Meditazione per la Veglia missionaria

20-10-2017

Cari fratelli e sorelle, il brano del Vangelo appena proclamato (Gv 6, 17-42), e che ci narra dell’incontro di Gesù con la samaritana, ci aiuta a capire meglio l’origine del nostro essere missionari. La nostra chiamata alla missione la comprendiamo bene se guardiamo a Gesù e a quanto dice. Ai discepoli che gli offrono da mangiare risponde: «Io ho da mangiare un cibo che non conoscete». Subito dopo, di fronte al loro sconcerto – si domandano, infatti, se avesse già mangiato -, aggiunge: «Il mio cibo è fare la volontà di Colui che mi ha mandato a compiere la sua opera».

In definitiva, Gesù cerca un altro cibo, non solo quello materiale, ma soprattutto un cibo spirituale: essere totalmente obbediente alla volontà del Padre. Ma quale volontà? La volontà del Padre è la «missione». Di che missione si tratta? Portare la salvezza a tutti gli uomini. Il Figlio di Dio, il Logos, che vive all’interno del dialogo trinitario, anela a farsi carne. Divenendo uomo è Dio che si fa «missione», dono di vita divina a tutti, indipendentemente dalla razza, dall’etnia, dalla cultura, dalla religione.

Ebbene, chi è cristiano fa suoi il desiderio e l’opera di Cristo, ma anche della Chiesa. Assume la loro missione, sapendo che così diventa strumento di salvezza nella storia. Il credente rende la loro missione operante qui ed ora per le persone che incontra.

Due brevi sottolineature.

Gesù sensibilizza, innanzitutto, i suoi discepoli così: «alzate i vostri occhi a guardare i campi che già biondeggiano per la mietitura». Come a dire: la messe è pronta; la missione è urgente! Occorre operare prontamente, senza esitare.

Cari fratelli e sorelle, non possiamo ignorare che i popoli e le nuove generazioni, a motivo dell’azione dello Spirito nei loro cuori, attendono di essere salvati, di conoscere Dio, di essere liberati dal peccato e dalla morte. Non dimentichiamo che attendono Gesù anche coloro che giungono nella nostra terra in cerca di una vita più umana, felice e sicura. Non possiamo indugiare e tardare a far sì che tutti vivano l’amicizia con Gesù, l’amor fraterno e, in specie, la sua redenzione. Non possiamo rinunciare ad essere quello per cui siamo stati battezzati e cresimati: e cioè una missione, Chiesa samaritana. Colui che dice ai suoi discepoli che la messe è pronta è anche Colui che ha detto che la messe è molta, ma gli operai sono pochi (cf Mt 9, 35-38). E, pertanto, è necessaria la generosità, il coraggio del dono di sé.

La seconda sottolineatura. La missione si attua in un contesto di umiltà e gratuità. Cristo semina. Lo Spirito santo fa maturare. Una tale situazione, che si è sempre verificata nella storia della Chiesa, si attua ugualmente nel campo della missione odierna. Altri è chi semina. Altri è chi miete. Il missionario sa che non tutto dipende da lui, che bisogna attendere, a volte, tempi lunghi. Altri raccoglieranno là dove lui ha sparso la Parola. C’è chi ara tracciando i solchi, c’è chi semina con speranza gettando la semente, e c’è chi raccoglie la messe che germoglia e matura sotto i raggi del sole.

Il missionario sa che vive su questa terra il suo compito non per merito ed impulso suoi. Riconosce di averlo ricevuto, di portarlo in sé come un marchio impresso, come colui che è stato marcato a fuoco dallo Spirito del Padre e del Figlio. La missione non è nient’altro che una passione d’amore per Dio e per Gesù. È, al tempo stesso, una passione per l’umanità, per la famiglia dei popoli della terra. Essere missionari significa, in ultima analisi, non appartenersi, mettersi totalmente a disposizione del Signore e dei propri fratelli. Occorre, poi, essere missionari come comunità unita e compatta, senza sovrapposizioni, senza esclusioni di questa o quella componente, a trecentosessanta gradi. La missione va sì vissuta andando in Paesi lontani per portare Cristo ma va anche concretizzata in tutti gli ambienti di vita: famiglia, scuola, politica, cultura, mass media, economia, impresa.

Non dimentichiamo, infine, quanto vuole insegnarci il brano del Vangelo di Giovanni (cf Gv 4, 17-42), e cioè che numerosi samaritani ebbero una fede appassionata e contagiosa sì per la testimonianza della donna che aveva parlato col Salvatore presso il pozzo, ma soprattutto per aver incontrato personalmente il Cristo. Molti di più credettero per la sua parola, dice Giovanni, e alla donna dicevano: «Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo».

In definitiva, il missionario deve ricordarsi che il suo compito è, ultimamente, quello di portare le persone all’incontro con Gesù Cristo. È lui il Redentore. Carissimi, la missione che la Chiesa vive non è fine a se stessa. Essa deve far giungere le persone a Gesù. Il papa, i vescovi, i christifideles laici sono, a diverso titolo, semplici strumenti. Importanti sicuramente, ma essi debbono sempre considerarsi servi di Cristo. Non sono missionari per la propria gloria, bensì per quella di Dio. Maria, madre dell’evangelizzazione, ci aiuti ad essere missionari ardenti ma umili, a servizio del Regno.