Faenza, cattedrale 28 novembre 2021.
Cari fratelli e sorelle, quando fra Dio e l’umanità tutto sembra compromesso, quando pare non ci sia più intesa tra il Padre e i figli, ecco l’annuncio della venuta di un Messia. Egli giunge tra noi ad instaurare tra Dio e gli uomini una comunione più intima e più profonda di prima. Il Figlio di Dio, con l’incarnazione, morte e risurrezione, associa a sé l’umanità, dimorando in essa, camminando con essa, ponendola in comunicazione con la sua origine, con il Padre. Dona il suo Spirito d’amore e la sollecita a partecipare alla sua missione: ossia al rinnovo di tutte le cose, quelle del cielo e quelle della terra. Sprona a vivere come figli e figlie di Dio, santi ed immacolati. E, così, sollecita ad essere sognatori e costruttori del Regno di Dio tra le macerie del mondo, ad instaurare con Gesù l’era della giustizia (cf Ger 33, 14-16). È da riferirsi a questo, l’augurio di san Paolo: «Il Signore vi faccia crescere e sovrabbondare nell’amore fra voi e verso tutti, […] per rendere saldi i vostri cuori e irreprensibili nella santità, davanti a Dio e Padre nostro, alla venuta del Signore nostro Gesù con tutti i santi» (1 Ts 3, 12-4,2). La nostra vocazione di pellegrini e di costruttori sulla faccia di questa terra è, dunque, quella di essere attivi, vigilanti, oranti, sempre protesi verso le cose di lassù, per comparire, davanti al Figlio dell’uomo che verrà con grande potenza e gloria (cf Lc 21, 25-28), con il cuore libero da ogni schiavitù terrena, pronti ad accoglierlo ed essere definitivamente suoi. L’incarnazione del Figlio di Dio, che esce dal Padre, e viene ad abitare in mezzo a noi, ha come obiettivo quello di condurci a casa. Egli si pone a capo di un’umanità che Lo segue perché è da Lui redenta, resa fraterna, più desiderosa del Padre. Durante il tragitto, nel popolo di Dio germogliano sogni, sono suscitate profezie e visioni, vengono fatte fiorire speranze, sono fasciate ferite, sono intrecciate relazioni di fraternità, sono risuscitate molteplici albe di speranza.
Carissimi, è il primo Avvento che ci accingiamo a vivere entro il cammino sinodale, iniziato nel mese di ottobre scorso. È, allora, davvero importante pensare a questo Avvento, che ci introduce nel nuovo anno liturgico, come ad un momento di più intensa spiritualità e gioia. È da vivere incrementando la nostra comunione con Gesù Cristo, con Dio Padre e con la famiglia della Trinità. Se l’Avvento è tempo di attesa e preparazione della venuta del Signore Gesù in mezzo a noi, con il cammino sinodale già iniziato siamo chiamati a rendere più viva la sete di Lui e ad essere più attivi nella creazione delle condizioni della sua accoglienza nel mondo. Tutto ciò va vissuto non da soli, ma comunitariamente, assieme, nella comunione, nella partecipazione, nella missionarietà. Ossia, dispiegando quelle «attività» che caratterizzano il nostro essere viventi nel Signore Gesù. Noi siamo, dimoriamo in Colui che è già venuto, è sempre veniente, e sempre ci invia, sino alla fine dei tempi, come popolo interamente missionario. Teniamo soprattutto presente che l’Avvento è da celebrare non solo per noi, per le nostre famiglie, le nostre parrocchie, per la nostra Diocesi. Riguarda tutta la storia dell’umanità, delle nostre città, riguarda il creato. Anche la Terra attende la redenzione. L’incarnazione di Gesù intende raggiungere e coinvolgere tutti nella sua missione, anche i non credenti. Vuole renderci tutti figli di Dio e fratelli, associati alla sua opera di redenzione, di liberazione dal peccato e di umanizzazione. Ci invita a seguirlo nell’opera universale di una nuova creazione, che Egli ha inaugurato con la sua incarnazione e che continua nel tempo. L’Avvento sia, allora, un essere presenti nei vari ambienti di vita, come membra di un popolo in comunione con Dio, con il suo Figlio, con il suo Spirito. Cresciamo soprattutto nell’ardore della missionarietà, risvegliando il desiderio di vivere e di donare Gesù Cristo a tutti, credenti e non credenti, perché Egli sia tutto in tutti. In una parrocchia, dove mi sono recato per celebrare la festa del Patrono, mi sono permesso di dire che, se durante il nostro cammino sinodale non saremo stati capaci di portare qualcuno a Gesù Cristo o a far ritornare a Lui chi, per varie ragioni, ha abbandonato la comunità cristiana, dovremo interrogarci seriamente sulla autenticità del nostro cammino sinodale, che è impegno di conversione e di nuova evangelizzazione. Invochiamo lo Spirito perché accenda i nostri cuori del suo amore, per comunicarlo a chi incontriamo, a chi vive a casa nostra, a chi lavora con noi. Il Signore che viene nella nostra vita è fonte della speranza. Maria, donna dell’ascolto, apra i nostri orecchi, anche quelli del cuore. Sia modello per il nostro cammino sinodale, specie in questa fase di ascolto. Nell’ascolto reciproco tutti hanno qualcosa da imparare: l’uno in ascolto degli altri e tutti in ascolto dello Spirito santo: per conoscere ciò che egli dice alla Chiesa. Buon Avvento e buon cammino sinodale a tutti!
+ Mario Toso