Cari fratelli e sorelle,
siamo convocati alla Cena dell’Agnello, nella quale «l’Alfa e l’Omèga, Colui che è, che era e che viene, l’Onnipotente» – come abbiamo ascoltato nella seconda lettura (cf Ap 1, 5-8) – continua ad offrirsi per la salvezza del mondo.
Convocati attorno a questo altare, celebriamo la regalità del Signore Gesù, diversa da ogni regalità di questo mondo. Ogni giorno assistiamo ad una continua escalation, di violenza e di dominio, dove si cerca di imporre un’idea violenta di potere, di autorità, di sovranità.
Ce lo ricorda Papa Francesco scrivendo al Nunzio in Ucraina: «So bene che nessuna parola umana è in grado di proteggere le loro vite dai bombardamenti quotidiani, né consolare chi piange i morti, né curare i feriti, né rimpatriare i bambini, né liberare i prigionieri, né mitigare i crudi effetti dell’inverno, né riportare la giustizia e la pace. Ed è questa parola — pace — purtroppo dimenticata dal mondo d’oggi, che vorremmo sentire risuonare nelle famiglie, nelle case e nelle piazze della cara Ucraina. Purtroppo, almeno per ora, non è così!» (Francesco, Lettera, 19 novembre 2024).
La solennità di Cristo Re dell’Universo ci mostra la vera regalità: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce» dice Gesù a Pilato (Gv 18, 37). Mentre è arrestato, sottoposto ad un giudizio ingiusto, noi riconosciamo che Colui che testimonia la verità è più re di Cesare Augusto. Ancora una volta, il crocifisso e risorto ci insegna che per noi cristiani, l’autorità, il potere, la regalità, sono un servizio per il bene comune, il bene di tutti. L’autorità (dal latino augere, far crescere) è posta a servizio dell’“aumento” degli altri, della loro crescita, non solo di noi stessi o dei nostri amici.
In questo si riconosce la peculiarità della regalità di Gesù Cristo: lui si è incarnato, è morto, è risorto, per portare a compimento non qualcosa di particolare, ma tutta la creazione, tutta la storia. San Paolo dice che «tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi. Non solo, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo. Nella speranza, infatti, siamo stati salvati» (Rm 8, 22-24).
Fratelli, siamo stati salvati da Gesù Cristo, una volta per tutte nel suo sacrificio pasquale che celebriamo in ogni Eucaristia. È questo il centro del tempo e della storia, il punto nel quale converge la speranza di tutto l’universo: entrare, a causa delle piaghe del Crocifisso, nell’Amore di Dio.
La fede non relega la regalità del Signore in un piano astratto o lontano dalla nostra vita. San Giovanni Paolo II nella Dives in misericordia scrive: «La dimensione divina della redenzione non si attua soltanto nel far giustizia del peccato, ma nel restituire all’amore quella forza creativa nell’uomo, grazie alla quale egli ha nuovamente accesso alla pienezza di vita e di santità che proviene da Dio. In tal modo, la redenzione porta in sé la rivelazione della misericordia nella sua pienezza» (Giovanni Paolo II, Dives in misericordia, 7).
La regalità dell’Amore increato del Figlio di Dio restituisce una forza creativa al nostro amore, sempre bisognoso di crescere e di rinnovarsi. Guardando all’Amore che sgorga dal petto trafitto del Crocifisso, siamo sospinti ad offrire tutta la nostra vita come dono per gli altri e per Dio, senza limiti.
Sul piano ecclesiale, in particolare sul piano dell’Unità pastorale in cui ci troviamo, possiamo dire che dobbiamo impegnare tutte le comunità in una reale comunione con Cristo, l’unico Amore che redime integralmente, secondo tutte le loro dimensioni, il cosmo e l’umanità.
A partire dalla globalità della redenzione di Cristo possiamo pensare correttamente la continua conversione pastorale e spirituale che siamo chiamati a realizzare. Si tratta di una conversione che implica la corresponsabilità di tutti – comunità, uomini e donne, bambini e anziani -, nel vivere l’amore trasfiguratore di Cristo.
Tutta la Chiesa, tutti i battezzati devono riscoprirsi discepoli missionari, chiamati a portare a tutti il buon annuncio del Vangelo, in vista di una nuova creazione, quella incominciata con l’incarnazione. Fede e cultura, fede e ragione, fede e vita: non possiamo tenere questi ambiti separati e staccati fra di loro. Siamo chiamati a far maturare un’autentica cultura evangelica, un pensiero nuovo, che concernono ogni persona, tutta la persona, a partire dalla vita in Gesù, dalla sua pienezza. È una fede autentica che, a fronte della complessità dell’odierna società e del nihilismo, ci sollecita a rispondere della speranza che è in noi.
La vita di fede in Gesù sollecita ad un impegno nelle realtà terrene finalizzato non a comprimere l’autonomia e la libertà ma ad ampliarle. Con l’apporto delle vivificanti prospettive del Vangelo, l’autonomia e la libertà sono accresciute: il fine della redenzione è il compimento, mediante la ricapitolazione di tutte le cose in Cristo.
Vivere assegnando il primato al Signore Gesù e al suo insegnamento ci conduce a rivedere l’insieme delle nostre strutture secondo le esigenze dell’evangelizzazione nella società di oggi. Possiamo usare l’immagine della “dieta”: abbiamo bisogno di una Chiesa più snella, più agile, più dinamica nell’affrontare le sfide culturali, sociali, politiche di questo tempo. Le nostre comunità non sono in grado di portare i pesi di grandi strutture per di più gravate dall’autorità pubblica con balzelli ingiusti.
Non si tratta di una Chiesa più fluida, appiattita sulle mode passeggere del mondo: come discepoli del Risorto non siamo del mondo, ma nel mondo. Siamo, allora, nel mondo non con la logica della regalità egocentrica e narcisistica del consumismo, ma secondo la logica del nostro Re e Signore, di Colui che è venuto per servire, per insegnarci ad amare come Lui ha amato ed ama. Siamo in mezzo ad una società che non riconosce la Chiesa come germe di un Regno nuovo. In mezzo ad un numero crescente di indifferenti e di scettici nei confronti di Dio siamo come il lievito che gradualmente, silenziosamente, umilmente, fa crescere tutta la pasta. Il mondo ha bisogno del Vangelo. La vita e la storia possono cambiare in senso positivo solo se incontriamo Gesù Cristo, e come i magi ci inchiniamo e lo adoriamo.
Siamo, dunque, corresponsabili della regalità del Signore, del suo Regno d’Amore. Ricreiamo il mondo, che per incuria e avidità dell’uomo può essere distrutto. Pensando all’impegno di Cristo che si incarna per rigenerare l’umanità, pensiamo a tutti coloro che sono stati gravemente colpiti dalla seconda alluvione, alcuni dei quali ho incontrato due giorni fa. Preghiamo per loro, per tutti gli alluvionati, non solo della nostra Diocesi. Il Signore Gesù doni a loro la forza del suo Amore fedele e rigeneratore per non perdersi d’animo, per far rinascere le loro case e le loro imprese, comunità di persone.
Al termine della mia Visita pastorale, durante la quale ho incontrato alcuni di voi, assicuro che vi porterò tutti nel mio cuore, specie i bambini e gli anziani che ho accarezzato e benedetto nel nome di Gesù. Ringrazio i vostri solerti parroci don Stefano e don Dante e i loro collaboratori, non ultimi i sacerdoti della Comunità dell’Opera S. Maria della Luce don Michel e don Jean Romain. Dio vi accompagni con il suo Spirito.
+ Mario Toso