OMELIA per la DOMENICA delle PALME

Faenza - Basilica cattedrale, 9 aprile 2017
09-04-2017

La domenica delle palme, specie con il Vangelo della passione (cf Mt 26, 14-27), ci fa comprendere il dramma dell’uomo, la nostra tragedia. Gesù Cristo, che viene a salvare noi, bisognosi di redenzione – più volte ci ripetiamo che solo un Dio ci può cavare dai mali che ci colpiscono – viene rifiutato, anzi ucciso, per codardia, per scegliere una vita più libera, per possedere la vera civiltà, si dice.

Il nostro dramma – un dramma di dimensioni universali – sta proprio qui: respingere colui che dà salvezza e pienezza di vita, e che è la risurrezione; preferirgli ciò che è distruttivo, uccide la nostra coscienza, annienta la dignità, diminuisce la libertà, riduce le nostre feste alla esaltazione delle futilità se non del degrado umano.

Spesso siamo come il figliol prodigo che sceglie di andarsene di casa, in cerca di spazi più aperti e finisce in schiavitù, in povertà, a mangiare carrube, contendendole ai porci. Come lui sperperiamo le nostre ricchezze non investendole in ciò che vale di più e costruisce futuro. Codifichiamo la distruzione della vita, specie dei più piccoli, e ci ritroviamo ad essere popolo a rischio di estinzione, che non riesce a decollare economicamente. Interessa poco o niente la famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna, la si scimmiotta costruendo altre istituzioni innalzandole su una menzogna antropologica, e si pretende, giacché l’educazione e la cura degli anziani ha i suoi tempi, che il sistema di welfare sia sorretto da soggetti sociali stabili, capaci di durare nel tempo. Ci si ritrova, invece, con una società sempre più fragile moralmente e nei suoi legami affettivi.  Crediamo di avanzare nella civiltà e non si considera che senza ascoltare l’insegnamento di Gesù ci imbarbariamo, non c’è più entusiasmo di vivere, non ci sono più argini all’arbitrio.

Non smettiamo, allora, di essere discepoli di Cristo. Impariamo da Lui, uomo in piena comunione con Dio, ad amare, a procurarci pienezza di vita, donandoci al Padre e ai fratelli. Impariamo dal Figlio per eccellenza, la fedeltà, ad andare avanti, sino alla fine, costi quel che costi. La croce che Egli abbraccia e su cui viene crocifisso è segno di un dono totale, senza risparmio. È il prezzo della nostra crescita e della nostra speranza.

E, soprattutto, non tradiamo Gesù Cristo, e l’umanità nuova che egli ci guadagna col suo sangue, per trenta denari. Non lasciamoci occupare dal male, dalle lusinghe del subdolo tentatore, che ha conquistato il cuore di Giuda, sospingendolo al baratto. Abbiamo sentito proclamare: «Giuda andò dai capi dei sacerdoti e disse: “Quanto volete darmi perché io ve lo consegni”? E quelli gli fissarono trenta monete d’argento. Da quel momento cercava l’occasione propizia per consegnare Gesù». 

Non barattiamo Cristo, Dio, per avere in cambio miseria, credendo di fare un affare. Qualche volta ci vendiamo e vendiamo i fratelli per meno di trenta denari. C’è qualcuno che crede, come si diceva poco fa, di fare grandi affari vendendo Cristo, rinnegandolo, mettendosi dalla parte di chi lo combatte. Guai a noi se facciamo nostro il mestiere di Satana, che invade Giuda e fa di tutto per distruggere l’opera di Dio, desolando le coscienze, spargendo il dubbio sulla fede, facendo credere che il Vangelo è cosa superata. 

Nei prossimi giorni della Settimana santa incontriamo davvero Gesù Cristo che vive la sua passione d’amore. Per partecipare al suo impegno di rinnovamento, al suo sacrificio, fermiamoci a pregare, a meditare. Cerchiamo di giungere a faccia a faccia con Lui. Dichiariamo la nostra disponibilità ad ascendere, a seguirlo nella strada dell’amore, per costruire una chiesa più unita nella comunione con Lui e nella sua missione, per costruire un mondo più fraterno, equo e pacifico. Ieri sera, a Fusignano, di fronte ai giovani che rinnovavano la loro professione di fede, ho letto il decreto con cui la nostra Diocesi indice il Sinodo dei Giovani. Preghiamo perché sia davvero momento di crescita nella testimonianza e nella missione, a gloria di Dio e del suo Regno.