Pieve Thò, 26 novembre 2023.
Caro don Marco Ferrini, cari fratelli e sorelle, la solennità di Cristo Re dell’universo conclude l’anno liturgico. Il mondo finirà con uno scenario in cui Cristo ci apparirà come re dell’universo. In Lui, Signore dell’universo, il mondo intero non finirà con il trionfo della banalità, della volgarità, della corruzione; con la vittoria della menzogna, delle apparenze, della artificialità, del male e dell’ingiustizia. Il mondo finirà con un altro scenario: la vittoria del bene sul male, dell’Amore. Gesù sarà definitivamente l’apice del compimento dell’umano. Egli sarà centro dell’universo in cui l’amore apparirà principio e fine di tutto ciò che viene avvolto dall’abbraccio del Padre.
Nel nuovo mondo che sarà da Lui instaurato le persone vivranno come un «noi» d’amore; come soggetti protesi all’altro da sé e alla comunione reciproca e con il Padre.
Nella solennità di Cristo re tutto appare mosso dall’amore di Dio donatosi all’umanità mediante il Figlio che lo impianta, lo semina nell’animo e nella vita delle persone, dei popoli. Cristo è re che regna perché vive con un amore che serve. Coinvolge tutti – persone e creato – in un potente dinamismo ascensionale. Un tale movimento ci fa confluire nella comunità d’amore di Dio. Così, la storia umana raggiunge il suo punto più alto di bellezza, di compimento, nello splendore della vita d’amore di Dio. La moltitudine che compone l’umanità è posta dentro l’incessante flusso dell’Amore di Dio: nell’amore del Padre, del Figlio e dello Spirito santo. Un tale flusso d’amore diventa forza universale che tutto sostiene, tutto permea, con un abbraccio di tenerezza, nella libertà e nell’esultanza di gioia che è espressione di una vita donata in pienezza.
Don Bosco aveva un grande sogno: rendere partecipi i giovani che accoglieva e dei quali si faceva carico – donando a loro un padre, una famiglia, il lavoro, Dio – non di una grande idea, di una paternità solo proclamata. Offriva ai suoi giovani tutto sé stesso, la sua casa, la sua vita, assieme a quella di mamma Margherita e di tanti collaboratori e collaboratrici. Il suo obiettivo era quello di far crescere i giovani che cercavano una casa, non solo parlando di accoglienza, di cura, ma ponendosi concretamente a loro servizio, con la sua vita, il suo tempo, con le sue doti umane e presbiterali, lavorando, studiando, facendosi addirittura mendicante per raccogliere soldi per vestirli ed istruirli. Creando una grande famiglia, ove ognuno potesse sperimentare, quasi toccare con mano un amore materno e paterno vissuto diuturnamente, ma anche una fraternità viva, dava ai suoi giovani la gratificante responsabilità di collaborare con lui nella costruzione di una comunità educante. Non solo don Bosco era impegnato a educare. I suoi stessi giovani più grandicelli, oltre ad essere educati da don Bosco, erano coinvolti da lui nell’educare i più piccoli. Tra tutti primeggiava san Domenico Savio. Il «terremoto» che era Michele Magone gradualmente si trasformò e divenne un valido aiutante in campo. C’erano momenti e momenti: talora la casa di don Bosco era piena di piccoli muratori, vestiti di poche cose, intirizziti dal freddo. Talaltra, l’Oratorio traboccava di ragazzi che lavoravano in negozi o venivano raccolti dalle piazze dove vagabondavano e si dedicavano a scippare la gente. La casa di don Bosco non era però finalizzata a sfornare vocazioni solo per la futura Congregazione salesiana. Dalle opere del santo piemontese uscirono buoni cristiani ed onesti cittadini, ottimi padri di famiglia, validi professionisti. Sta di fatto che ogni giovane si trovava bene a casa di don Bosco. Si sentiva di essere al centro delle cure, del suo cuore di padre. Attraverso la simpatia e l’empatia del grande educatore piemontese i giovani percepivano di essere amati da Dio, giungevano ad incontrarlo e ad amarlo. Lo scenario in cui viveva don Bosco oggi non c’è più. Così, i giovani dell’Ottocento non sono i giovani di questo secolo. E, tuttavia, ancora oggi, i giovani hanno bisogno degli adulti, affinché li accompagnino nella loro crescita umana e cristiana. Necessitano di essere aiutati a non essere Narciso bensì persone che maturano attraverso il dono di sé, nella costante ricerca del vero, del bene e di Dio, sino ad incontrarLo e a donarsi a Lui. Oggi viene inaugurata a Pieve Thò una casa, ove per impulso di Elisa Fabbri e di Roberto Zama i giovani del territorio troveranno un punto di riferimento per crescere insieme, in amicizia, diventando un cuor solo e un’anima sola. Saranno accompagnati dalle parrocchie e dalle famiglie disponibili a farlo. Questa provvidenziale iniziativa appare senz’altro un raggio dell’amore di Cristo che regna nel mondo servendo l’umanità. Siamo riconoscenti a Roberto Zama e a Elisa Fabbri che hanno messo a disposizione la loro famiglia come soggetto che accoglie e accompagna i giovani. Altre famiglie, amici e volontari li affiancheranno e li aiuteranno nella loro opera, coordinandosi con le comunità civili e religiose. La stessa Diocesi ha creduto per prima nell’iniziativa e ha dato il suo appoggio mettendo a disposizione gli ambienti, incoraggiando i protagonisti. L’associazione Un raggio splenderà ha già dato prova della sua capacità di accompagnare i giovani del territorio che si sono rivolti ad essa. Auguriamo un consolidamento e uno sviluppo ulteriore a favore delle nuove generazioni della vallata. È auspicabile che il percorso dei giovani venga anche arricchito con momenti formativi e culturali. Il Signore benedica e accompagni coloro che hanno creduto nel progetto e sperano che l’Amore di Cristo trasformi ed umanizzi le persone e le comunità.
+ Mario Toso