Faenza 10 dicembre 2024.
A Loreto è custodita la santa casa di Maria di Nazaret. Dalla “finestrella dell’Angelo”, posta in alto e quasi al centro della parete più corta, secondo la tradizione, il messaggero celeste si rivolse alla Vergine. Gli studi effettuati, graffiti, materiali tipici e tecniche edili inusitate in Italia confermano l’origine antica e palestinese, né vi sono segni di riparazioni o ripetute ricostruzioni. «Qui il Verbo si è fatto carne»: per i credenti, dentro queste sacre mura, in un punto preciso del tempo e dello spazio, è avvenuta l’incarnazione, l’unione tra il divino e l’umano. «Maria è la donna in cui è avvenuta l’Incarnazione, ma anche la Casa in cui Ella visse costituisce un richiamo quasi plastico a tale concretezza» (san Giovanni Paolo II).
Care sorelle, onorando la Beata Vergine Maria di Loreto, vi fate annunciatrici del mistero dell’Incarnazione. Tutta la vostra opera missionaria e educatrice intende radicarsi ed imperniarsi nel Verbo di Dio che si fa carne. Voi vivete e testimoniate il prodigio della venuta di Dio in mezzo a noi. Egli, come contempleremo meglio nel prossimo Natale, si fa uomo e viene ad abitare in noi, in ciascuno/a, nelle nostre famiglie e nelle nostre comunità religiose. Quale indicibile e profonda realtà!
Non siamo più soli, nella nostra vita, nelle nostre aspirazioni, nelle nostre solitudini, nelle nostre attività di annuncio e di formazione. Ecco, il nostro Dio non è lontano. È con noi, con la sua potenza d’amore. Il suo premio e la sua ricompensa ci hanno raggiunti. Come abbiamo udito dal profeta Isaia: «Come un pastore egli fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna, porta gli agnellini sul petto e conduce dolcemente le pecore madri» (Is 40, 11). Quale tenerezza!
Dio che abita nei nostri cuori è la nostra consolazione. La sua presenza e la sua parola durano per sempre. Egli vuole che nessuno, nessuna di noi, si perda. È venuto per compiere questo. Per essere come il pastore che, avendo cento pecore, è disposto a lasciare le novantanove sui monti, per andare in cerca di quella smarrita. Questa è la volontà del Padre, che è nei cieli. Nessuno si deve perdere. Il Figlio è venuto, viene e verrà nelle generazioni future per compiere questo.
Il prossimo Natale è per noi l’occasione di rivivere nel nostro oggi il dono di Gesù Cristo all’umanità, come fonte di salvezza e di una nuova creazione, per tutte le persone, per i popoli della terra e per il cosmo intero.
Proprio nel contesto del prossimo Natale, alle porte dell’anno 2025, papa Francesco ha voluto porre l’apertura di un Anno Santo con la bolla Spes non confundit, invitando tutti a essere pellegrini di speranza. La tradizione dell’Anno Santo, come anno di speciale indulgenza e riconciliazione, propria dell’Antico Testamento, venne ripresa dalla Chiesa cattolica dal 1300. Ogni venticinque anni viene riproposto un anno giubilare che contiene un messaggio di conversione, di giubilo, di gioia, di sollievo, di rinnovamento delle relazioni, delle istituzioni sociali, economiche, politiche e culturali.
Che cosa, più profondamente, significa un tale evento per noi? Si tratta di rivivere, in una maniera speciale, nei diversi anni, la novità di vita che l’Incarnazione di Gesù Cristo ci ha portato. Il Giubileo incide sul tempo che fluisce per far fiorire nell’umanità la bellezza, lo splendore della vita divina che è donata da Dio nel suo Figlio. Il Verbo incarnato semina nella nostra storia energie nuove, potenzialità inesauribili che sono chiamate, tramite la nostra corresponsabilità missionaria, a far fiorire un nuovo umanesimo, un umanesimo trascendente, avente la sua causa esemplare nell’assoluto umano di Gesù Cristo.
Il Giubileo contiene un messaggio, un appello, una provocazione, un’indicazione di cammino. La Chiesa, che ha particolarmente a cuore, con l’evangelizzazione e con l’umanizzazione, l’opera di un’educazione integrale, non può sottrarsi al compito di interpretare e di affrontare l’odierna crisi antropologica. Dalla contemplazione dell’incarnazione di Gesù Cristo, che costituisce un punto di vista più alto, deriva a noi la possibilità di accedere ad una sintesi sapienziale di saperi che consente di armonizzare i molteplici aspetti vitali che da soli si presentano in termini disparati o conflittuali.
Il Giubileo, che si sta per aprire, potrà essere un’occasione per prestare ascolto al grido di sofferenza che si leva dai popoli e dalla terra. Pensiamo anche solo alle ferite provocate dalle alluvioni nelle nostre città e nel nostro territorio. Pensiamo alle guerre fratricide in atto. Ma non vi sono solo ferite relative all’ambiente, alla pace fra i popoli, ad uno sviluppo sostenibile. Vi sono ferite che concernono più propriamente l’animo umano, lo spirito dei ragazzi e degli adulti. Chi lavora come voi nell’educazione sa che l’impegno di accoglienza, di formazione, di sostegno delle nuove generazioni diventa sempre più faticoso, talora frustrante, per un contesto sociale ostile, violento, pieno di pretese e allergico alla corresponsabilità.
Nell’opera educativa non è raro lo scoraggiamento nel constatare che la buona volontà non bastano a salvare i bambini, i ragazzi dal disagio, dalla stessa depressione, dalla chiusura su sé stessi, dall’esperienza drammatica e usurante di famiglie frantumate che limano la voglia di vivere.
Capita pertanto, come ha recentemente sottolineato l’arcivescovo di Milano, Mario Delpini, che gli insegnanti, gli educatori, gli assistenti sociali e anche i preti, i consacrati e le consacrate, insomma tutti coloro che dedicano la loro professionalità ad affrontare responsabilità educative e assistenziali, siano stanchi, logorati da un carico di lavoro che si confronta con inedite resistenze e che affatica per adempimenti burocratici sproporzionati.
L’anno giubilare può essere il tempo propizio per diventare pellegrini di speranza, per farci carico dell’educazione alla pace anche nelle scuole, nelle attività culturali, nella pratica sportiva, in ogni ambito della vita sociale.
L’educazione alla pace chiede un impegno costante per estirpare le radici dell’odio e della violenza sparse dappertutto e che talora esplodono tragicamente tra le pareti domestiche, nelle vie della città.
La stessa educazione alla pace ha bisogno di una spiritualità che sa pregare, che riconosce in Dio l’unico Padre e dunque coltiva il seme di fraternità che è seminato in ogni uomo e in ogni donna, sotto ogni cielo.
L’educazione alla pace è possibile per un’alleanza educativa che sappia coinvolgere famiglie, espressioni aggregative della società civile, della comunità cristiana, delle confessioni cristiane presenti nel territorio, dei fedeli di tutte le religioni.
La Beata Vergine Maria di Loreto ci aiuti.
+ Mario Toso