Premessa: le ragioni della formazione sociale
Per la persona si deve pensare ad una formazione integrale, inclusiva di una formazione sociale. E questo per motivi di ragione e di fede.
Dal punto di vista della ragione risulta che la persona è un essere intrinsecamente sociale, relazionale, che si realizza mediante la comunione con gli altri e il dono di sé. E, quindi, se vuole crescere secondo la globalità del suo essere deve imparare ad essere sociale e solidale. Dal punto di vista delle fede, come ha sottolineato recentemente papa Francesco, è pure necessaria tale formazione perché la vita di fede del credente comprende una dimensione sociale (cf capitolo IV dell’Evangelii gaudium):
«Confessare un Padre che ama infinitamente ciascun essere umano implica scoprire che “con ciò stesso gli conferisce una dignità infinita”. Confessare che il Figlio di Dio ha assunto la nostra carne umana significa che ogni persona umana è stata elevata al cuore stesso di Dio. Confessare che Gesù ha dato il suo sangue per noi ci impedisce di conservare il minimo dubbio circa l’amore senza limiti che nobilita ogni essere umano. La sua redenzione ha un significato sociale perché «Dio, in Cristo, non redime solamente la singola persona, ma anche le relazioni sociali tra gli uomini». Confessare che lo Spirito Santo agisce in tutti implica riconoscere che Egli cerca di penetrare in ogni situazione umana e in tutti i vincoli sociali: “Lo Spirito Santo possiede un’inventiva infinita, propria della mente divina, che sa provvedere e sciogliere i nodi delle vicende umane anche più complesse e impenetrabili”. L’evangelizzazione cerca di cooperare anche con tale azione liberatrice dello Spirito. Lo stesso mistero della Trinità ci ricorda che siamo stati creati a immagine della comunione divina, per cui non possiamo realizzarci né salvarci da soli. Dal cuore del Vangelo riconosciamo l’intima connessione tra evangelizzazione e promozione umana, che deve necessariamente esprimersi e svilupparsi in tutta l’azione evangelizzatrice. L’accettazione del primo annuncio, che invita a lasciarsi amare da Dio e ad amarlo con l’amore che Egli stesso ci comunica, provoca nella vita della persona e nelle sue azioni una prima e fondamentale reazione: desiderare, cercare e avere a cuore il bene degli altri» (EG n. 178).
Le motivazioni di ragione e le ragioni di fede non si elidono a vicenda anzi si incontrano e si aiutano. Le ragioni di fede confermano, rafforzano quelle della ragione.
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Un problema cruciale: la separazione tra fede e vita, tra etica personale ed etica pubblica
Oggi, non poche volte i credenti vivono la divisione tra fede (quello che credono) e vita (quello che praticano). Per vincere la separazione tra fede e vita, tra etica personale (spesso vissuta in termini individualistici) ed etica pubblica (che richiede solidarietà, collaborazione nel bene comune), per essere cioè persone positive, generative, utili a se stessi e alla società, occorre soprattutto un’adeguata formazione morale e sociale. Non basta la preparazione tecnica, scientifica. La formazione professionale non è sufficiente garanzia di cittadini onesti e pacifici. Occorre anche la formazione delle coscienze che, nell’attuale situazione socio-culturale, subiscono vere e proprie aggressioni e sono disorientate rispetto alla verità, alla solidarietà e alla giustizia. Dire questo non è, però, affermare che la formazione morale sia sufficiente. Per vivere bene e fare il bene nella vita privata e pubblica bisogna essere preparati e dal punto di vista professionale e dal punto di vista etico-sociale. Dunque: et, et: e formazione professionale e formazione morale e sociale.
Va aggiunto qui, poi, che per superare l’odierna drammatica confusione tra bene e male non basta essere formati ad un’etica legale e formale, ossia ad osservare le regole procedurali o i codici etici. Il principio di legalità non è sufficiente. Occorre “andare oltre”, per dare un’anima alla legalità stessa. La sola giustizia formale non può salvare le nostre città multirazziali, multiculturali e multireligiose. Può, forse, garantire un certo ordine nei rapporti, una certa sicurezza. Per superare questo deficit, occorre riconoscere nell’altro un proprio simile, che è lì, di fronte a te, non per esserti inevitabilmente nemico o per essere sfruttato, ma come aiuto (cf Gn 2,18.20), come persona da rendere partecipe, al pari di te, del banchetto della vita a cui tutti gli uomini sono egualmente invitati da Dio. Occorre, in definitiva, essere educati secondo una morale «amica» della persona; bisogna essere formati alla vita buona secondo il Vangelo, a vivere comportamenti virtuosi, grazie ai quali il bene dell’altro è voluto per se stesso (non per utilità propria), con perseveranza, in Dio.
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Le precondizioni per una formazione sociale
In vista di una formazione che superi orientamenti neoindividualistici, neoutilitaristici, neoliberisti e apra ad un’esistenza non di semplice convivenza, ma di comunione con gli altri, di impegno per il bene dell’altro e per il bene comune, e in vista di una formazione che superi la separazione fra fede e vita sono assolutamente irrinunciabili due precondizioni. E cioè:
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che si riconosca, andando al di là di posizioni relativistiche, che ogni persona possiede la naturale capacità di conoscere il vero, il bene e Dio, sia pure tra limiti, gradualmente. Se non è accessibile il vero bene umano, oggettivo ed universale, non possono essere evidenti le ragioni della fraternità, della solidarietà e della cooperazione come collaborazione. Una ragione meramente tecnica non conduce al bene integrale, alla considerazione della persona come un fine in sé, un fine in Dio;
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che si ricentri la propria vita – è questo un appello insistente di san Giovanni Paolo II all’inizio di questo nuovo millennio: il senso morale della vita si fonda e si compie basandosi su una concezione dinamica della fede – su Gesù Cristo il quale, redimendoci e donandoci il comandamento nuovo, il suo Spirito, non solo ci insegna ma ci consente di essere fedeli alla verità su Dio e sull’uomo, al bene umano integrale: non si può amare l’uomo senza amare Dio e viceversa. Il nostro incontrarci con Dio e il nostro essere di Cristo, redentore di ogni uomo, di tutto l’uomo, impegna il credente a incarnare i valori evangelici nell’ethos, nelle culture, nelle istituzioni dei popoli. Altrimenti il Vangelo non feconda la vita dei singoli, la storia.
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Decalogo per risvegliare la coscienza sociale
Per afferrare rapidamente e sinteticamente il senso da dare alla nostra azione sociale si riporta qui il Decalogo elaborato dal Cardinale Dionigi Tettamanzi, recentemente scomparso. Eccolo:
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Non stancarti mai di lottare per la verità!
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Sii coerente con te stesso e adempi i tuoi doveri!
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Riconosci e venera la dignità di ogni persona!
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Ricorda che Dio, creatore e giudice, è il difensore e il garante della vita di tutti e di ciascuno!
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Promuovi l’alleanza tra la scienza e la sapienza!
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Offri sempre una testimonianza esemplare di vita!
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Vivi l’impegno sociale e politico con il senso di responsabilità!
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Coltiva una grande sensibilità per il bene comune!
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Vinci l’illegalità con un supplemento di moralità!
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Ricordati che il Signore giudicherà con giustizia! (cf D. TETTAMANZI, Città di Milano, risveglia la tua coscienza morale!, Centro Ambrosiano, Milano 2002, pp. 34-45).
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La formazione dei laici: l’unità di vita e la Dottrina sociale della Chiesa
«Nello scoprire e nel vivere la propria vocazione e missione, i fedeli laici devono essere formati a quell’unità di cui è segnato il loro stesso essere di membri della Chiesa e di cittadini della società umana. Nella loro esistenza non ci possono essere due vite parallele: da una parte, la vita cosiddetta “spirituale”, con i suoi valori e con le sue esigenze; e dall’altra, la vita cosiddetta “secolare”, ossia la vita di famiglia, di lavoro, di rapporti sociali, dell’impegno politico e della cultura. Il tralcio, radicato nella vite che è Cristo, porta i suoi frutti in ogni settore dell’attività e dell’esistenza».1
Per la realizzazione dell’unità di vita – a cui il Concilio Vaticano II invita tutti i fedeli laici, denunciando con forza la gravità della frattura tra fede e vita, tra Vangelo e cultura –, appare particolarmente adatta la formazione nella Dottrina sociale della Chiesa (=DSC).2 Una tale formazione contribuisce ad edificare personalità sociali, coscienze politiche che agiscono in coerenza con la loro fede. A motivo del suo carattere di sapere teorico-pratico, la DSC contribuisce, in particolar modo, a formare nei credenti le disposizioni virtuose che consentono di incarnare, nei diversi ambienti sociali, mediante l’azione retta, la verità dell’uomo, con mature valutazioni morali e conseguenti decisioni operative, affinché la realtà sociale partecipi alla novità evangelica. Ciò compiendo, la DSC forma il credente a non privatizzare l’etica, a concretizzare la rilevanza pubblica del messaggio cristiano.
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Alcuni ambiti della formazione dei laici
La formazione dei laici avviene, però, secondo modalità diverse e in diversi ambienti educativi.
A livello di catechesi, di cui si è in parte già detto, si attua una formazione finalizzata a promuovere la sensibilità e a maturare cristianamente una competenza morale di base in campo sociale. Questa proposta non è destinata direttamente a coltivare vocazioni all’impegno politico, ma a promuovere una lettura cristiana degli avvenimenti. Al riguardo diventa indispensabile una prima conoscenza dei documenti sociali, che appaiono fattore decisivo di contestualizzazione del messaggio catechistico nella concreta problematica sociale.
Ad un altro livello, in alcune Chiese locali si è mostrata quanto mai vantaggiosa l’istituzione di Scuole diocesane di formazione all’impegno sociale e politico, le quali offrono una formazione più vasta ed approfondita con l’obiettivo di suscitare e sostenere vocazioni all’impegno sociale e politico, aiutando e sollecitando il discernimento personale e l’acquisizione di una iniziale competenza. Tali Scuole garantiscono la fisionomia ecclesiale propria agli itinerari formativi, in quanto svolgono la loro attività nel contesto dell’azione educativa della comunità diocesana, cui fanno riferimento i percorsi formativi promossi da altri soggetti, quali i Centri culturali, le associazioni, i gruppi e i movimenti ecclesiali. Il percorso formativo passa attraverso un articolato approccio dottrinale, etico, culturale e spirituale alle questioni sociali, per promuovere sia la conoscenza – precisa, approfondita, aggiornata – della DSC, sia l’acquisizione di un maturo esercizio del discernimento della realtà sociale con l’ausilio delle scienze teologiche ed umane, da cui scaturisce la capacità di coerenti decisioni e realistici interventi.
A livello universitario, specie nelle Facoltà di scienze sociali, laiche o cattoliche, ove si impara ad affrontare e a studiare i problemi con rigore scientifico, i laici possono formarsi in maniera più completa quando nelle programmazioni accademiche siano inseriti opportunamente corsi di DSC e venga offerta la possibilità di sostenere tesi di laurea. Sempre a livello universitario sarebbe auspicabile per gli studenti poter seguire, ove possibile, la sperimentazione della stessa DSC in questo o quel territorio, sulla base di progetti studiati e realizzati dai vari soggetti sociali e da docenti universitari. Le università, specie quelle cattoliche, con le diverse facoltà specializzate nell’economia, nella politica, nelle scienze sociali, possono dare un potente e qualificato contributo al processo di discernimento e di profezia cui invita la DSC.
La formazione dei laici avviene anche nelle aggregazioni ecclesiali. Pur nella varietà dell’ispirazione originaria e della specifica spiritualità, ogni aggregazione e movimento deve sentire come proprio lo slancio missionario della Chiesa a formare laici adulti capaci di testimoniare Cristo e di permeare di spirito evangelico gli ambiti della famiglia, dell’economia, della politica, della vita civile e della mondialità.3 Proprio per questo, le aggregazioni ecclesiali, siano esse associazioni o movimenti, sono particolarmente dedite alla formazione, all’apostolato sociale e all’animazione cristiana delle realtà terrene. Nei loro itinerari formativi non può, allora, assolutamente mancare la presenza permanente della DSC.
Le associazioni e i movimenti, collegati tra loro e capaci di collaborare in comunione con la chiesa locale e universale, svolgono un’importante funzione partecipativa nell’animazione cristiana e nella costruzione di condizioni più giuste e fraterne all’interno delle società. Simultaneamente sorreggono i laici impegnati nel sociale ai quali viene dato il supporto di una spiritualità laicale di servizio al mondo. Quando le associazioni e i movimenti non stravolgono la loro natura e non perdono di vista lo scopo originario, diventano per se stesse palestre ove si allenano e crescono soggetti protagonisti dell’inveramento e del rinnovamento della DSC.
I laici operano nel sociale anche mediante organizzazioni sindacali, economiche e politiche di ispirazione cristiana. In tali realtà i laici operano a tutto campo, nell’ambito delle proprie responsabilità. Sebbene il loro operare in questi ambiti non sia su basi confessionali, tuttavia, sul piano dottrinale e morale, non può essere svincolato dal riferimento al Vangelo e alla DSC. Le attività dei laici nelle realtà temporali non possono prescindere da questo riferimento negli obiettivi che perseguono e nemmeno nei mezzi, nei metodi, nello stile da essi adottati. Da ciò si evince come le suddette organizzazioni devono prestare, nelle loro attività formative, adeguata attenzione a quel patrimonio religioso e culturale che appartiene loro per natura. Non farlo equivarrebbe ad allontanarsi dalla identità più profonda dei loro aderenti.
Un momento alto di formazione dei laici è rappresentato dalle Settimane sociali dei cattolici. In esse, veri e propri laboratori culturali, i laici – mentre si confrontano, si comunicano riflessioni ed esperienze, studiano i problemi emergenti e trovano nuovi orientamenti operativi alla luce della Parola e della Tradizione, compresa quella del movimento cattolico sociale –, sviluppano ed aggiornano la DSC con riferimento al proprio Paese, celebrando il loro ruolo di soggetti primi responsabili nei confronti dell’organizzazione della società e del rinnovamento dell’ordine temporale secondo il disegno di Dio.
Uno dei luoghi educativi della Chiesa è anche la scuola cattolica, che dev’essere considerata più che uno strumento. Essa è «soggetto ecclesiale».4 Come scuola-comunità svolge, fra l’altro, un «vero specifico servizio pastorale»,5 che consiste nel favorire l’inculturazione del messaggio cristiano, ossia la mediazione tra la novità del Vangelo e le competenze proprie dei saperi e delle scienze. Poiché la DSC appartiene al messaggio che la Chiesa deve trasmettere e poiché la scuola cattolica è autentico «luogo di evangelizzazione»,6 che trova la propria «vera giustificazione nella missione stessa della Chiesa»,7 essa dovrà assumere come proprio punto di riferimento la totalità del messaggio cristiano e quindi sentirsi soggetto ecclesiale anche in ordine alla formazione alla DSC. Grazie alla DSC, illustrata con opportuni accorgimenti didattici, sarà possibile conferire maggior concretezza all’educazione all’amore, alla giustizia e alla pace. Così, si potrà anche formare le coscienze ad una sensibilità particolare nei confronti delle conseguenze sociali del peccato;8 la scuola potrà divenire luogo in cui non solo i docenti, non solo i discenti, ma l’intera comunità educante, comprese le famiglie, si aprono ai bisogni umani nel territorio, prendono posizione nei confronti di ingiustizie palesi ed occulte e preparano competenze culturali e professionali consapevoli dei propri doveri etici e sociali.
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La spiritualità dei laici: essere sale della terra, come?
La Chiesa e i fedeli non devono solo badare a salare tutti i cibi nella gran casa del mondo; essi devono anche cercare di non dissolversi nella società, di non divenire insipidi, per poter continuare la loro funzione.
Per non perdere la propria capacità di salare,9 Chiesa e fedeli devono essere sempre in atteggiamento di conversione e rinnovamento, di riforma e di aggiornamento.10 Per essere «segno» vero e profetico di un’umanità redenta e nuova, in seno alla Chiesa i rapporti interpersonali vanno continuamente trasformati e improntati alla fraternità, i valori debbono essere vissuti secondo la giusta gerarchia, gli stessi beni materiali e l’autorità vanno «amministrati» in modo evangelico, le divisioni tra cristiani vanno superate (c’è anche una dimensione ecumenica della DS e della spiritualità !).11
Spesso le comunità ecclesiali e i credenti sono superpreoccupati di essere sale della terra, e così accrescono gli impegni, le presenze e le mediazioni; mentre, forse, si presta minor attenzione alle condizioni necessarie per essere sale.
Se il sale ha la funzione di salare, e per questo non può rimanere nella saliera – e, pertanto, vanno superate le concezioni di una Chiesa-ghetto o catacomba -, non per questo bisogna dimenticare di aver cura delle saline, ossia di quei luoghi, ambienti, ove si forma il sale, come la scuola cattolica e gli ambienti sopracitati; e, di tutto ciò che impedisce al sale di diventare insipido.
Di qui una duplice direttiva di azione per la spiritualità del credente, che è contemporaneamente membro di due città, quella religiosa e quella secolare:
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La prima direttiva: vivere intensamente nella comunità ecclesiale, chiamata ad essere, in tutta la durata del tempo, modello di umanità redenta ed unificata; partecipare attivamente alla sua costruzione come edificio spirituale di Cristo.
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La seconda direttiva: vivere nella società secolare, animarla dal di dentro, come fermento nella pasta,12 con i mezzi cristiani, in modo da ordinarla al servizio dell’uomo integrale.
I due impegni, diversi per finalità, per mezzi e per metodo, non vanno separati anche se sono distinti. L’essere membra vive della comunità ecclesiale non è a danno dell’essere impegnati a trasformare le realtà secondo il disegno di Dio, e viceversa. Anzi. L’uno è intersecato con l’altro, l’uno giova all’altro, in una circolarità continua.
Bisogna, allora, in primo luogo, vincere il pregiudizio che la Chiesa sia più Chiesa senza essere Chiesa nel mondo, per il mondo; e, in particolare, occorre, che da parte dei fedeli laici, siano vinti gli alibi o le ritrosie che impediscono di portare nella comunità ecclesiale l’esperienza e la competenza che essi hanno delle realtà temporali. La Chiesa, come insegna molto bene la GS,13 non solo dà al mondo e alla società umana, ma anche riceve, specie mediante i laici che quotidianamente lavorano in essi per renderli sempre più umani.
Essa, riuscirà meglio ad esplicare l’opera, grande e complessa, di una «nuova evangelizzazione del sociale», se i laici, crescendo nel senso di appartenenza e nella coscienza di essere anche soggetti di pastorale sociale, saranno presenti nelle comunità per portare la loro peculiare ricchezza. La Chiesa ha bisogno di veri laici, ossia laici maturi nella fede; non solo per espletare l’opera della catechesi, della carità assistenziale o altro, ma soprattutto per essere comunità capace di entrare in dialogo con il «sociale», al fine di annunciare anche per esso il Vangelo e la vera umanizzazione.
In secondo luogo, va vinta la falsa e sottile illusione illuminista di poter trasformare il mondo umanisticamente, solo attraverso la lotta per la giustizia, senza la grazia,14 senza una fede che si alimenta ed è educata nell’esperienza della vita ecclesiale. Forse, si dimentica, troppo superficialmente, quanto sia forte il potere del male in noi e nella società. Il credente, immerso nel sociale e nel politico, fa crescere la propria spiritualità: confrontandosi con la Parola di Dio, che è annunciata, proclamata, interpretata autoritativamente nella comunità e dalla comunità; unendo la propria «liturgia della vita» alla liturgia sacramentale; partecipando attivamente e responsabilmente all’opera di discernimento e di ricerca degli impegni cristiani ma anche prendendo da questa stessa opera di discernimento e di ricerca; lasciandosi illuminare e sollecitare dal magistero dei pastori, contribuendo, simultaneamente, con la propria competenza di «esperto delle realtà temporali» e di credente, alla sua formulazione.
Se pure si deve considerare, come già si è accennato, alla presenza della grazia del Regno anche fuori della Chiesa e dei sacramenti, deve, però, sempre rimanere chiaro che fonti primordiali della grazia, dei valori del Regno e, quindi, della propria spiritualità, non è primariamente il mondo secolare, il processo storico della liberazione temporale, ma Gesù Cristo, e, in dipendenza da Lui, la Chiesa, che ne è sacramento. La fraternità umana, la liberazione, il povero, sono certamente «presenze» ed «esperienze» di Cristo, grazie alla creazione e alla redenzione, ma lo sono in tanto in quanto prima si è già incontrato Cristo, come fonte di fede, di amore e di salvezza, presente nella Chiesa, nella sua parola, nei sacramenti. La scelta dell’impegno per la giustizia, per la difesa dei diritti umani, per la pace, per i più poveri, la si effettua e la si realizza con maggior coerenza e compiutezza a partire dalla scelta per Gesù Cristo e dall’esperienza della sua salvezza. Il povero, l’affamato, il carcerato, il mondo non salvano, perché non sono essi la salvezza: solo Cristo è il Redentore.
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Una nuova evangelizzazione del sociale e una nuova pastorale sociale: la Chiesa è impegnata non solo a servire i poveri
La riflessione conciliare e post-conciliare sulla natura e sulla missione della Chiesa ha messo in luce che come Cristo redime i peccati e moltiplica i pani, così essa è nel mondo quale «sacramento» e «segno» di una Carità o Amore (Agápe) che raggiunge tutto l’uomo, ogni uomo, tutte le sue attività. La Chiesa, sacramento di Cristo, annuncia, celebra e testimonia nel tempo, e in diversi contesti, la Carità di Cristo, secondo la totalità delle sue molteplici e correlate dimensioni.
Come più volte sottolineato, la Chiesa vive la totalità della Carità di Cristo sviluppando un’evangelizzazione cui non sono estranee, anzi sono intimamente connesse, la promozione umana e la liberazione temporale. Ultimamente, la Chiesa ha riletto e ricompreso il ministero della propria diaconia globale all’ uomo e al mondo, in modo da doverlo esplicare e «programmare» come una «nuova» evangelizzazione.
Evidentemente, ad una «nuova» evangelizzazione del sociale deve corrispondere una «nuova» pastorale sociale. Sono tante le ragioni per cui si deve parlare di «nuova» pastorale sociale: «nuova», perché non ridotta ad occuparsi solo di una diaconia ecclesiale all’uomo concepita, riduttivamente, in termini caritativo-assistenziali; «nuova», perché considerata manifestazione dell’essere comunionale e missionario della Chiesa, e non un semplice settore dell’azione diaconale della comunità ecclesiale, lasciato e demandato alla responsabilità e alla buona volontà di pochi fedeli; «nuova», perché meno accentrata nella mani dei pastori, ma più compartecipata, quasi coralmente, da tutte le componenti ecclesiali, specie dai laici, che ne sono, con riferimento alle realtà temporali, i principali protagonisti.
La «nuova» pastorale sociale – legata alla «nuova» evangelizzazione del sociale -, a cui si richiama la DSC, dovrà essere, quindi, pensata ed organizzata più sistematicamente rispetto al passato, alla semplice Caritas diocesana. Dovrà approntare progetti, processi, itinerari educativi atti ad abilitare all’evangelizzazione del lavoro, dell’economia, della politica, dei mezzi di comunicazione sociale, della famiglia, della scuola, dell’ecologia. Una tale pastorale sociale esige, per se stessa, l’esistenza di comunità ecclesiali capaci di interagire positivamente con le varie realtà sociali presenti nel territorio.
Faenza, 13 ottobre 2017.
1 Christifideles laici (=CL) 59.
2 Cf CL 60.
3 Cf CL 30.
4 Cf Congregazione per l’Educazione Cattolica, La dimensione religiosa dell’educazione nella scuola cattolica n. 33, LDC, Torino 1988.
5 Cf ib., 32.
6 Cf ib., 33.
7 Cf ib., 34.
8 Cf ib., 92.
9 Cf G. LOFINK, Per chi vale il discorso della montagna?, Queriniana, Brescia 1990, p. 139.
10 Cf PAOLO VI, Ecclesiam suam, Edizioni Paoline, Roma 1964, nn. 11-13, pp. 13-17.
11 Cf Gaudium et spes (=GS) 91-92.
12 Cf GS 40.
13 Cf GS 42-44.
14 Cf Centesimus annus 59.