La passione di Gesù Cristo si conclude, come abbiamo sentito, con il viaggio verso il Calvario. Sulla croce proferisce queste ultime parole: «È compiuto»! E chinato il capo spirò (cf Gv 18,1- 19,42).
Per l’umanità, che giunge ad uccidere Dio, è una tragedia senza uguali. Le persone che hanno bisogno di un Salvatore – solo Dio può salvarle! – non lo riconoscono, lo rifiutano con ostilità. Lo percuotono a morte, crocifiggendolo fuori delle mura della città. Quasi a dire che tra gli uomini e Dio non c’è nulla da condividere. Quello che si compie il venerdì santo si ripete, purtroppo, costantemente nella nostra vita, nell’umanità. Ogni giorno Dio è disprezzato e reietto. Lo è anche dai suoi discepoli. Egli, spesso, è tolto di mezzo, perché ritenuto un nemico della libertà, quasi uno che vuole annientare la nostra voglia di vivere.
Sappiamo bene che non è così. Ma, perché questo malinteso colossale? Perché tanti nostri fratelli e sorelle in umanità, si sono fatti l’idea che Gesù Cristo è nemico, non vuole la nostra felicità, anzi si oppone ad essa?
Non è, forse, che noi non siamo testimoni veri della sua redenzione ed umanizzazione? Come mai il cristianesimo, che nei primi secoli è stato motivo dell’abolizione della schiavitù, dell’emancipazione delle classi più umili, ora, in questi ultimi secoli è ritenuto da un numero crescente, il prototipo della rassegnazione e della passività nei confronti dell’ingiustizia? Perché il cristianesimo è stato ed è considerato da parecchi, anche nella nostra Regione, una grande maledizione per l’uomo e la donna, un ostacolo alla civiltà? Davvero il cristianesimo è un autoinganno per il credente come pensava Friedrich Nietzsche? È contro la crescita e lo sviluppo delle persone? Davvero è negazione della volontà di vivere? Non è, invece, vero il contrario, come ci insegna il Venerdì santo che stiamo celebrando?
Gesù che vive la sua passione procura per ogni persona la possibilità di essere umanità capace di amare, di perdonare, di lottare contro il male e l’ingiustizia, come Lui, con la sua stessa potenza divina, oltre che con le forze umane. Percorrendo la strada che porta alla croce consente ad ogni persona, da Lui assunta con la sua incarnazione, di essere umanità più capace di vero, di bene, di Dio, e, quindi, di essere pienamente realizzata, nonostante le sofferenze e i contrasti che si debbono affrontare. Chi vive unito a Cristo, al suo impegno di redenzione e trasfigurazione dell’umanità, sperimenta la pace dello spirito, lo stato di esultanza interiore, che è propria di chi si dona liberamente, sino alla fine.
Per il cristianesimo la croce è il luogo della vittoria, del pieno successo contro il male e l’ingiustizia. Non è il luogo della sconfitta e della resa. Al contrario. Alle parole di Gesù Cristo “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato” il Padre risponde, dopo la morte, con la Risurrezione del Figlio, facendo approdare, con Lui, l’umanità sulla sponda della pienezza di vita.
Attirati da Cristo crocifisso impariamo la coerenza di vita, scopriamo la fonte della felicità. Riconosciamo in Colui che muore per amore del Padre e dell’uomo, il massimo dell’opposizione ad ogni male, all’egoismo, alle divisioni.
Gesù che muore si incarna, discende nella nostra morte, per renderla momento di offerta di noi stessi e sbocco verso l’immortalità. Gesù percorre il tunnel buio della morte per noi, perché impariamo a trasformare la sofferenza, l’insulto, l’ingiustizia subita, in un’occasione di amore supremo a Dio, di piena fiducia in Lui, di completamento delle sofferenze di Cristo in noi. Incarnandosi nella nostra morte, Gesù, in un certo modo, si unisce stabilmente ad essa per aiutare ciascuna persona, ogni uomo e donna, di qualsiasi generazione, a sbaragliarla, a superarla, giungendo all’abbraccio con Dio.
Viviamo il Venerdì santo come un giorno carico di sofferenze, tragico sì, ma anche come momento che ci mostra le radici del nostro ottimismo, perché Cristo è vittorioso sul male e sulla morte.