Omelia per il ventennale della Associazione ‘I Girasoli’

01-12-2017

Cari fratelli e sorelle, qui convenuti per ricordare i vent’anni dell’ONLUS «I girasoli», vent’anni di volontariato, la Parola di Dio ci sollecita a riflettere sull’instaurazione di un tempo nuovo sulla terra. Il libro del profeta Daniele ci introduce in esso così: «Guardando ancora nelle visioni notturne, ecco venire con le nubi del cielo uno simile a un figlio d’uomo; giunse sino al vegliardo e fu presentato a lui. Gli furono dati potere, gloria e regno; tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano: il suo potere è un potere eterno, che non finirà mai, e il suo regno non sarà mai distrutto» (cf Dn 7, 2-14). In sostanza, è prefigurata la venuta del Salvatore, alla quale ci accingiamo a prepararci con l’Avvento, che è alle porte. La venuta del Redentore inizia un nuova storia, in cui la vita degli uomini è chiamata ad organizzarsi non escludendo Dio, ma accettando la sua Alleanza. Una vita di comunione con «Dio che viene» risponde all’attesa più profonda di ogni persona, creata per Dio. Rifiutare Dio, vivere contro di Lui, sarebbe un’assurdità, l’inizio di una schizofrenia insopportabile. Il brano del Vangelo di Luca (cf Lc 21, 29-33), nonostante le espressioni apocalittiche usate, simili a quelle degli annunci profetici sul giudizio finale di Dio, non dà informazioni precise sulla fine del tempo, ma vuole fondare la speranza dell’umanità sull’evento della morte e risurrezione di Gesù. La speranza per il futuro non è un’utopia anonima, ma è rappresentata dal Figlio dell’uomo di cui ci ha parlato il profeta Daniele. L’attesa di un mondo nuovo è garantita dalla venuta di Cristo, che lo inizia e che garantisce uno sbocco positivo a tutta la vicenda umana. Cristo è il fondamento della nostra speranza. È Lui che ci dona un futuro di salvezza.

Viene spontaneo, in questo contesto biblico, leggere la nascita e lo sviluppo dell’Associazione «I Girasoli» come un partecipare ai tempi nuovi instaurati da Gesù Cristo. I Girasoli, mediante una configurazione giuridica propria, non coincidente con quella della Caritas, si sono riproposti di essere un’Associazione di volontariato ONLUS. In definitiva, si è scelta una forma di vita che consentisse, come cristiani, e come comunità parrocchiale, di aiutare famiglie e persone in difficoltà, con la possibilità di aprire convenzioni e collaborazioni, previste dalla legge 266/’91, con varie istituzioni sociali e culturali, pubbliche e private, del territorio. Si tratta di un’importante espressione della comunità ecclesiale che, come Gesù Cristo, si rivolge a tutti, credenti e non credenti, senza distinzione di razza, di idee e di religione (cf Statuto, art. 3). Mediante l’Associazione, come è sempre scritto nell’art. 3 dello Statuto, si perseguono scopi di natura umanitaria e sociale. Nel contesto liturgico in cui ci troviamo e in cui si vuole alimentare il dono di noi stessi proprio come credenti, viene naturale il richiamo alla specificità del volontariato vissuto dai cristiani. Nell’Associazione «I Girasoli», il volontariato si caratterizza, per la sua origine e provenienza, come cristiano. E ciò, perché coloro che vi si impegnano, intendono dare al messaggio del Vangelo un volto. Chi si impegna in un volontariato cristiano ci mette un volto più che meramente umano. Ci mette un volto che rimanda ad una dimensione trascendente.

Il «volto» è la parte per il tutto che è la persona. Nel volontariato si mette a disposizione, con il proprio volto, tutto il proprio essere. Ci si presenta agli altri primariamente con il proprio viso e il proprio sguardo d’amore. Il nostro volto, però, è il biglietto da visita che dice chi siamo e cosa desideriamo fare. Gli occhi, afferma la saggezza popolare, sono la finestra dell’anima. Il volto dei volontari rivela il loro «essere per». Ma non solo. Essi vanno incontro al povero – secondo le varie accezioni – per mostrargli solidarietà e così manifestargli l’amore di Dio, il volto misericordioso del Padre. L’amore del volontario riconosce nell’altro il «prossimo», il fratello e la sorella bisognosi d’aiuto. Desidera far percepire la paternità provvida di un Dio che non rimane indifferente nei confronti dei propri figli.

I credenti si mettono a disposizione gratuitamente perché chiamati e conquistati dall’amore gratuito di Dio.

È bene fermare l’attenzione sull’incontro tra il nostro volto e quello dei fratelli in situazione di necessità. Si diceva che il nostro volto vuol’essere espressione eloquente dell’amore stesso del Padre misericordioso. Intende diventare segno efficace, quasi un segno sacramentale, di un amore più grande di quello meramente umano. Il volontario va verso chi è bisognoso d’aiuto, ed è suo «prossimo», con la consapevolezza che non porta e non dona solo se stesso. Il proprio volto, la propria persona, rimandano ad un oltre da sé, al volto del Padre che è Amore. Il suo atto d’amore – non semplicemente un gesto interessato, ricercato per una mera gratificazione personale – è per l’altro occasione di una visione di Dio stesso. Ireneo di Lione, nel II secolo, ha scritto: «La gloria di Dio è l’uomo vivente e la vita dell’uomo è la visione di Dio».1

Ma il nostro sguardo pieno di tenerezza non solo rivela. Esso contagia l’altro con l’amore di Dio. Può diventare «luogo» o «mezzo» di un annuncio che fa incontrare Dio stesso, toccandolo con mano. In questa maniera, peraltro, il volontario conferisce al prossimo considerazione, offre onore, ricorda la dignità dell’uomo e suscita gioia di vita e speranza. Consentire a chi viene aiutato di giungere a percepire lo sguardo d’amore di Dio stesso significa fargli sperimentare vita, calore, consapevolezza di essere capace di vero, di bene, di Dio, di essere suo figlio. Significa dare la percezione di venire riammesso nella «propria» famiglia, di tornare a casa propria, ove tutti sono considerati e si sentono fratelli, figli di uno stesso Padre, rompendo le barriere dell’indifferenza e dell’estraneità.

L’esperienza di un servizio gratuito può così aiutare le persone ad uscire dall’isolamento e ad integrarsi nella comunità, riprendendo fiducia in se stesse, in Dio. Può diventare, per lo stesso volontario, esperienza di Dio, perché nelle persone concrete che si incontrano è presente Gesù Cristo, Verbo incarnato, fattosi uomo. Nel fratello si trova il permanente prolungamento dell’Incarnazione per ognuno di noi (cf Evangelii gaudium n. 179).

Il servizio del volontario è, poi, sicuramente un contributo all’edificazione della «civiltà dell’amore». Crea «popolo», crea Patria, una società civile.

Partecipando all’Eucaristia odierna, viviamo la consapevolezza che è la memoria della morte e risurrezione di Cristo a renderci maggiormente capaci di dono disinteressato, di avere uno sguardo capace di riconoscere negli altri, credenti o non credenti, Cristo stesso. Su questo saremo giudicati al termine del nostro pellegrinaggio terreno: «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25, 40).

1 Adversus Haereses IV, 20, 7.