OMELIA della MESSA DELLA NOTTE di NATALE

Faenza, Basilica Cattedrale - 25 dicembre 2016
25-12-2016

Un bambino è nato per noi”, dice il profeta Isaia (Is 9,1). Ma subito aggiunge: «Ci è stato donato un figlio. Sulle sue spalle è il potere e il suo nome sarà: Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace». Insomma, non si tratta di un bambino qualsiasi. Il Bambino che suscita in noi tanta tenerezza e desiderio di prenderlo in braccio è Dio salvatore. È venuto per essere con noi, ma soprattutto in noi, per renderci più capaci di bene, di dono e di perdono, per insegnarci il mestiere di uomini che sanno vivere in piena comunione con Dio.

Questo ci dice la nostra fede.

Se Gesù nasce bambino per essere accudito dall’umanità e per ricevere, potremmo dire, tante coccole come i bimbi nelle nostre famiglie, questa non è ancora tutta la verità. Non dobbiamo solo stupirci di fronte a Dio che vuole essere un bambino. L’uomo vuole salire, comandare, prendere. Dio, al contrario, desidera scendere, servire, dare.

Oltre a prendere Gesù tra le nostre braccia e colmarlo di baci, parlargli affettuosamente, come fecero sant’Antonio di Padova e san Pio da Pietrelcina, dobbiamo diventare come Lui. Il Natale non è solo momento di gioia perché non siamo più soli e Dio cammina con noi. La nostra fede, dopo avercelo fatto incontrare, deve aiutarci a vivere di Lui, in Lui, come Lui.

Qui si realizza il Natale più profondo e vero. San Paolo, colui che da persecutore dei cristiani divenne un grande apostolo di Cristo (cf At 9, 1-30), ci può essere di grande insegnamento per il cammino che ci attende. Dopo essere stato afferrato e convertito da Cristo, lo amò. Lo visse con tutte le sue forze e il suo cuore. La sua fede in Gesù si trasformò in vita, nella vita di Cristo stesso, al punto che l’apostolo soleva dire di vivere Cristo.

Cari fratelli e sorelle, il Natale non è solo contemplazione del Verbo che si fa carne. Non è solo vedere nel Bambino Dio che ci salva, ma è anche movimento, andare verso di Lui, vita con Lui, in Lui, per Lui. Attraverso la fede comprendiamo che siamo suoi, gli apparteniamo ed, inoltre, abbiamo il compito di immedesimarci a Lui. Grazie a ciò Egli, come dice san Paolo apostolo a Tito (2, 11-13), ci forma per sé quale popolo puro, pieno di zelo per le opere buone.

Detto diversamente, in questa notte, attraverso la fede, non dobbiamo limitarci a vedere Gesù bambino, commuoverci, mandargli baci, ma dobbiamo deciderci ad imparare di più Gesù per viverlo più compiutamente. Per questo bisogna che il nostro Natale non si riduca ad una festa di frastuono, senza entrare in intimità con Gesù, ossia una festa senza il Festeggiato. È necessario che troviamo momenti di silenzio per dire a Cristo che lo amiamo e che Egli è il nostro Tutto, per essere sempre più in comunione con Lui, per mettere il nostro cuore vicino al suo, e riconoscere di essere, mediante la sua incarnazione, pienamente assunti in Lui. Dobbiamo capire che, come Lui, dobbiamo essere missionari del Padre. Gesù è venuto a noi, perché dovevamo conoscere di essere strutturati come Lui e, quindi, di essere chiamati ad essere figli di Dio nel Figlio unigenito. A volte il nostro spirito missionario è rattrappito. Abbiamo paura di presentare ed offrire Gesù ai nostri giovani, agli stessi immigrati, dimenticando che essi, perché fatti a sua immagine, hanno il diritto e dovere di conoscerlo, amarlo e viverlo. Non si tratta di imporre quanto, piuttosto di proporre Gesù, per crescere in Lui, l’Uomo Nuovo.

Il credente è consapevole che la sua vita è in Gesù. Dimoriamo in Lui. Tutta la nostra esistenza è chiamata a realizzarsi vivendo i suoi stessi sentimenti. Così, le nostre sofferenze, le nostre responsabilità e fatiche nell’impegno per la giustizia, nella professione, nell’educazione alla fede, la nostra testimonianza, sono tutte esperienze in cui lo Spirito d’amore di Cristo ci sorregge, ci sollecita e ci conduce alla meta.

Anche noi, al termine della nostra vita, dovremo poter dire, come san Paolo: «Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede» (2 Tm 4,7). Saremo felici, non solo per aver creduto in Gesù, ma perché nascendo nel nostro cuore ci fa vivere uniti a Lui.

I più grandi dottori e maestri di spirito della Chiesa – Origene, sant’Agostino, san Bernardo, e tanti altri ancora – pensavano a proposito del Natale in una maniera ardita. Pressappoco così: «Che giova a me che Cristo sia nato una volta a Betlemme da Maria, se egli non nasce per fede nel mio cuore». Detto altrimenti, perché il Natale porti frutto per me occorre che Cristo nasca in me, nella mia anima.

Con san Giovanni XXIII dobbiamo, allora, pregare così: «O Verbo eterno del Padre, Figlio di Dio e di Maria, rinnova anche oggi, nel segreto delle anime, il mirabile prodigio della tua nascita» (Messaggio natalizio del 1962). Cristo, che è nato «per» noi, per fede deve nascere «in» noi. Deve «formarsi» in noi (Gal 4,19), abitare nei nostri cuori (cf Ef 3,17). Il nostro compito è di raggiungere la statura morale e spirituale di Cristo.

Rientriamo in noi stessi. Facciamoci istruire dallo Spirito Santo che ci guida alla verità tutta intera di Cristo. Generiamo in noi e negli altri Cristo. Sarà il più grande servizio che potremo compiere nelle nostre comunità ecclesiali, nelle nostre famiglie e nella società. Solo così potrà crescere il senso di appartenenza a Cristo e alla sua Chiesa. Solo così l’appartenenza a Cristo avrà il primato su altre appartenenze, pur legittime, ma secondarie. Buon Natale di Gesù Cristo!