Faenza, Teatro della parrocchia di sant’Antonino, 16 dicembre 2024.
Ho accettato volentieri l’invito in occasione di questa serata che intende celebrare anche nella nostra Diocesi don Oreste Benzi con la proiezione di un film che dovrebbero vedere tutti i nostri giovani. È senz’altro importante approfondire la figura e il carisma di un sacerdote il cui raggio d’azione non è rimasto entro i confini di Rimini. In occasione del centenario della nascita di don Oreste, sono tante le iniziative programmate per ricordarlo e per comprendere quanto egli ha fatto. E questo non solo in Italia, ma nei 28 Paesi in cui opera la Comunità Papa Giovanni XXIII, da lui fondata nel 1968 e che oggi anima case-famiglia, mense per i poveri, centri di accoglienza, comunità terapeutiche a sostegno di 41.000 persone.
Qui desidero ricordare don Oreste Benzi per la sua vita spesa accanto agli ultimi e per gli ultimi, con gli ultimi. Detto altrimenti, non dobbiamo dimenticare che la sua azione sociale non era di tipo semplicemente assistenzialistico. Era protesa ad andare incontro alle persone bisognose per toglierle dalla strada, dai margini della società per offrire a loro un contesto famigliare che consentisse il loro recupero, il loro riscatto sociale, mettendosi a servizio delle proprie famiglie, degli altri.
La vita di don Oreste era la vita di un innamorato di Dio, che si è consumata a favore della giustizia benevolente ed oggi è un punto di riferimento eloquente per coloro che intendono annunciare e testimoniare che può esistere un modo nuovo di vivere, di realizzare una società più fraterna, fondata sul dono, ossia una società del gratuito, che va col passo degli ultimi e in cui nessuno è lasciato indietro.
Dell’opera di don Oreste si possono considerare più aspetti. Come non va dimenticata la sua spiritualità, non possiamo trascurare la sua figura di grande educatore sociale delle nuove generazioni. Delle grandi personalità, alle volte, si coglie questo o quell’aspetto. E se ne dimenticano altri. Come è avvenuto anche per don Minzoni, altro grande sacerdote della Romagna. Sinora si è sottolineato in particolare che è stato ammazzato dai fascisti, cosa vera, ma con questo si è dimenticata la globalità della sua personalità. In questo periodo storico, grazie anche all’apporto di studi accurati, presentati ultimamente a Ravenna, si sta mettendo in luce l’apporto di don Minzoni alla formazione del mondo cattolico dal punto di vista sociale e politico, in rete con altri sacerdoti – basti pensare a don Luigi Sturzo –, con associazioni cattoliche, con il laicato più attivo e responsabile.
Prima di essere il sacerdote dalla tonaca lisa che percorreva l’Italia ad incontrare persone, a sensibilizzare comunità e città nell’avvicinare persone in difficoltà per varie ragioni, a liberare coloro che erano schiave della prostituzione, don Benzi era direttore spirituale del Seminario ed assistente dell’Azione Cattolica nella Diocesi di Rimini. Come assistente era una guida spirituale ricercata dai giovani più sensibili, anche se era esigente. Tra i giovani che formò ci fu anche il prof. Stefano Zamagni, che è ora il Presidente del Comitato del Centenario che stiamo celebrando, e che è stato anche Presidente della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali.
«Io frequentavo – racconta in una intervista il noto economista – l’Istituto tecnico per ragionieri. La mia famiglia era di modeste condizioni economiche e si aspettavano che io andassi a lavorare dopo il diploma. Don Oreste però decise di darmi lezioni di lingua e cultura greca e latina. È da lui che ho appreso ad indagare l’etimo, il significato delle parole. Poi mi insegnò a leggere i giornali per capire l’attualità». Ai giovani che studiavano e si preparavano all’Università dava da leggere opere importanti di filosofi (Jacques Maritain, E. Mounier), teologi (ad es. von Balthasar), sociologi, economisti, per integrare gli studi di ragioneria o altro. Faceva fare recensioni di libri: un metodo di preparazione culturale importante, perché si doveva prima enunciare la tesi dell’autore e, poi, dare una propria valutazione sul testo. Don Oreste svolgeva anche il compito di chi orientava i giovani a scegliere studi ed università. Il suo approccio educativo non era al ribasso. Responsabilizzava i giovani affidando a loro dei compiti ben precisi. «Non diceva ai ragazzi ‘poverino’ – aggiunge il prof. Zamagni -, ma li invitava a scontrarsi con le difficoltà, a formarsi con le difficoltà. Don Benzi sapeva che il carattere è più importante della formazione e soprattutto sapeva bene che il carattere si forma solo in una certa fase della vita, mentre la conoscenza si può formare anche dopo. Don Benzi educava al coraggio e all’intraprendenza».
«A 19 anni, appena diplomato, – ha raccontato ancora il prof. Stefano Zamagni a chi lo intervistava – mi nominò direttore dell’albergo Madonna delle vette ad Alba di Canazei e lo feci per tre estati. Dovevo far quadrare i conti, provvedere agli acquisti, tenere i rapporti col personale, organizzare i turni. Era necessario essere maggiorenne e saper guidare l’auto. La cosa più bella fu come lui riuscì a trovare le risorse per la costruzione andando in America negli anni ’50».
Don Benzi, contrariamente a quanto si potrebbe pensare era un sacerdote di vasta cultura. Egli era convinto che la prima forma di carità è quella intellettuale. Don Benzi sapeva che bisogna aiutare le persone ad uscire dall’ignoranza. Soprattutto con i poveri si deve spiegare il significato delle cose e aiutarli a capire il mondo. È una forma di rispetto e di amore nei loro confronti.
Il messaggio che emerge dall’opera di don Oreste è che l’amore fondato sulla conoscenza è più efficace e valido di quello basato solo sulle emozioni. L’azione caritativa non può prescindere da un pensiero solido e chiaro. Don Oreste aveva una biblioteca che nemmeno un professore universitario possedeva. Egli era ben informato sui problemi sociali. Era convinto che chi desidera compiere il bene deve farlo bene. Non basta fare il bene. Bisogna farlo bene.
Ecco alcuni tratti della ricca personalità di don Oreste, che non vanno dimenticati volendo essere operatori sociali e educatori di una fede e di una spiritualità che si incarnano nell’oggi ed intendono dispiegare energie d’amore corrispondentemente alla fraternità, alla dignità delle persone. La sua coraggiosa azione, spinta quasi al limite massimo della ragionevolezza umana, rimane per tutti noi un fulgido esempio di come realizzare, qui in terra, la grandezza dell’amore divino di Gesù Cristo.
Auguro a tutti i presenti, a coloro che lavorano nelle istituzioni dell’Associazione san Giovanni XXIII, un Buon Natale e un Anno Giubilare pieno di grazie da parte del Signore.
+ Mario Toso