Marradi, 1° dicembre 2022.
Questo pomeriggio sono lieto di partecipare al Convegno organizzato a 40 anni dalla nascita della CO.M.E.S. Coop. Sociale, avente per titolo: Chiamati a camminare insieme. Stare nella storia con gli occhi della partecipazione e della corresponsabilità. Saluto, anzitutto, il Sig. Sindaco Tommaso Triberti; in particolare, il Reverendissimo Don Nilo Nannini, fondatore della Comunità Sasso-Montegianni e della Co.M.E.S., e tutti voi che siete convenuti qui, assieme a coloro che hanno responsabilità nella cooperazione. Con il mio breve intervento non intendo parlare della cooperazione sociale a voi che siete degli esperti nel settore più del sottoscritto. Mi limito semplicemente a presentare alcuni orientamenti del magistero di papa Francesco sul tema, presupponendo le ragioni della nascita, dello sviluppo remoto e più recente della cooperazione sociale.[1]
La tradizione della cooperazione, anche nel mondo cattolico, è più che centenaria. La Chiesa non ha sentito solo l’urgenza di annunciare la Verità, ma anche la necessità di uomini e di donne capaci di trasformare in beni concreti l’insegnamento del Vangelo. Il vostro quarantesimo vuole testimoniare la bontà della tradizione cooperativista e l’attualità dell’ispirazione di una realtà non solo all’insegna dell’essere «prenditori» di bene, ma dell’essere «imprenditori» di carità, ossia capaci di cura responsabile e generosa delle persone con l’amore di Cristo. La cooperazione sociale, come ben sapete, si pone nella linea non dell’impresa capitalistica che mira principalmente al profitto, ma sulla scia di una realtà che ha come scopo primario l’equilibrata e proporzionata soddisfazione dei bisogni sociali. Certamente anche la cooperativa deve mirare a produrre un risultato positivo, che consente la patrimonializzazione dell’impresa cooperativa, ad essere efficace ed efficiente nella sua attività economica, ma tutto questo senza perdere di vista la reciproca solidarietà.
Il modello di cooperativa sociale è uno dei settori sui quali oggi si sta concentrando la cooperazione, perché esso riesce a coniugare, da una parte, la logica dell’impresa e, dall’altra, quella della solidarietà: solidarietà interna verso i propri soci e solidarietà esterna verso le persone destinatarie dei servizi e delle prestazioni. Questo modo di vivere il modello cooperativo esercita una significativa influenza sulle imprese troppo legate alla logica del profitto, perché le spinge a scoprire e a valutare l’impatto di una responsabilità sociale. Esse vengono invitate a considerare non solo il bilancio economico, ma anche quello sociale, rendendosi conto che bisogna concorrere a rispondere tanto ai bisogni di quanti sono coinvolti nell’impresa quanto a quelli del territorio, dell’ambiente e della collettività. È così che il lavoro cooperativo esplica la sua funzione profetica e di testimonianza sociale alla luce del Vangelo.
La cooperazione sociale, poiché investe di più sulle relazioni che sui beni materiali va controcorrente rispetto ad una mentalità oggi prevalente. Il lavoro cooperativo che crede che la vera ricchezza sono le relazioni esprime, in certo modo, l’ostinazione a restare umani. Camminando e lavorando insieme fa sperimentare il grande miracolo della speranza.
Don Nilo e i suoi collaboratori fondando la CO.M.E.S. intendevano soprattutto realizzare una cooperazione che declinasse la prossimità che Gesù ha insegnato nel Vangelo. Farsi prossimo significa impedire che l’altro rimanga ostaggio della sua fragilità, del proprio dramma e della sua solitudine. Significa non rimanere indifferenti nei confronti dei propri fratelli e sorelle. Vuol dire farsi vicini come il Buon samaritano. Fare una cooperativa sociale, per don Nilo, voleva dire, dunque, farsi prossimo non tanto con le parole, ma soprattutto con impegno, amore, competenza, mettendo in gioco il grande valore aggiunto che è la presenza personale. Solo quando ci si mette in gioco in prima persona si può fare la differenza. La cooperazione voluta da don Nilo doveva essa stessa incarnare nelle sue relazioni la prossimità, un nuovo stile di vita come un «Io vivo con gli altri, in cooperazione». Intendeva vivere e far vivere ai suoi collaboratori il miracolo che hanno compiuto gli amici del paralitico e che è narrato nel Vangelo di Marco. Poiché, a causa della folla che riempiva la casa, non riuscivano a portare il loro amico paralitico davanti a Gesù che predicava, se lo caricarono sulle spalle. Si mettono insieme e, con una strategia vincente e creativa, trovano il modo non solo di prendersi in carico l’amico malato, ma anche di aiutarlo a incontrare Colui che può cambiare la sua vita, perdonandolo e guarendolo. Non potendolo fare attraverso la via più semplice, hanno il coraggio di arrampicarsi sul tetto e scoperchiarlo. Sono loro che aprono il varco attraverso il quale il paralitico potrà avvicinarsi a Gesù e uscire cambiato da quell’incontro. L’Evangelista nota che Gesù si rivolse a quell’uomo «vedendo la loro fede», cioè la fede di tutto il gruppo: del paralitico e degli amici.
In questo senso possiamo dire che la cooperazione – così papa Francesco commenta l’episodio evangelico ai Rappresentanti della Confederazione Cooperative Italiane il 16 marzo 2019 – «è un modo per “scoperchiare il tetto” di un’economia che rischia di produrre beni ma a costo dell’ingiustizia sociale. È sconfiggere l’inerzia dell’indifferenza e dell’individualismo facendo qualcosa di alternativo e non soltanto lamentandosi. Chi fonda una cooperativa crede in un modo diverso di produrre, un modo diverso di lavorare, un modo diverso di stare nella società. Chi fonda una cooperativa ha un po’ della creatività e del coraggio di questi quattro amici del paralitico. Il “miracolo” della cooperazione è una strategia di squadra che apre un varco nel muro della folla indifferente che esclude chi è più debole.
Una società che diventa muro, fatta dalla massa di tanti individui che non pensano e non agiscono come persone, non è in grado di apprezzare il valore fondamentale delle relazioni. Non si può agire veramente come persone quando si è malati di indifferenza ed egoismo. Allora, in realtà, il vero “paralitico” non è quell’uomo che portarono arrampicandosi per metterlo davanti a Gesù; il vero paralitico è la folla, che impedisce di arrivare a una soluzione. Una folla fatta di individui che guardano solo i propri bisogni senza accorgersi degli altri, e così non scoprono mai il gusto pieno della vita».
Mentre assistevo all’Udienza del 2019 mi ha colpito una frase di papa Francesco, il quale ricordando suo padre che parlava della cooperazione ha affermato: «Fin da allora mi sono convinto che la cooperazione cristiana è la strada giusta. Magari economicamente può sembrare più lenta, ma è la più efficace e sicura, quella che arriva più in avanti». Mi ha anche colpito quanto il papa disse, alla fine del suo discorso, sul “genio femminile” delle donne della cooperazione in un mondo globalizzato : «A questo riguardo – egli rimarcò -, sono soprattutto le donne che, nel mondo globale, portano il peso della povertà materiale, dell’esclusione sociale e dell’emarginazione culturale. Il tema della donna dovrebbe tornare a essere tra le priorità dei progetti futuri in ambito cooperativo. Non è un discorso ideologico. Si tratta invece di assumere il pensiero della donna come punto di vista privilegiato per imparare a rendere la cooperazione non solo strategica ma anche umana. La donna vede meglio che cos’è l’amore per il volto di ognuno. La donna sa meglio concretizzare ciò che noi uomini a volte trattiamo come “massimi sistemi”».
Al termine di questo mio intervento mi sembra utile sottolineare che i soggetti della cooperazione, in un contesto di grandi sfide ecologiche, pandemiche, di fenomeni bellici globali, che destabilizzano il mondo dei rapporti internazionali, l’economia, la stessa disponibilità dei beni primari, sono chiamati a collaborare sempre di più tra di loro per meglio universalizzare il lavoro, per realizzare il bene comune, la pace. Occorre che mettano insieme con determinazione i mezzi buoni per realizzare opere buone. Occorre che si collabori di più tra cooperative bancarie e imprese, che si organizzino le risorse per far vivere con dignità e serenità le famiglie. Infine, che si collabori di più nel contrastare e nel combattere le false cooperative. Le cooperative non possono rimanere chiuse in casa, ma nemmeno uscire di casa come se non fossero cooperative. L’urgenza che il mondo cooperativo, a fronte dei grandi obiettivi europei, planetari, si raccordi meglio e unisca le forze per maggiormente incidere sul piano nazionale, internazionale, mondiale, non può, però, far dimenticare che la fede e l’ispirazione cristiana non sono un inciampo alla collaborazione con gli uomini di buona volontà, bensì un incentivo ad essa. Sono realtà che favoriscono la convergenza verso il vero, il bene di tutti. I valori cristiani non sono soltanto per noi, sono per condividerli! È conservando – non perdendole – la propria identità e la propria fede, che si diventa più capaci di dialogo e di collaborazione efficace sulle cose buone.
A questo proposito è bene riportare quanto papa Francesco disse già nel 2015 sempre ai rappresentanti della Confederazione cooperative italiane il 28 febbraio 2015: «So che da alcuni anni voi state collaborando con altre associazioni cooperativistiche – anche se non legate alla nostra storia e alle nostre tradizioni – per creare un’Alleanza delle cooperative e dei cooperatori italiani. Per ora è un’Alleanza in divenire, ma voi confidate di giungere ad una Associazione unica, ad un’Alleanza sempre più vasta fra cooperatori e cooperative. Il movimento cooperativo italiano ha una grande tradizione, rispettata nel mondo cooperativistico internazionale. La missione cooperativa in Italia è stata molto legata fin dalle origini alle identità, ai valori e alle forze sociali presenti nel paese. Questa identità, per favore, rispettatela! Tuttavia, spesso le scelte che distinguevano e dividevano sono state a lungo più forti delle scelte che, invece, accomunavano e univano gli sforzi di tutti. Ora voi pensate di poter mettere al primo posto ciò che invece vi unisce. E proprio intorno a quello che vi unisce, che è la parte più autentica, più profonda e più vitale delle cooperative italiane, volete costruire la vostra nuova forma associativa.
Fate bene a progettare così, e così fate un passo avanti! Certo, vi sono cooperative cattoliche e cooperative non cattoliche. Ma la fede si salva rimanendo chiusi in sé stessi? Domando: la fede si salva rimanendo chiusi in sé stessi? Rimanendo solo tra di noi? Vivete la vostra Alleanza da cristiani, come risposta alla vostra fede e alla vostra identità senza paura! Fede e identità sono la base. Andate avanti, dunque, e camminate insieme con tutte le persone di buona volontà! E questa anche è una chiamata cristiana, una chiamata cristiana a tutti. I valori cristiani non sono soltanto per noi, sono per condividerli! E condividerli con gli altri, con quelli che non pensano come noi ma vogliono le stesse cose che noi vogliamo. Andate avanti, coraggio! Siate creatori, “poeti”, avanti!».
+ Mario Toso
[1] Su questo si veda almeno S. Zamagni-V. Zamagni, La cooperazione. Tra mercato e democrazia economica, Il Mulino, Bologna 2008.