Faenza - Chiesa di S.Agostino, 4 febbraio 2017
04-02-2017
La fiaccolata della pace per le vie della città è avvenuta all’insegna dello slogan «Costruiamo la pace». I bambini, in Piazza del popolo, hanno costruito, con le lettere dell’alfabeto, la parola «Pace». La pace riguarda la nostra vita, in particolare la vita sociale. Se volessimo raffigurare la pace, potremmo immaginarla come una casa da costruire. La casa della pace, ci ha insegnato san Giovanni XXIII, ora santo, va costruita su quattro pilastri: verità, libertà, giustizia, amore. Senza uno di questi quattro pilastri la casa della pace non sta in piedi, non cresce salda e compatta. Ci debbono essere tutti e quattro i pilastri, insieme. Così, va costruita la pace. Impegnandosi a realizzare i diritti e i doveri dei singoli e dei popoli. Non dobbiamo mai dimenticare la Pacem in terris di papa Giovanni XXIII. Dobbiamo rileggerla sovente e attuarla, integrandola con i contenuti delle successive encicliche sociali.
Non basta dire voglio la pace. Come avete ben evidenziato, occorre diventare costruttori di essa, artigiani appassionati e provetti di essa. Così, per sé, non basta manifestare per le vie delle città a favore della pace nel mondo: bisogna lavorare a realizzarla, a partire da se stessi, dalla propria famiglia, dalle relazioni con le persone che incontriamo e con le quali ci rapportiamo ogni giorno. Non basta dire «io sono per la pace nel mondo» e, poi, vivo non volendo bene all’altro, non dandogli quello che gli spetta, addirittura schierandomi contro il diritto di nascita di chi è nel grembo della propria mamma, depredando le risorse del creato, sfasciando la famiglia, non adoperandomi perché tutti abbiano un lavoro dignitoso, lucrando sulla produzione delle armi. Non è sufficiente portare al collo la bandiera della pace, appenderla a casa, fuori dalla finestra o issandola su un pennone e, poi, offendere le persone, calunniarle, non amarle, non accoglierle dal profondo del cuore, non pagare il loro lavoro dipendente, non salutarle.
La Parola di Dio di questa sera (cf Mt 5, 38-48) ci sollecita a diventare costruttori di pace amando gli altri come li deve amare un figlio di Dio, il quale, attraverso Gesù, ci insegna ad amare anche i nemici. «Avete inteso che fu detto – afferma Gesù – : Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti».
Amare i nemici, coloro che ci perseguitano e dicono male di noi, ci emarginano, ci considerano esseri inferiori, non ci lasciano vivere secondo quanto richiede la libertà religiosa: significa fare in modo che nel nostro cuore non ci sia spazio per l’odio nei loro confronti. Non dobbiamo desiderare per loro il male. Se vogliamo essere degni figli del nostro Padre, che fa sorgere il sole sui buoni e sui cattivi, dobbiamo amare i nostri nemici, pregare per loro, perché si correggano e diventino migliori. Ciò, al lato pratico, significa essere impegnati in un processo di guarigione del nostro cuore: un processo continuo, perché dobbiamo essere perfetti come il Padre nostro. Ciò richiede un lavorio spirituale quotidiano, che non finirà mai.
Dunque, secondo l’insegnamento che ci deriva dal brano del Vangelo, che è stato proclamato questa sera, siamo invitati a divenire costruttori di pace, costruttori di ponti tra le persone e i popoli, come ci ha insegnato Giorgio La Pira, pregando con cuore sincero per i nostri nemici, dando a loro molto di più di quello che si meriterebbero. Che ce ne viene? Quale sarà il risultato? Vedremo che la preghiera per i nostri nemici porterà due frutti: il primo frutto sarà che il nostro nemico migliorerà, perché la preghiera ha questa capacità, quella di trasformare il cuore di pietra in un cuore di carne che sa amare e volere il bene altrui. È come se si ponessero dei carboni ardenti sulla testa di chi ci vuole male, sino a sciogliere il ghiaccio che c’è nel suo cuore. Il secondo frutto sarà che anche noi miglioreremo, diventeremo, in certo modo, più figli del Padre. E così, ci sentiremo più fratelli, parte di una stessa famiglia. I due frutti ottenuti mediante la preghiera contribuiranno alla pace.
Non basta dire voglio la pace. Come avete ben evidenziato, occorre diventare costruttori di essa, artigiani appassionati e provetti di essa. Così, per sé, non basta manifestare per le vie delle città a favore della pace nel mondo: bisogna lavorare a realizzarla, a partire da se stessi, dalla propria famiglia, dalle relazioni con le persone che incontriamo e con le quali ci rapportiamo ogni giorno. Non basta dire «io sono per la pace nel mondo» e, poi, vivo non volendo bene all’altro, non dandogli quello che gli spetta, addirittura schierandomi contro il diritto di nascita di chi è nel grembo della propria mamma, depredando le risorse del creato, sfasciando la famiglia, non adoperandomi perché tutti abbiano un lavoro dignitoso, lucrando sulla produzione delle armi. Non è sufficiente portare al collo la bandiera della pace, appenderla a casa, fuori dalla finestra o issandola su un pennone e, poi, offendere le persone, calunniarle, non amarle, non accoglierle dal profondo del cuore, non pagare il loro lavoro dipendente, non salutarle.
La Parola di Dio di questa sera (cf Mt 5, 38-48) ci sollecita a diventare costruttori di pace amando gli altri come li deve amare un figlio di Dio, il quale, attraverso Gesù, ci insegna ad amare anche i nemici. «Avete inteso che fu detto – afferma Gesù – : Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti».
Amare i nemici, coloro che ci perseguitano e dicono male di noi, ci emarginano, ci considerano esseri inferiori, non ci lasciano vivere secondo quanto richiede la libertà religiosa: significa fare in modo che nel nostro cuore non ci sia spazio per l’odio nei loro confronti. Non dobbiamo desiderare per loro il male. Se vogliamo essere degni figli del nostro Padre, che fa sorgere il sole sui buoni e sui cattivi, dobbiamo amare i nostri nemici, pregare per loro, perché si correggano e diventino migliori. Ciò, al lato pratico, significa essere impegnati in un processo di guarigione del nostro cuore: un processo continuo, perché dobbiamo essere perfetti come il Padre nostro. Ciò richiede un lavorio spirituale quotidiano, che non finirà mai.
Dunque, secondo l’insegnamento che ci deriva dal brano del Vangelo, che è stato proclamato questa sera, siamo invitati a divenire costruttori di pace, costruttori di ponti tra le persone e i popoli, come ci ha insegnato Giorgio La Pira, pregando con cuore sincero per i nostri nemici, dando a loro molto di più di quello che si meriterebbero. Che ce ne viene? Quale sarà il risultato? Vedremo che la preghiera per i nostri nemici porterà due frutti: il primo frutto sarà che il nostro nemico migliorerà, perché la preghiera ha questa capacità, quella di trasformare il cuore di pietra in un cuore di carne che sa amare e volere il bene altrui. È come se si ponessero dei carboni ardenti sulla testa di chi ci vuole male, sino a sciogliere il ghiaccio che c’è nel suo cuore. Il secondo frutto sarà che anche noi miglioreremo, diventeremo, in certo modo, più figli del Padre. E così, ci sentiremo più fratelli, parte di una stessa famiglia. I due frutti ottenuti mediante la preghiera contribuiranno alla pace.