[feb 23] Omelia – San Pier Damiani (Ravenna)

vescovo san pier damiani
23-02-2025

Ravenna, parrocchia di san Pier Damiani, 23 febbraio 2025.

Cari fratelli e sorelle, caro signor parroco don Mario Cassanelli, la festa del patrono, san Pier Damiani, è fondamentale per questa comunità.  Essa indica un punto di riferimento imprescindibile e una direzione nel proprio compito missionario nell’attuale contesto.

Nato qui a Ravenna, fine del 1006 o all’inizio del 1007, da una famiglia modesta, compì i suoi principali studi a Faenza e a Parma. Fu dapprima insegnante, poi presbitero e monaco. Fu consacrato vescovo e fatto cardinale. Dopo la sua morte, qualche secolo dopo, allorché si conobbero meglio le sue opere e si diffuse il suo influsso in Europa, fu dichiarato dottore della Chiesa nel 1823. Entrando come monaco a Fonte Avellana ebbe vari incarichi dal suo priore. Fu inviato dapprima nell’abbazia di Pomposa di fondazione benedettina e, poi, nel monastero di san Vincenzo al Furlo (presso Urbino). Tornato a Fonte Avellana ne divenne priore. Riorganizzò e fondò diversi eremi e monasteri all’interno della famiglia monastica di Fonte Avellana. Da fondatore e riformatore della vita monastica divenne anche uno dei principali attuatori della riforma della Chiesa dei suoi tempi. Fu stretto collaboratore di Leone IX. Si batté per il celibato e la castità del clero e dei religiosi. Combatté contro la simonia o compra e vendita delle cariche religiose.

Fatto vescovo di Ostia e cardinale fu costretto a trasferirsi a Roma ove doveva curare gli incarichi curiali. Sappiamo che fece di tutto per liberarsi da tali incombenze. Finalmente Alessandro II lo ascoltò. Ma anche dopo continuò ad obbedire al pontefice e ai successori che continuavano ad affidargli importanti missioni. Fu, ad esempio, in Francia per liberare la prestigiosa abbazia di Cluny dall’invadenza dei laici, che volevano la preminenza sui monaci. In Germania convinse l’imperatore Enrico IV a non divorziare. A questo proposito si può dire che il monaco-vescovo ravennate mostrò un attaccamento eroico a Gesù Cristo, ai papi e alla Chiesa tale da meritare la santità anche solo per i continui viaggi – cosa non facile ai suoi tempi – per portare pace, libertà, moralizzazione nella Chiesa, dignità ai monaci e al clero.

Nella solennità di san Pier Damiani ricordiamo, dunque, con fierezza il suo forte amore per Gesù Cristo e per la Chiesa. Ma chiediamoci subito: come possiamo noi contrastare, in un contesto di cultura fluida e di scristianizzazione progressiva, la crescente indifferenza da parte di non pochi, non escluse le nuove generazioni, nei confronti di Gesù Cristo e della sua Chiesa? Come vincere l’aridità dei nostri cuori e riaccendere l’amore per Cristo e la sua Chiesa, al punto di sacrificarci per essi? Occorre essere umili e riconoscere che senza Dio non possiamo fare nulla (cf Gv 15,5). Sono importanti la preghiera e la partecipazione assidua all’Eucaristia. La croce e la Pasqua di Cristo sono fondamento di un amore appassionato e di una vita nuova. Pier Damiani ebbe a scrivere: «Tu, Signore, come grappolo d’uva […] sei stato pigiato con il torchio della croce, per colmare il calice dell’eterna salvezza per noi, e irrigare con l’inondazione dello Spirito Santo i nostri cuori aridi»[1]. San Pier Damiani, sia da monaco sia da vescovo, pregò, scrisse, ammonì cardinali, vescovi, sacerdoti e religiosi perché fossero degni del loro ministero. Come potevano coloro che erano chiamati a celebrare i sacramenti e a partecipare ad essi non amare Gesù Cristo e la sua Chiesa e condurre una vita indegna, macchiata di colpe e di vizi gravi? Non ebbe, pertanto, paura di affrontare con coraggio vescovi e religiosi potenti, soffrendo, subendo talora la loro arroganza e il disprezzo. Mai esitò ad aggrapparsi alla Croce, all’albero della vita, al Risorto, al suo Spirito di consolazione. Egli era convinto che solo lo Spirito di amore del Figlio, poteva portare giovinezza di vita nella Chiesa e nei monasteri. La Chiesa non può essere costruita quale corpo di Cristo senza di Lui, senza la sua santità. Essa non è un regno di questo mondo, una società semplicemente umana. Viene compattata come un popolo santo, che vive in comunione con Cristo e con la sua missione. Lo accoglie, lo celebra e lo annuncia, riconoscendolo come il proprio assoluto, il proprio fine ultimo. Nulla, assolutamente nulla, va anteposto all’amore di Cristo, ripeteva san Pier Damiani, discepolo di san Benedetto. La Chiesa è in questo mondo per condurre l’umanità verso la città di Dio, la nuova Gerusalemme. La Chiesa, i credenti, vivono su questa terra, ma hanno la loro cittadinanza in cielo (cf Lettera a Diogneto).

 

Anelano alla dimora del cielo, preparata da Cristo risorto. Cosa significa questo? Che la Chiesa e i credenti, viventi in Cristo, viventi Cristo, si disinteressano della loro Chiesa e di questo mondo, delle sue tragedie, delle sue guerre, delle ingiustizie, delle povertà, della morte? Niente affatto! Chiesa e credenti, mentre vivono su questa terra, sono chiamati a percorrere, assieme al Risorto, sempre veniente, le strade della vita.  Percorrendole, camminano, come abbiamo sentito da san Paolo, assieme a Cristo, all’ultimo Adamo, «divenuto spirito datore di vita» (1 Cor 15, 45-49). Dapprima simili al primo uomo terreno, Adamo, diveniamo, poi, simili all’ultimo Adamo, l’Uomo celeste, datore di vita. Egli effonde su tutti il suo Spirito d’amore e fa nuove tutte le cose, quelle della terra e quelle del cielo.  Vivendo in questo mondo, uniti all’Uomo-Dio, ossia con Cristo e il suo Spirito, siamo resi capaci di vivere l’umanità e la storia, plasmandole in modo da renderle sempre più simili all’essere risorto dell’uomo celeste.

In breve, la Chiesa e i credenti, mentre vivono in questo mondo assieme al Risorto, non sono indifferenti nei confronti di un’umanità ferita, depredata della sua dignità, discriminata. Al contrario, sospinti dall’amore samaritano di Cristo, se ne prendono cura, la rendono un’umanità guarita, accresciuta nella sua dignità umana e divina, ossia più simile all’essere umano e celeste del Risorto. L’umanità resa più sé stessa, resa un umano in pienezza, costituisce, come dice la Gaudium et spes, la materia per il Regno dei cieli (cf n. 38). Ecco, dunque, cosa fanno la Chiesa e i credenti: pur camminando verso la città di Dio, non sono indifferenti e rassegnati nei confronti dei mali della stessa Chiesa e del mondo. Essi annunciando, celebrando, testimoniando Cristo, l’Uomo Nuovo, l’Uomo celeste, rendono la Chiesa e la città terrena più simili alla città del cielo, alla città di Dio, senza togliere a loro autonomia, libertà, bellezza. I cristiani sono il lievito che fa fermentare l’umanità, il sale che le dà sapore. L’umanità senza Dio perde sé stessa. Diventa più caotica, confusa, babelica. Senza la crocifissione di Cristo e l’effusione del suo Spirito perde comunione, coesione, fraternità, armonia. Come ebbe a scrivere san Pier Damiani senza la croce di Cristo rimaniamo da soli a lottare contro il male e non portiamo frutti.

                                         + Mario Toso

[1] Damiani, Orationes, 133.