Cara Eccellenza Mons. Claudio Stagni, cari presbiteri, diaconi, religiosi e religiose, , suore claustrali, fedeli laici, cari seminaristi e ministranti, in questa Messa in cui celebriamo la comunione del presbiterio con il vescovo diocesano, a due anni del mio ingresso in questa cattedrale, viene spontaneo ringraziare il Signore per il dono meraviglioso di questa comunità. Il grazie va rivolto a ciascuno di voi, per l’impegno apostolico appassionato e sacrificato, per l’animazione, per il ministero di santificazione, di guida, di insegnamento, svolto nelle vostre comunità. In una famiglia specialissima, com’è la Chiesa, non può mancare il grazie alla Trinità, fonte di comunione tra noi. Un tale grazie assume un significato particolare. Esso induce a vivere un aspetto che solitamente trascuriamo. Il nostro è, anzitutto, un «grazie» al singolo fratello in quanto tale, sicuramente, ma anche un grazie scambiato reciprocamente in quanto ognuno, partecipe del sommo Sacerdozio di Cristo, collabora a compattarne il Corpo, che è la Chiesa, comunione con Lui e tra di noi. La mutua riconoscenza che esprimiamo tra noi è anche ringraziamento a motivo del bene comunitario che condividiamo ed accresciamo insieme, con l’apporto di ognuno. Siamo debitori all’altro di un grazie per il suo contributo a costruire la comunione ecclesiale più che parrocchiale, ossia la comunione diocesana. In questa Messa del crisma, dunque, ringraziamoci anche per questo impegno condiviso, che è ultimamente comandato da una vera e propria vocazione alla comunione universale.
Ricordiamo sempre che uno degli indicatori di ecclesialità di singoli e gruppi è la loro capacità di convergere con il vescovo locale, di armonizzare i loro carismi con il suo, di confrontarsi e lasciarsi eventualmente correggere da lui, di accogliere l’esercizio di una paternità incoraggiante ma anche esigente. Cammini spirituali ed apostolici, personali e comunitari, che ignorano il riferimento al vescovo della Chiesa locale non sono né diocesani né ecclesiali. Si potrebbe dire che non sono neanche cristiani.
Desidererei, allora, in questo contesto fare alcune riflessioni con voi, coinvolti come siamo in un protagonismo comunitario, intento a costruire la comunione con Cristo e a vivere coralmente la sua missione, a livello diocesano o locale. Credo sia importante, in quest’ora straordinaria della storia e dell’evangelizzazione in questo territorio, convincersi che non possiamo non accrescere il nostro amore per il bene comune che è la nostra comunione-comunità in Cristo e tra noi. Ogni società, lo sappiamo, possiede un bene comune. Anche la Chiesa, che non è una società come le altre, bensì il corpo mistico di Cristo, ove le membra che lo costituiscono non posseggono la stessa dignità del Signore Gesù, Uomo-Dio – Lui è il Salvatore, Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato della stessa sostanza del Padre –, ha un bene comune da conseguire. In che cosa consiste? È una domanda che dobbiamo porci, per non rimanere nel vago. Sicuramente è rappresentato da Gesù Cristo, dalla vita divina che Egli ci dona, immettendoci nella ricchezza insondabile della comunione trinitaria. Ma potremmo descrivere il ben comune della comunità ecclesiale in maniera più dinamica, in termini di progressività, come un insieme di processi e di tappe. Ossia, come tutto ciò che consente di condividere e di vivere di più la nostra comunione con Cristo e tra noi, come popolo di Dio, come collaborazione convergente. Perdonate l’incompiutezza di queste riflessioni. Sono piccoli cenni volti a rendere meno indefinita la nostra riflessione. Ciò che preme di dire è che sovente sembriamo più attenti e dediti al bene particolare di una comunità, di una associazione, di un movimento, di un Centro o Ufficio pastorale, e meno al servizio del bene comunitario che è la Chiesa, che è in Faenza-Modigliana. È chiaro che se non si coltiva il bene di tutti ne soffre, inevitabilmente, il bene delle singole comunità parrocchiali. Non si può immaginare che possa fiorire la pastorale vocazionale o giovanile a livello diocesano senza che ci sia anche a livello parrocchiale un minimo di programmazione, un supporto, un qualche accompagnamento, una partecipazione diocesani. Così, è per la pastorale famigliare e sociale. Quanto detto aiuta a comprendere che tra pastorale parrocchiale e diocesana vi è una mutua implicanza, interdipendenza e un arricchimento reciproco. Le iniziative diocesane sono pensate ed organizzate non per se stesse, ma specie a vantaggio di tutte le pastorali parrocchiali, specie di chi non ha forze e numeri sufficienti. Non mostrare interesse adeguato per esse, non partecipare agli eventi sovraparrocchiali, non inviare o accompagnare i propri giovani, non è solo far naufragare ciò che, purtroppo, non raramente è considerato una iniziativa per la gloria di un Ufficio pastorale, o anche del vescovo, ma è anche un’opportunità in meno per chi è sprovvisto di mezzi sufficienti ed è piuttosto isolato. È senz’altro importante l’attività particolare, ma lo è anche quella diocesana, che è proprio a servizio della prima, sebbene non possa sempre decentrarsi localmente. Nella logica di quanto già detto occorre, allora, superare i campanilismi, la frammentazione, l’isolazionismo, l’accavallarsi delle iniziative, ma anche l’assenteismo. La diversità e la molteplicità delle attività particolari è sicuramente una ricchezza. Ma bisogna che possano essere inserite in un quadro di programmazione ordinata, pena la dispersione, l’immiserimento, nonostante la buona intenzione che le guida.
Viviamo, allora, la nostra vocazione sacerdotale e pastorale come una vocazione comunitaria, come un ministero nella comunione, per la comunione. Gli oli santi che stanno al centro di questa Messa crismale ci rammentano la nostra unità con l’Unto di Dio, Colui al quale Dio ha donato la regalità e il sacerdozio. Apparteniamo a Colui che Dio stesso ha unto – non con un olio materiale, ma con Colui che è rappresentato dall’olio -: con il suo Santo Spirito. Lo stesso Spirito accresca in noi il desiderio e l’attitudine alla comunione, alla partecipazione responsabile e collaborativa.
Un momento in cui verificare la nostra capacità di vivere una spiritualità diocesana sarà proprio il prossimo Sinodo dei giovani del quale si è letto il Decreto di indizione qualche sera fa a Fusignano, in occasione della professione di fede di alcuni dei nostri giovani. Non dovrà essere un evento ecclesiale di pochi, bensì di tutta la comunità diocesana, in cui sviluppare un’osmosi che collega e vivifica tutto il corpo che è la Chiesa in Faenza-Modigliana. In questa Eucaristia preghiamo gli uni per gli altri, per le nostre comunità e per la Diocesi che ci unisce attorno a Cristo salvatore.
In questa santa Messa preghiamo per tutti i presbiteri, i religiosi e le religiose ammalati, non esclusi i nostri Parroci. In particolare ricordiamo i presbiteri della Casa del Clero, Mons Giuseppe Mingazzini e, con tutti gli altri anniversari, il 60° di sacerdozio di Mons. Nilo Nannini come anche il cinquantesimo di don Elio Cenci. Il Signore li conforti e li sostenga.