in questa Eucaristia ricordiamo il 72.mo anniversario della Liberazione della città di Faenza. È stato un percorso segnato da eventi tragici, bombardamenti – iniziati coi primi giorni del maggio 1944 e terminati con il mese di dicembre –, distruzioni, morti, feriti, eccidi efferati. Ai bombardamenti strategici seguirono quelli medi e dei cacciabombardieri, a supporto degli alleati che avanzavano. A dicembre entrarono in città le truppe neozelandesi. La desolazione era grande e il bilancio delle morti salì a 370 vittime, più i tanti feriti.
A questa triste fase seguì una fervida ricostruzione con il concorso di tutti, in una Nazione che scelse la forma repubblicana al posto di quella monarchica. L’impegno della rinascita vide il convergere attorno ai grandi valori della Costituzione italiana, caratterizzata per la centralità della persona, considerata per intero, in particolare nella sua relazionalità sociale e solidale espressa nella famiglia e nei corpi intermedi, nella sua libertà responsabile, nei suoi doveri e diritti, incluso quello della libertà religiosa.
Altri, meglio del sottoscritto, potrebbero descrivere la passione civile, lo slancio democratico della città nel corso degli anni che ci separano dal periodo della seconda guerra mondiale, ove i cattolici non sono stati meno operosi degli altri. Questo anniversario dev’essere l’occasione di guardare alle tragedie del passato, alle crudeltà assassine, senza dimenticare il presente e il domani. Oggi a livello internazionale sono in atto altre guerre e altri conflitti, che però non ci lasciano del tutto indenni. Ci attendono, allora, altre liberazioni ed altre ricostruzioni. È una fortuna che la nostra Europa abbia conservato per parecchi anni la pace. Ma sappiamo che non sono stati esenti da vere e proprie guerre economiche, specie dal 2008 ad oggi ed anche da atti terroristici di varia matrice. Sappiamo, poi, che, con una «terza guerra mondiale a pezzi», stanno crescendo i nazionalismi, i fondamentalismi, come anche forme esasperate di libertà. Se, grazie a Dio, continuano ad esistere e a svilupparsi leggi e forme sociali solidali, preoccupano alcuni orientamenti neoindividualistici ed utilitaristi sia del diritto sia delle politiche internazionali, come anche quei gruppi oligarchici del denaro che influenzano fortemente le Nazioni e che fanno temere il crollo di ciò che viene costruito, giorno dopo giorno, con fatica, secondo la logica del dono e della gratuità. Le diseguaglianze e le povertà non sono sparite, anzi in alcuni casi si sono accentuate con il predominio di tecnocrazie e di una finanza performativa, entrambi deleterie per l’economia reale.
Tante altre sono le coordinate che contrassegnano il nostro tessuto sociale, civile, religioso, come l’invecchiamento della popolazione, l’immigrazione, le conseguenze non ancora finite della crisi economica, un certo degrado morale e civile, la necessità di costruire un nuovo ethos tra famiglie spirituali e religiose che sono aumentate e mescolate. Non abbiamo qui il tempo per dire gli aspetti positivi di questa bella città, per elencare le virtù dei faentini, che costituiscono il punto archimedico su cui far leva per continuare a lavorare e a innalzare una convivenza aperta all’altro, al suo bene, all’Europa, al mondo, in una rete continua di relazionalità positive.
Credo che il recente Messaggio per la giornata mondiale della pace 2017 di papa Francesco possa offrire alcuni spunti per rendere la nostra città ancor più vivibile e godibile dal punto di vista umano e culturale. Il Messaggio, firmato l’8 dicembre scorso, porta l’attenzione sulla non violenza (attiva), quale via per costruire società giuste e pacifiche. La non violenza attiva, e tutto ciò che questa comporta come impegno per la giustizia, come sforzo a vincere il male col bene, come adozione di strumenti a servizio del dialogo civile, di una lotta pacifica, deve caratterizzare la politica dei cittadini e delle autorità, il suo metodo e il suo essere. La non violenza deve diventare lo stile delle nostre decisioni, delle nostre relazioni, della politica in tutte le sue forme. Il modello più alto di non violenza attiva – ossia non passiva rispetto all’ingiustizia e al male – è Gesù Cristo, che ne tracciò una via eloquente e insuperabile, percorrendola sino in fondo, sino alla croce.
Ma papa Francesco indica come modello, oltre a Gandhi e Martin Luther King Jr, anche santa Teresa di Calcutta. Come mai il papa argentino sceglie e propone Madre Teresa, che è stata tacciata da molti di assistenzialismo, ossia di non dedicarsi a combattere le cause della povertà e della emarginazione? Egli la segnala come punto di riferimento per uno stile di politica di pace, perché questa dovrebbe prendersi cura prioritariamente di chi è scartato, emarginato nella società, considerato addirittura inutile. Madre Teresa deve costituire il paradigma di una politica samaritana, che si prodiga a favore della vita umana, quella non nata e quella abbandonata, lasciata fuori, riconoscendone la dignità, specie quando più indifesa. Bisogna intendere bene il senso di quanto vuol dire il papa argentino. Non si tratta di mettere in campo una politica meramente assistenzialista, bensì una politica dedita al bene di tutti, specie dei più deboli.
Parimenti, papa Francesco indica come radice di una politica non violenta la famiglia, luogo in cui fratelli e sorelle imparano a comunicare e a prendersi cura gli uni degli altri in modo disinteressato, e dove gli attriti o addirittura i conflitti devono essere superati non con la forza, ma con il dialogo, il rispetto, la ricerca del bene dell’altro, la misericordia e il perdono (cf n. 5). La politica non violenta, rammenta il pontefice, ha un “manuale” che è dato dalle beatitudini (cf Mt 5, 3-10).
Partecipando a questa Eucaristia, in cui ricordiamo tutti coloro che sono morti a causa della guerra, domandiamo al Signore il suo Spirito per amare sinceramente questa città, per farne il luogo di una crescita integrale e sostenibile per tutti. Non siamo soli. Il Natale ormai vicino ci ricorda l’irruzione del divino nell’umano. Quando Dio è accolto diventa il fondamento di tutto il cammino. In Cristo, del quale nel Vangelo (cf Mt 1, 1-17) abbiamo sentito la genealogia, a conferma della sua inserzione nella nostra esistenza, costruiamo una nuova storia e la civiltà della misericordia.