La croce di Cristo svela l’amore di Dio per noi
A conclusione della via crucis cittadina di mercoledì scorso abbiamo riflettuto sul fatto che se desideriamo conoscere meglio Gesù Cristo dobbiamo guardare dentro nella sua croce.
Così si è sottolineato che la croce, su cui viene inchiodato Gesù Cristo, ci mostra tutto il suo amore, un amore redentore, perché è totale, è unione perfetta col Padre, vince il male con il bene, la morte mediante la risurrezione. Ricevendo lo Spirito d’amore che Cristo dalla sua croce effonde sul mondo ci è consentito di cambiare la nostra vita, di convertirla, di redimerla, di trasfigurarla. Vivendo l’amore di Cristo che si oppone al male con tutto se stesso noi possiamo costruire per la nostra esistenza una nuova scala di beni-valori. Grazie ad essa poniamo in cima a tutto la volontà del Padre, riconosciamo che nella nostra vita deve prevalere il primato dello spirituale, grazie al quale possiamo abbattere quegli idoli che prendono il posto di Dio e ci distruggono, rendendoci schiavi delle cose.
Ecco, perché per noi la croce di Cristo è l’albero della vita piena, della vittoria sul male e sulla morte. È la via che conduce alla felicità. Là ove c’è il dono di sé, c’è anche la gioia, come riscontro naturale di un’esistenza dinamica e ricca d’amore nel servizio agli altri e a Dio.
Gesù incarnandosi nella morte la sbaraglia ed apre a noi un varco verso la vita eterna
Con l’incarnazione, il Signore Gesù fa anche l’esperienza della morte. Accetta di discendere nelle sue tenebre, che alla fine sono sconfitte. Egli, poi, scende sino a visitare quelli che risiedono negli inferi, per scuoterne il regno e liberare quelli che, come Adamo ed Eva, vi sono prigionieri. Dio non ha creato l’umanità perché rimanesse intrappolata nell’inferno. «Prendendo per mano Adamo, lo scuote dicendo: Svegliati, tu che dormi. Non ti ho fatto perché rimanessi rinchiuso nell’inferno. Risorgi dai morti. Io sono la vita dei morti. Risorgi, opera delle mie mani. Risorgi mia effigie, fatta a mia immagine! Risorgi, usciamo di qui!» (Da un’antica «Omelia del Sabato santo»: PG 43, 439.451.462s.) Cristo, il Dio fatto carne, disceso nella morte e negli inferi, risorto dal Padre, diventa per tutti il Pastore dagli occhi grandi che conduce le sue pecore oltre le tenebre della morte e degli inferi. Cristo ci conduce e conosce tutte le nostre vie anche quella che passa per la valle della morte. Egli è Colui che, anche sulla strada dell’ultima solitudine, nella quale nessuno può accompagnarmi, ci viene incontro. Appena abbandoniamo i nostri cari che ci tengono per mano, dall’altra parte ci prende la sua mano. Insieme a Lui, troveremo il passaggio verso la vita vera, nella quale saremo stabilizzati nell’amore, in una vita piena, eterna (cf Benedetto XVI, Spe salvi, n. 36). Proprio per questo dobbiamo pensare alla nostra morte non come un cadere nel nulla. Bensì, come ad un passaggio. Noi siamo esseri per la risurrezione, per la vita incorruttibile.
La passione di Cristo è la passione dell’umanità.
Dopo l’incarnazione, in cui è divenuto uno di noi e in tutto simile a noi tranne che nel peccato, la sua passione è anche la nostra, la sua morte è anche la nostra. La sua passione non è racchiusa nel passato, ma abbraccia tutti i tempi, tutte le persone, tutte le generazioni. Non solo Cristo sperimenta la nostra morte. Cristo soffre nell’umanità: in noi, con noi e per noi. Soffre con ogni persona di oggi e di domani. Ci aiuta a portare il peso della nostra croce. Ricordo di aver visto in Sardegna una via crucis originale: la stazione del Cireneo cooptato per aiutare Gesù a portare la croce rappresentava il contrario, e cioè Gesù che aiuta una persona malata a portare la sua croce. Le nostre malattie, le nostre lacrime, le nostre pene e i nostri affanni, quando sono vissuti uniti a Lui, acquistano un senso diverso. Diventano occasione di crescita spirituale, di purificazione, di una donazione più grande di noi stessi. Dobbiamo guardare alla passione di Gesù come ad una realtà che non è estranea alla nostra esistenza, alla nostra storia. Cristo patisce, soffre, lotta nei nostri fratelli, nella nostra città, nei nostri quartieri. Spesso non ci accorgiamo delle condizioni di coloro che ci vivono accanto: i poveri, gli emarginati, le persone sole e abbandonate, i forestieri, i cosiddetti “invisibili”. La passione di Cristo, che oggi celebriamo qui in chiesa, non è una realtà separata dalla vita che si trova appena fuori dalla porta della nostra cattedrale. La memoria della sua passione deve sollecitarci a vederlo e ad incontrarlo nel nostro prossimo, in coloro che ci passano accanto, nei diseredati, nei rifugiati, negli immigrati. Essi sono, nell’oggi, l’incarnazione di Cristo, che ci visita e ci chiede ospitalità. Cari fratelli e sorelle, se come Caritas compiamo una grande opera di accoglienza, di protezione, di promozione e di integrazione nei confronti degli immigrati, perché non dobbiamo riconoscere in loro Cristo che soffre, lotta? A questo proposito abbiamo il dovere di migliorare la dimensione pastorale dell’azione che si interessa dei migranti, perché occorre aiutare la gente e i giovani a scorgere in loro Cristo stesso che è fuggito dal suo Paese per non essere ammazzato.
La passione di Cristo non è, dunque, vissuta solo qui in cattedrale, nelle nostre celebrazioni. Continua nella società civile, nella vita di tutti i giorni. È dentro nella nostra vita quotidiana ove dobbiamo essere di Cristo, uniti a Lui nella lotta contro il male e l’ingiustizia.
La passione di Cristo vissuta con realismo
Celebrare la passione di Cristo, dunque, è viverne con realismo tutto il suo amore, secondo il suo spessore storico, coscienti della sua presenza nella nostra esistenza. È guardare la realtà quotidiana con occhi più penetranti. È scorgere un’umanità che, con Cristo e in Cristo, muove i suoi passi sulla Via crucis, fatta di sofferenze, di sconfitte, di violenze, ma anche sulla Via lucis, nella quale si lotta contro il male con le armi del bene, si ama pienamente, si diviene popolo nuovo, famiglia di Dio. La via crucis è passaggio obbligato per vivere la Via lucis, per essere veramente umanità trasfigurata, che è luce per chi ci incontra e per chi ci sta accanto.