Bologna - Cattedrale, 28 gennaio 2017
28-01-2017
Cari confratelli, cara Famiglia salesiana,
don Bosco visse in maniera emblematica le beatitudini che abbiamo sentito proclamare (cf Mt 5, 1-12a). In particolare, egli ebbe sete e fame di giustizia. Desiderò che la giustizia fosse realizzata nei confronti dei giovani che egli incontrò nella sua vita, in particolare i più poveri.
A fronte di ragazzi e giovani orfani ed immigrati dalle valli Piemontesi e dalle campagne verso la città di Torino, don Bosco reagì accogliendoli, offrendo una casa, istruzione, lavoro e Dio.
Ancora oggi molti giovani sono immigrati, né studiano né lavorano, sono tenuti ai margini della società e non sono inseriti nel mondo del lavoro con gravi danni non solo per il loro futuro ma di quello del Paese e della stessa Chiesa. Le nostre diocesi dell’Emilia Romagna, in vista di una presenza incisiva del cristianesimo, hanno bisogno di nuove generazioni di fedeli laici e di sacerdoti.
Rispetto ai problemi che affliggono i nostri giovani, ma anche le nostre comunità parrocchiali, don Bosco appare ancora estremamente attuale. Nella sua festa guardiamo a lui e impariamo. Nelle sue case e nei suoi Oratori egli educava con il metodo preventivo, incentrato sul trinomio pedagogico: ragione, religione, amorevolezza, molti giovani. Nelle sue scuole e nelle sue opere sono maturate per la Chiesa migliaia di vocazioni sacerdotali e religiose. Per la società civile preparava «buoni cristiani ed onesti cittadini». Detto diversamente, il santo piemontese, definito da Pio XII una delle glorie più grandi della Chiesa e dell’Italia, ha offerto un contributo decisivo per il rinnovamento della Chiesa e della società.
Fermiamo l’attenzione sul fatto che la Chiesa ha, specie nei nostri territori, un estremo bisogno di giovani capaci di essere protagonisti nell’annuncio gioioso di Cristo e testimoni credibili del suo amore. Lo riconoscono i nostri vescovi e le nostre diocesi che registrano una preoccupante diminuzione delle vocazioni laicali, sacerdotali e religiose, per cui non si vede come nei prossimi anni si potrà far fronte al normale avvicendamento delle guide spirituali e agli impegni di umanizzazione delle istituzioni e della cultura, caratterizzata da un neoindividualismo radicale che distrugge i legami sociali e il fondamento del diritto. Lo ha riconosciuto la Chiesa universale attraverso il pontefice che ha programmato la celebrazione di un Sinodo dei vescovi avente per tema «I giovani, la fede e il discernimento vocazionale». Tutta la Chiesa ha bisogno dei giovani, per coinvolgerli nella sua missione. La nuova evangelizzazione di cui i nostri territori sentono l’urgenza, come anche un mondo più giusto e fraterno, possono essere realizzati con l’apporto originale dei giovani, grazie al loro desiderio di cambiamento e alla loro generosità. Il prossimo Sinodo dei Vescovi come sta per essere pensato ed attuato è momento di grazia. Viviamo, allora, nelle nostre comunità parrocchiali, nelle nostre famiglie, nelle nostre scuole cattoliche e nelle nostre università questa opportunità con impegno, con coinvolgimento sincero. Sia davvero un’occasione per educare i nostri giovani ad una fede che diventa vita e si traduce in attività missionaria nei confronti dei coetanei, battezzati o no. Don Bosco aiutava i suoi giovani a divenire i primi missionari dei loro compagni. Basti pensare a san Domenico Savio, al quale affidava i ragazzi più turbolenti e monelli per insegnare a loro l’impegno, il rispetto delle regole della convivenza, l’amore a Gesù. Assieme ad altri giovani, tra i quali Michele Rua, che sarà il primo successore di don Bosco, fonda una società, chiamata «Compagnia dell’Immacolata». Una tale associazione univa i giovani più volonterosi, desiderosi di essere piccoli apostoli tra gli altri. Don Bosco consigliò di darsi un regolamento, che fu steso dallo stesso Domenico Savio. Nelle nostre parrocchie, nei nostri circoli od oratori siamo in grado di suscitare gruppi di giovani che, con l’animazione, si prefiggono di collaborare con il parroco e di avviare gli altri giovani all’incontro con Gesù Cristo, all’impegno nel sociale? I giovani che abbiamo nelle nostre associazioni e nei nostri ambienti crescono con un chiaro senso di appartenenza a Cristo e alla sua Chiesa? Sono giovani messi in grado di armonizzare fede e vita? I ragazzi e i giovani che frequentavano le case di don Bosco avevano di fronte un esempio nitidissimo. Don Bosco stesso, che mostrava con la parola e l’azione che per lui la cosa più importante era amare Gesù e, in Lui, amare intensamente loro, lavorando giorno e notte, facendosi maestro anche nei mestieri, divenendo «sindacato» quando lavoravano presso i vari datori di lavoro, incoraggiandoli a far parte di «società di mutuo soccorso». È significativa la testimonianza di don Orione, exallievo dell’Oratorio di Valdocco, ora santo, che rivolgendosi ai suoi chierici nel 1934, l’anno della canonizzazione di don Bosco così si espresse: «Ora vi dirò la ragione, il motivo, la causa per cui don Bosco si è fatto santo. Don Bosco si è fatto santo perché nutrì la sua vita di Dio, perché nutri la nostra vita di Dio. Alla sua scuola imparai che quel santo non ci riempiva la testa di sciocchezze, o di altro, ma ci nutriva di Dio, e nutriva se stesso di Dio, dello Spirito di Dio. Come la madre nutre se stessa per poi nutrire il proprio figliolo, così don Bosco nutrì se stesso di Dio per nutrire di Dio anche noi».
In questi tempi tutti, giovani e adulti, siamo sommersi nel mondo della comunicazione e gli educatori e le stesse comunità cristiane constatano che è diventato più difficile comunicare coi giovani. Essi si allontanano quando non trovano risposte vere alle loro domande più profonde. Gli stessi Lineamenti del prossimo Sinodo dei Vescovi suggeriscono di colmare il divario spesso esistente tra il linguaggio ecclesiale e quello dei giovani. Anche su questo versante, così cruciale per l’incontro con Gesù, don Bosco fu geniale e può essere per noi un faro. Egli per i suoi giovani divenne scrittore, editore. Sicuramente egli avrebbe valorizzato tutti i mezzi moderni di comunicazione da internet a facebook, a twitter, a you tube, a instagram, al web. Nel contesto culturale del suo tempo egli si impegnò ad essere «missionario di verità», a favore di una cultura popolare umanista e religiosa.
Qualcuno ha definito don Bosco un autentico intellettuale di massa. Il noto semiologo Umberto Eco, scomparso tempo fa, ha percepito l’Oratorio organizzato da don Bosco come una macchina perfetta di comunicazione che gestisce in proprio, riutilizza e discute i messaggi provenienti dall’esterno. In tal modo, il progetto educativo dell’Oratorio nasceva stando nel mondo, divenendo però alternativo, non conformista, apportatore di innovazioni, considerate all’avanguardia per la sua epoca. Ecco, dunque, come comportarci in relazione ai mass media, che ci avvolgono con i loro messaggi e ci condizionano anche senza che ce ne accorgiamo, invitandoci ad essere spettatori passivi: fare delle nostre famiglie, delle nostre scuole, delle nostre associazioni, dei laboratori di una nuova cultura. Dovremmo seguire, su un altro piano, ciò che gli Ordini mendicanti del Medioevo, francescani e domenicani, vollero fare con le università: istituire dei centri culturali ove si confrontavano e si illuminavano i grandi problemi con la luce del Vangelo, coniugando fede e vita. Certo, per riuscire in questo intento, per ridare giovinezza ad una società e ad una cultura che invecchia intellettualmente e spiritualmente, dobbiamo essere tutti più preparati rispetto ai gravi problemi dell’oggi: dall’eutanasia alle manipolazioni genetiche, dall’ideologia del gender alle unioni civili, al testamento biologico, alle cure palliative, alla libertà religiosa. Ma, soprattutto, siamo chiamati ad uscire allo scoperto, a pronunciarci chiaramente, ad impegnarci per inscrivere nelle istituzioni i valori del Vangelo, come hanno saputo fare i cattolici del passato. Anche oggi c’è una carità della e nella verità, una carità pastorale ed intellettuale da esercitare, per illuminare le intelligenze ed accendere i cuori di amore per la verità, per forgiare nuove personalità, nuovi protagonisti nella vita sociale e politica, che non tengano la bocca chiusa quando sono accasati in conformazioni partitiche che non rispettano i diritti umani.
Non solo la Chiesa ha bisogno dei giovani, ma anche la società, la città, la cultura, la scienza, l’economia e la politica. I giovani costituiscono un potenziale di energie spirituali, umane e morali, davvero enorme, ma purtroppo sottovalutato e inutilizzato. Senza di essi è difficile il rinnovamento, non si può sperare in un futuro sicuro. Essi non debbono essere considerati buoni solo per il consumo, e non per la crescita. Come già accennato, don Bosco mal sopportava città e quartieri popolati da giovani allo sbando, a rischio, senza un’occupazione, istruzione e senza Dio.
Nel suo incontro con il mondo del lavoro a Torino, il 21 giugno del 2015, papa Francesco ha parlato di san Giovanni Bosco come di un gigante del metodo preventivo non solo nell’ambito pedagogico, ma anche in quello sociopolitico.[1] Il santo torinese insegnava che è possibile prevenire l’inequità e la violenza della società, promovendo la giustizia, ossia aiutando i giovani ad inserirsi nella società, offrendo loro l’istruzione necessaria per poter esercitare un mestiere o una professione.
Il mondo del lavoro contemporaneo è indubbiamente molto diverso rispetto a quello dell’Ottocento, epoca in cui visse don Bosco. E tuttavia, come ha osservato papa Francesco, la situazione della gioventù non è molto cambiata da allora. Molti in Italia, il 40 % circa è inoccupato, con il rischio di rimanere per sempre ai margini della società e dello sviluppo del Paese, senza potersi fare una famiglia e dare il proprio contributo al bene comune. Nell’incontro con la Famiglia salesiana, nella basilica di Maria Ausiliatrice, papa Francesco ha, pertanto, sollecitato Salesiani e Figlie di Maria Ausiliatrice, cooperatori ed ex-allievi, ad andare incontro ai giovani abbandonati a se stessi, offrendo la possibilità di ricevere un’educazione e una formazione professionale sia pure di emergenza. In un momento di crisi come il nostro, può essere indispensabile indirizzare i giovani anche a mestieri d’urgenza,[2] che non richiedono anni di studio, ma si apprendono alla scuola di artigiani provetti o mediante corsi professionalizzanti di breve durata, organizzati ad hoc. Oggi si tende, lodevolmente, a realizzare le condizioni di un reddito di cittadinanza o di inclusione. Non bisogna dimenticare che ciò non deve avvenire favorendo la passività dei cittadini. È meglio, allora, investire di più sulle vie rappresentate dall’istruzione, dall’aggiornamento professionale e dalle politiche attive del lavoro.
Don Bosco ha, dunque, ancora molto da insegnare. In questa Eucaristia alimentiamo il nostro amore per Dio, per la Chiesa e per i giovani facendo comunione con Cristo, missionario d’amore tra di noi.
don Bosco visse in maniera emblematica le beatitudini che abbiamo sentito proclamare (cf Mt 5, 1-12a). In particolare, egli ebbe sete e fame di giustizia. Desiderò che la giustizia fosse realizzata nei confronti dei giovani che egli incontrò nella sua vita, in particolare i più poveri.
A fronte di ragazzi e giovani orfani ed immigrati dalle valli Piemontesi e dalle campagne verso la città di Torino, don Bosco reagì accogliendoli, offrendo una casa, istruzione, lavoro e Dio.
Ancora oggi molti giovani sono immigrati, né studiano né lavorano, sono tenuti ai margini della società e non sono inseriti nel mondo del lavoro con gravi danni non solo per il loro futuro ma di quello del Paese e della stessa Chiesa. Le nostre diocesi dell’Emilia Romagna, in vista di una presenza incisiva del cristianesimo, hanno bisogno di nuove generazioni di fedeli laici e di sacerdoti.
Rispetto ai problemi che affliggono i nostri giovani, ma anche le nostre comunità parrocchiali, don Bosco appare ancora estremamente attuale. Nella sua festa guardiamo a lui e impariamo. Nelle sue case e nei suoi Oratori egli educava con il metodo preventivo, incentrato sul trinomio pedagogico: ragione, religione, amorevolezza, molti giovani. Nelle sue scuole e nelle sue opere sono maturate per la Chiesa migliaia di vocazioni sacerdotali e religiose. Per la società civile preparava «buoni cristiani ed onesti cittadini». Detto diversamente, il santo piemontese, definito da Pio XII una delle glorie più grandi della Chiesa e dell’Italia, ha offerto un contributo decisivo per il rinnovamento della Chiesa e della società.
Fermiamo l’attenzione sul fatto che la Chiesa ha, specie nei nostri territori, un estremo bisogno di giovani capaci di essere protagonisti nell’annuncio gioioso di Cristo e testimoni credibili del suo amore. Lo riconoscono i nostri vescovi e le nostre diocesi che registrano una preoccupante diminuzione delle vocazioni laicali, sacerdotali e religiose, per cui non si vede come nei prossimi anni si potrà far fronte al normale avvicendamento delle guide spirituali e agli impegni di umanizzazione delle istituzioni e della cultura, caratterizzata da un neoindividualismo radicale che distrugge i legami sociali e il fondamento del diritto. Lo ha riconosciuto la Chiesa universale attraverso il pontefice che ha programmato la celebrazione di un Sinodo dei vescovi avente per tema «I giovani, la fede e il discernimento vocazionale». Tutta la Chiesa ha bisogno dei giovani, per coinvolgerli nella sua missione. La nuova evangelizzazione di cui i nostri territori sentono l’urgenza, come anche un mondo più giusto e fraterno, possono essere realizzati con l’apporto originale dei giovani, grazie al loro desiderio di cambiamento e alla loro generosità. Il prossimo Sinodo dei Vescovi come sta per essere pensato ed attuato è momento di grazia. Viviamo, allora, nelle nostre comunità parrocchiali, nelle nostre famiglie, nelle nostre scuole cattoliche e nelle nostre università questa opportunità con impegno, con coinvolgimento sincero. Sia davvero un’occasione per educare i nostri giovani ad una fede che diventa vita e si traduce in attività missionaria nei confronti dei coetanei, battezzati o no. Don Bosco aiutava i suoi giovani a divenire i primi missionari dei loro compagni. Basti pensare a san Domenico Savio, al quale affidava i ragazzi più turbolenti e monelli per insegnare a loro l’impegno, il rispetto delle regole della convivenza, l’amore a Gesù. Assieme ad altri giovani, tra i quali Michele Rua, che sarà il primo successore di don Bosco, fonda una società, chiamata «Compagnia dell’Immacolata». Una tale associazione univa i giovani più volonterosi, desiderosi di essere piccoli apostoli tra gli altri. Don Bosco consigliò di darsi un regolamento, che fu steso dallo stesso Domenico Savio. Nelle nostre parrocchie, nei nostri circoli od oratori siamo in grado di suscitare gruppi di giovani che, con l’animazione, si prefiggono di collaborare con il parroco e di avviare gli altri giovani all’incontro con Gesù Cristo, all’impegno nel sociale? I giovani che abbiamo nelle nostre associazioni e nei nostri ambienti crescono con un chiaro senso di appartenenza a Cristo e alla sua Chiesa? Sono giovani messi in grado di armonizzare fede e vita? I ragazzi e i giovani che frequentavano le case di don Bosco avevano di fronte un esempio nitidissimo. Don Bosco stesso, che mostrava con la parola e l’azione che per lui la cosa più importante era amare Gesù e, in Lui, amare intensamente loro, lavorando giorno e notte, facendosi maestro anche nei mestieri, divenendo «sindacato» quando lavoravano presso i vari datori di lavoro, incoraggiandoli a far parte di «società di mutuo soccorso». È significativa la testimonianza di don Orione, exallievo dell’Oratorio di Valdocco, ora santo, che rivolgendosi ai suoi chierici nel 1934, l’anno della canonizzazione di don Bosco così si espresse: «Ora vi dirò la ragione, il motivo, la causa per cui don Bosco si è fatto santo. Don Bosco si è fatto santo perché nutrì la sua vita di Dio, perché nutri la nostra vita di Dio. Alla sua scuola imparai che quel santo non ci riempiva la testa di sciocchezze, o di altro, ma ci nutriva di Dio, e nutriva se stesso di Dio, dello Spirito di Dio. Come la madre nutre se stessa per poi nutrire il proprio figliolo, così don Bosco nutrì se stesso di Dio per nutrire di Dio anche noi».
In questi tempi tutti, giovani e adulti, siamo sommersi nel mondo della comunicazione e gli educatori e le stesse comunità cristiane constatano che è diventato più difficile comunicare coi giovani. Essi si allontanano quando non trovano risposte vere alle loro domande più profonde. Gli stessi Lineamenti del prossimo Sinodo dei Vescovi suggeriscono di colmare il divario spesso esistente tra il linguaggio ecclesiale e quello dei giovani. Anche su questo versante, così cruciale per l’incontro con Gesù, don Bosco fu geniale e può essere per noi un faro. Egli per i suoi giovani divenne scrittore, editore. Sicuramente egli avrebbe valorizzato tutti i mezzi moderni di comunicazione da internet a facebook, a twitter, a you tube, a instagram, al web. Nel contesto culturale del suo tempo egli si impegnò ad essere «missionario di verità», a favore di una cultura popolare umanista e religiosa.
Qualcuno ha definito don Bosco un autentico intellettuale di massa. Il noto semiologo Umberto Eco, scomparso tempo fa, ha percepito l’Oratorio organizzato da don Bosco come una macchina perfetta di comunicazione che gestisce in proprio, riutilizza e discute i messaggi provenienti dall’esterno. In tal modo, il progetto educativo dell’Oratorio nasceva stando nel mondo, divenendo però alternativo, non conformista, apportatore di innovazioni, considerate all’avanguardia per la sua epoca. Ecco, dunque, come comportarci in relazione ai mass media, che ci avvolgono con i loro messaggi e ci condizionano anche senza che ce ne accorgiamo, invitandoci ad essere spettatori passivi: fare delle nostre famiglie, delle nostre scuole, delle nostre associazioni, dei laboratori di una nuova cultura. Dovremmo seguire, su un altro piano, ciò che gli Ordini mendicanti del Medioevo, francescani e domenicani, vollero fare con le università: istituire dei centri culturali ove si confrontavano e si illuminavano i grandi problemi con la luce del Vangelo, coniugando fede e vita. Certo, per riuscire in questo intento, per ridare giovinezza ad una società e ad una cultura che invecchia intellettualmente e spiritualmente, dobbiamo essere tutti più preparati rispetto ai gravi problemi dell’oggi: dall’eutanasia alle manipolazioni genetiche, dall’ideologia del gender alle unioni civili, al testamento biologico, alle cure palliative, alla libertà religiosa. Ma, soprattutto, siamo chiamati ad uscire allo scoperto, a pronunciarci chiaramente, ad impegnarci per inscrivere nelle istituzioni i valori del Vangelo, come hanno saputo fare i cattolici del passato. Anche oggi c’è una carità della e nella verità, una carità pastorale ed intellettuale da esercitare, per illuminare le intelligenze ed accendere i cuori di amore per la verità, per forgiare nuove personalità, nuovi protagonisti nella vita sociale e politica, che non tengano la bocca chiusa quando sono accasati in conformazioni partitiche che non rispettano i diritti umani.
Non solo la Chiesa ha bisogno dei giovani, ma anche la società, la città, la cultura, la scienza, l’economia e la politica. I giovani costituiscono un potenziale di energie spirituali, umane e morali, davvero enorme, ma purtroppo sottovalutato e inutilizzato. Senza di essi è difficile il rinnovamento, non si può sperare in un futuro sicuro. Essi non debbono essere considerati buoni solo per il consumo, e non per la crescita. Come già accennato, don Bosco mal sopportava città e quartieri popolati da giovani allo sbando, a rischio, senza un’occupazione, istruzione e senza Dio.
Nel suo incontro con il mondo del lavoro a Torino, il 21 giugno del 2015, papa Francesco ha parlato di san Giovanni Bosco come di un gigante del metodo preventivo non solo nell’ambito pedagogico, ma anche in quello sociopolitico.[1] Il santo torinese insegnava che è possibile prevenire l’inequità e la violenza della società, promovendo la giustizia, ossia aiutando i giovani ad inserirsi nella società, offrendo loro l’istruzione necessaria per poter esercitare un mestiere o una professione.
Il mondo del lavoro contemporaneo è indubbiamente molto diverso rispetto a quello dell’Ottocento, epoca in cui visse don Bosco. E tuttavia, come ha osservato papa Francesco, la situazione della gioventù non è molto cambiata da allora. Molti in Italia, il 40 % circa è inoccupato, con il rischio di rimanere per sempre ai margini della società e dello sviluppo del Paese, senza potersi fare una famiglia e dare il proprio contributo al bene comune. Nell’incontro con la Famiglia salesiana, nella basilica di Maria Ausiliatrice, papa Francesco ha, pertanto, sollecitato Salesiani e Figlie di Maria Ausiliatrice, cooperatori ed ex-allievi, ad andare incontro ai giovani abbandonati a se stessi, offrendo la possibilità di ricevere un’educazione e una formazione professionale sia pure di emergenza. In un momento di crisi come il nostro, può essere indispensabile indirizzare i giovani anche a mestieri d’urgenza,[2] che non richiedono anni di studio, ma si apprendono alla scuola di artigiani provetti o mediante corsi professionalizzanti di breve durata, organizzati ad hoc. Oggi si tende, lodevolmente, a realizzare le condizioni di un reddito di cittadinanza o di inclusione. Non bisogna dimenticare che ciò non deve avvenire favorendo la passività dei cittadini. È meglio, allora, investire di più sulle vie rappresentate dall’istruzione, dall’aggiornamento professionale e dalle politiche attive del lavoro.
Don Bosco ha, dunque, ancora molto da insegnare. In questa Eucaristia alimentiamo il nostro amore per Dio, per la Chiesa e per i giovani facendo comunione con Cristo, missionario d’amore tra di noi.
[1] Francesco, Discorso al mondo del lavoro (Torino, Piazzetta Reale, domenica, 21 giugno 2015).
[2] Francesco, Discorso a braccio ai Salesiani e alle Figlie di Maria Ausiliatrice (Basilica di Maria Ausiliatrice: domenica, 21 giugno 2015), acura di Asia News. Si veda anche FRANCESCO, Discorso a san Francisco de Quito (7 luglio 2015) in «L’Osservatore romano» (giovedì 9 luglio 2015), p. 8.