagine della Trinità, dobbiamo essere portatori di una comunione che guarisce, promuove e rafforza i legami interpersonali e sociali (cf EG n. 67). Per papa Francesco occorre formare adeguatamente gli operatori pastorali a superare una sorta di complesso di inferiorità, che li conduce a relativizzare o ad occultare la loro identità cristiana e le loro convinzioni, quasi dissociandosi dalla loro missione evangelizzatrice (cf EG n. 79); occorre formare a sconfiggere quel relativismo pratico che consiste nell’agire come se Dio non esistesse, nel decidere come se i poveri non esistessero; occorre educare a vincere la «desertificazione spirituale» delle nostre società, a vivere il realismo della dimensione sociale del Vangelo, scoprendo nel volto dell’altro il volto di Cristo (cf EG n. 88), a sperimentare la «mistica» del vivere insieme, fraternamente (cf EG n. 92), a deporre la pretesa di dominare lo spazio della Chiesa (cf EG n. 95), a non essere in guerra tra credenti (cf EG n. 98); urge formare un laicato non introverso, bensì capace di far penetrare i valori cristiani nel mondo sociale, giuridico, politico ed economico (cf EG n. 102).
Quanti impegni! Tutto dev’essere compiuto per rendere le nostre comunità parrocchiali e le nostre associazioni più capaci di evangelizzazione e di testimonianza credibile.
In questa celebrazione patronale mi permetto di offrire solo due sollecitazioni. La prima è quella di avvalersi seriamente del Sussidio che è stato preparato per le nostre parrocchie e distribuito in cattedrale. Tuttavia, non bisogna dimenticare di prendere in mano il testo dell’Evangelii gaudium. Deve diventare un testo di meditazione, di riflessione e di confronto tra adulti, operatori pastorali, tra catechisti, tra giovani universitari. Solo così ne potremo cogliere lo spirito che lo anima e renderlo forza propulsiva della pastorale e della catechesi. La seconda è di avere cura delle nuove generazioni di credenti. Senza giovani forti nella fede, capaci di rendere ragione di essa, il futuro missionario delle nostre parrocchie sarà praticamente nullo. Abbiamo, allora, cura di accompagnare i giovani nel loro cammino di approfondimento dell’amore a Gesù Cristo. Se non avranno un amore appassionato per Lui essi non potranno essere missionari nello Spirito, tra i loro coetanei e nei vari ambienti di vita.
Preghiamo san Michele Arcangelo che combatté e combatte contro il drago che sedusse e seduce la terra perché ci aiuti ad essere comunità giovane, capace, mediante un rinnovato slancio missionario, di generare figli. Una chiesa diventa sempre più giovane solo se riesce a generare nuovi figli. L’Eucaristia ci faccia un’intimità itinerante con Gesù Cristo, l’Inviato dal Padre, per portare salvezza a tutti. Siamo missione con Lui.