FESTA DI SAN PIER DAMIANI
21 FEBBRAIO 2025
CATTEDRALE DI FAENZA
Fratelli e sorelle,
radunati per celebrare la festa di San Pier Damiani, nostro patrono, in questo Anno giubilare, siamo invitati a rinnovare la speranza nel Signore. I santi, come ho scritto nel vademecum per il Giubileo “Pellegrini di speranza”, «sono come astri che brillano, punti di riferimento importanti per la spiritualità e per l’impegno pastorale» (Pellegrini di speranza, Edizioni delle Grazie, Faenza 2024, p.4).
San Pier Damiani è un grande testimone di santità, un punto di riferimento imprescindibile per la nostra Diocesi, un esempio di slancio missionario, di fedeltà alla Chiesa, di profondità spirituale.
Egli è stato un grande annunciatore del Vangelo: non ha avuto paura di manifestare nei suoi scritti, nel suo servizio alla Chiesa e al papa, la radicalità a cui – come discepoli del Signore – siamo chiamati. Siamo chiamati, infatti, ad annunciare la Parola, insistendo al momento opportuno e non opportuno, ammonendo e rimproverando quando necessario, esortando con ogni magnanimità e insegnamento (cfr. 2 Tm 4,2). La Parola, che è il Signore Gesù, non è qualcosa di facoltativo per la nostra vita e per la vita di chi abbiamo vicino.
«Non è la stessa cosa aver conosciuto Gesù o non conoscerlo, non è la stessa cosa camminare con Lui o camminare a tentoni, non è la stessa cosa poterlo ascoltare o ignorare la sua Parola, non è la stessa cosa poterlo contemplare, adorare, riposare in Lui, o non poterlo fare» (Evangelii gaudium, 266).
Solo con questa fede San Pier Damiani è potuto diventare un infaticabile predicatore, un vero maestro nella fede, richiamando con coraggio vescovi, presbiteri, monaci, laici, alla bellezza di una vita fedele alla propria vocazione, nella verità.
San Pier Damiani, infatti, aveva ben compreso che l’unico fondamento di un’esistenza nuova è la Pasqua di Cristo, la sua croce e la sua risurrezione, la sua continua venuta in noi e nella storia. Tramite la sua morte e risurrezione, la sua continua venuta con il suo Spirito, diventa vita per il mondo, ci chiama a rinnovare la nostra esistenza, le nostre relazioni, le nostre scelte. Scrive san Pier Damiani: «Tu, Signore, come grappolo d’uva […] sei stato pigiato con il torchio della croce, per colmare il calice dell’eterna salvezza per noi, e irrigare con l’inondazione dello Spirito Santo i nostri cuori aridi»[1].
L’immagine dell’uva ci riporta al Vangelo: noi siamo i tralci, il Signore Gesù è la vite. Se non rimaniamo saldamente attaccati a Lui non possiamo ricevere il nutrimento necessario alla nostra vita, non possiamo produrre frutti. «Senza di me non potete far nulla» (Gv 15,5)! Questa frase del Vangelo di Giovanni deve essere incisa nel nostro cuore, nella nostra testa, tutte le volte che pretendiamo di bastare a noi stessi, di tenere la vita nelle nostre sole mani.
Questo è il senso dell’Eucaristia che celebriamo, di ogni Liturgia che anima e vivifica la Chiesa: tutto è opus Dei, opera, azione di Dio: «nessun’altra azione della Chiesa ne uguaglia l’efficacia allo stesso titolo e allo stesso grado» (cf Sacrosantum Concilium 7). Nessun’altra azione! La celebrazione eucaristica è fonte e culmine (SC 10) della Chiesa e di ogni sua attività. La stessa carità per i poveri e gli ultimi, l’opera missionaria, lo stesso annuncio del Vangelo, trovano nella Liturgia il loro senso, la loro origine e il loro fine. Tutto nella Chiesa dipende dal Risorto, dalla sua salvezza che ci precede e ci supera: senza la Liturgia saremmo senza la nostra “vite”, saremmo innestati solo in noi stessi. Per questo il Signore nella sua «ora», quando ama «i suoi fino alla fine», chiede a loro di continuare a celebrare l’Eucaristia: «fate questo in memoria di me».
Ecco il modo in cui noi rimaniamo nel Signore e, soprattutto, Lui rimane in noi. Siamo confortati sapendo che lui ha tanto desiderato, e continua a volermangiare la Pasqua con noi (cfr. Lc 22,15): non smette mai di chiamarci alla mensa sulla quale il suo Corpo e il suo Sangue diventano la vita del mondo. Mentre vediamo quel corpo spezzato e quel sangue versato, riconosciamo Lui, il crocifisso e Risorto, il Vivente, colui che mai ci abbandona. Ci accompagna nel percorrere la strada della vita, sino alla fine del mondo.
«Il mistero è nascosto nel ministero»[2], scrive San Pier Damiani. La Liturgia è un’azione esteriore che, mentre coinvolge i nostri sensi, il nostro servizio, il canto, i fiori, le vesti, nello stesso tempo nasconde e rende presente la Pasqua di Cristo, l’irruzione del Risorto nel nostro tempo e spazio, nella nostra vita, sulla nostra strada.
Ringrazio quanti con generosità si sono spesi per formarci alla Liturgia tramite gli incontri e i laboratori proposti dal Settore Liturgia. Ringrazio soprattutto perché curando la celebrazione di questa Santa Messa state testimoniando come la nostra spiritualità se non è incarnata, se non è sacramentale, non è un’autentica spiritualità cristiana. Auspico che sempre più nelle nostre comunità, anche in risposta alle sollecitazioni del cammino sinodale, si percepisca la necessità di formarci alla Liturgia, magari costituendo piccoli gruppi liturgici, in aiuto ai parroci, che potranno avere il loro riferimento nel Settore diocesano Liturgia.
Non dobbiamo, però, dimenticare quello che papa Francesco chiama la formazione dalla Liturgia, cioè il lasciarci formare dai riti e dalle preghiere.
Dobbiamo prendere maggiormente sul serio quanto ci chiede papa Francesco: «La pastorale d’insieme, organica, integrata, più che essere il risultato di elaborati programmi è la conseguenza del porre al centro della vita della comunità la celebrazione eucaristica domenicale, fondamento della comunione. […] Una celebrazione che non evangelizza non è autentica, come non lo è un annuncio che non porta all’incontro con il Risorto nella celebrazione: entrambi, poi, senza la testimonianza della carità, sono come bronzo che rimbomba o come cimbalo che strepita (cfr. 1Cor 13,1)» (Desiderio desideravi, 37).
Il cammino sinodale ha fatto capire l’importanza di non accontentarsi di quanto già si fa nella Liturgia, ma di investire maggiormente nella qualità e nella significatività delle nostre celebrazioni.
In poche parole, abbiamo bisogno di incentivare la cura della celebrazione, in tutti i suoi aspetti: la preparazione dell’omelia da parte del presbitero, la preparazione dei canti da parte del coro, la preparazione delle vesti, dei fiori, l’accoglienza in chiesa, la pulizia, l’ordine, le relazioni fra di noi, la fraternità… perché tutto risplenda di «nobile semplicità» (SC 34; cf DD 23).
Che San Pier Damiani interceda per noi, per il cammino della nostra Chiesa diocesana, perché sappiamo sempre ritrovare forza dalla Liturgia, dalla presenza reale del Risorto in mezzo a noi. Così sia.
+ Mario Toso
[1] Damiani, Orationes, 133.
[2] Damiani, Epistula XXVIII, 40: «misterium latet in ministerio, dum per exterioris cultus exercitium archanum allegoricae theoriae comprehenditur sacramentum».