Modigliana, Chiesa di san Domenico, 1° gennaio 2023.
Celebriamo la Messa della solennità di Maria Madre di Dio e della Chiesa. Il breve ma denso brano paolino della Lettera ai Galati ci dice che il Figlio di Dio assumendo la natura umana apre la prospettiva di un radicale mutamento della stessa condizione dell’uomo (cf Gal 4,5). Il Verbo incarnato trasforma dall’interno l’esistenza umana, partecipando a noi il suo essere Figlio del Padre. Si fa come noi per farci come Lui: figli nel Figlio, dunque uomini e donne liberi dalla legge del peccato, più capaci di vero, di bene e di pace.
In occasione del 1° gennaio, a partire da Paolo VI, ogni pontefice è ormai abituato ad indirizzare ai popoli e alle nazioni del mondo, ai Capi di Stato e di Governo, nonché ai responsabili delle comunità religiose e delle varie espressioni della società civile, un Messaggio per la Celebrazione della Giornata mondiale della Pace. Il Messaggio di papa Francesco per la 56ª Giornata porta questo titolo: Nessuno può salvarsi da solo. Ripartire dal Covid-19 per tracciare insieme sentieri di pace. Si tratta di un testo breve, semplice, che ci sprona, sulle orme dell’apostolo Paolo, a fronte di grandi problemi che colpiscono la famiglia umana, a restare svegli, a non rinchiuderci nella paura, nel dolore o nella rassegnazione, a non scoraggiarci, per tracciare insieme, come detto nel titolo, sentieri di pace.
Il Covid-19 ci ha fatto piombare nel cuore della notte, destabilizzando la nostra vita ordinaria, mettendo a soqquadro i nostri piani e le nostre abitudini, generando disorientamento e sofferenza, causando la morte di tanti nostri fratelli e sorelle.
Assieme alle manifestazioni fisiche, il Covid-19 ha provocato un malessere generale che si è concentrato nel cuore di tante persone e famiglie, con risvolti non trascurabili, alimentati dai lunghi periodi di isolamento e da diverse limitazioni di libertà.
Inoltre, non possiamo dimenticare come la pandemia abbia toccato alcuni nervi scoperti dell’assetto sociale ed economico, facendo emergere contraddizioni e disuguaglianze. Ha minacciato la sicurezza lavorativa di tanti e aggravato la solitudine sempre più diffusa nelle nostre società, in particolare quella dei più deboli e dei poveri. Pensiamo, ad esempio, ai milioni di lavoratori informali in molte parti del mondo, rimasti senza impiego e senza alcun supporto durante tutto il periodo di confinamento.
Dopo tre anni, scrive papa Francesco, è ora di prendere un tempo per interrogarci, imparare, crescere e lasciarci trasformare, come singoli e come comunità. Oggi siamo chiamati a chiederci: che cosa abbiamo imparato da questa situazione di pandemia? Quali nuovi cammini dovremo intraprendere per abbandonare le catene delle nostre vecchie abitudini, per essere meglio preparati, per osare la novità? Quali segni di vita e di speranza possiamo cogliere per andare avanti e cercare di rendere migliore il nostro mondo?
Siamo cioè sollecitati ad un’opera di discernimento.
Possiamo dire che la più grande lezione che il Covid-19 ci lascia in eredità – afferma papa Francesco – è la consapevolezza che abbiamo tutti bisogno gli uni degli altri, che il nostro tesoro più grande, seppure anche più fragile, è la fratellanza umana, fondata sulla comune figliolanza divina, e che nessuno può salvarsi da solo. È urgente, dunque, ricercare e promuovere insieme i valori universali che tracciano il cammino di questa fratellanza umana. Abbiamo anche imparato che la fiducia riposta nel progresso, nella tecnologia e negli effetti della globalizzazione non solo è stata eccessiva, ma si è trasformata in una intossicazione individualistica e idolatrica, compromettendo la garanzia auspicata di giustizia, di concordia e di pace. Nel nostro mondo che corre a grande velocità, molto spesso i diffusi problemi di squilibri, ingiustizie, povertà ed emarginazioni alimentano malesseri e conflitti, e generano violenze e anche guerre.
Mentre, da una parte, la pandemia ha fatto emergere la carenza di un quadro culturale adeguato, abbiamo potuto, dall’altra, fare scoperte positive: un benefico ritorno all’umiltà; un ridimensionamento di certe pretese consumistiche; un senso rinnovato di solidarietà che ci incoraggia a uscire dal nostro egoismo per aprirci alla sofferenza degli altri e ai loro bisogni; nonché un impegno, in certi casi veramente eroico, di tante persone che si sono spese perché tutti potessero superare al meglio il dramma dell’emergenza.
Dall’esperienza della pandemia ci deriva la consapevolezza che invita tutti, popoli e nazioni, a rimettere al centro la parola insieme. Infatti, è insieme, nella fraternità e nella solidarietà, che speriamo gli eventi più dolorosi, che costruiamo la pace e garantiamo la giustizia. Le risposte più efficaci alla pandemia sono state, in effetti, quelle che hanno visto gruppi sociali, istituzioni pubbliche e private, organizzazioni internazionali uniti per rispondere alla sfida, lasciando da parte interessi particolari.
Ma, nel momento in cui abbiamo osato sperare che il peggio della notte della pandemia da Covid-19 fosse stato superato, una nuova terribile sciagura si è abbattuta sull’umanità. Abbiamo assistito all’insorgere di un altro flagello: un’ulteriore guerra, in parte paragonabile al Covid-19, ma tuttavia guidata da scelte umane colpevoli. La guerra in Ucraina miete vittime innocenti e diffonde incertezza, non solo per chi ne viene direttamente colpito, ma in modo diffuso e indiscriminato per tutti, anche per quanti, a migliaia di chilometri di distanza, ne soffrono gli effetti collaterali – basti solo pensare ai problemi del grano e ai prezzi del carburante.
La guerra in Ucraina, insieme a tutti gli altri conflitti sparsi per il globo, rappresenta una sconfitta per l’umanità intera e non solo per le parti direttamente coinvolte. Mentre per il Covid-19 si è trovato un vaccino, per la guerra ancora non si sono trovate soluzioni adeguate.
Cosa, dunque, ci è chiesto di fare?
Anzitutto, di lasciarci cambiare il cuore dall’emergenza che abbiamo vissuto, di permettere cioè che, attraverso questo momento storico, Dio trasformi i nostri criteri abituali di interpretazione del mondo e della realtà. Non possiamo più pensare solo a preservare lo spazio dei nostri interessi personali o nazionali, ma dobbiamo pensarci alla luce del bene comune, con un senso comunitario, ovvero come un “noi” aperto alla fraternità universale. Non possiamo perseguire solo la protezione di noi stessi, ma è l’ora di impegnarci tutti per la guarigione della nostra società e del nostro pianeta, creando le basi per un mondo più giusto e pacifico, seriamente impegnato alla ricerca di un bene che sia davvero comune.
Per fare questo e vivere in modo migliore dopo l’emergenza del Covid-19 dobbiamo rivisitare il tema della garanzia della salute pubblica per tutti; promuovere azioni di pace per mettere fine ai conflitti e alle guerre che continuano a generare vittime e povertà; prenderci cura in maniera concertata della nostra casa comune e attuare chiare ed efficaci misure per far fronte al cambiamento climatico; combattere il virus delle disuguaglianze e garantire il cibo e un lavoro dignitoso per tutti, sostenendo quanti non hanno neppure un salario minimo e sono in grande difficoltà. Lo scandalo dei popoli affamati ci ferisce. Abbiamo bisogno di sviluppare, con politiche adeguate, l’accoglienza e l’integrazione, in particolare nei confronti dei migranti e di coloro che vivono come scartati nelle nostre società.
Quanto detto, ossia tracciare e percorrere sentieri di pace non ci porta lontani da quanto celebriamo in questa santa Messa. Cercando di tracciare insieme sentieri di pace contribuiremo a edificare il Regno di Dio, che è regno di amore, di giustizia e di pace. L’Eucaristia ne è sorgente viva e creatrice. In questo primo giorno dell’anno non dimentichiamoci di pregare per papa Benedetto XVI, grande teologo e pastore, mite e fermo nell’annunciare l’amore pieno di verità, che è Cristo. Il 3 gennaio in cattedrale, a Faenza, alle ore 20,30, il vescovo presiederà l’Eucaristia in suffragio del pontefice.
+ Mario Toso