Cari fratelli e sorelle,
il profeta Isaia (Is 7, 10-14) ci parla dell’Emmanuele. La vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele, Dio con noi. L’umanità sarà, dunque, sposata dal Signore. I suoi figli possiederanno le Nazioni, popoleranno le città un tempo deserte. Il nuovo popolo posto in essere da Dio, sarà umanità non più abbandonata, non più disonorata, bensì redenta. Dalla Vergine nascerà, in definitiva, l’Uomo Nuovo Gesù Cristo, ma anche l’umanità nuova. La Vergine non è solo Madre di Dio ma anche del nuovo popolo, che è la Chiesa. Nulla è impossibile a Dio. È su questo «nulla è impossibile a Dio» che dobbiamo fermare la nostra attenzione. Non è impossibile a Dio che da una donna sterile, ossia Elisabetta, nasca il precursore di Gesù Cristo. Non è impossibile che, da una donna che «non conosce uomo», nasca il Salvatore. È necessario, però, la nostra disponibilità! Dio suscita il precursore e il messaggero del Signore Gesù, ossia Giovanni Battista. Così, grazie alla potenza dell’Altissimo, nasce da Maria il Figlio di Dio. Cari fratelli e sorelle, in questo periodo di Avvento, dobbiamo proprio pensare che è l’azione dello Spirito santo che rinnova la faccia della terra e ci costituisce messaggeri, gente che prepara la via del Salvatore. Come? Dove?
Anche in questo luogo, ove ci sono nostri fratelli e sorelle sofferenti, ma anche medici, infermieri, assistenti, volontari, che li servono con amore. Qui siamo chiamati ad essere messaggeri di Cristo, che viene e nasce tra di noi per radunare un popolo grande. Noi che vorremmo un Dio trionfatore, vincitore, come peraltro lo desiderava la gran parte del popolo d’Israele, nel mistero del Natale riceviamo un segno diverso. Ma anche un modo nuovo di pensare. Dio, nel Figlio Gesù, si incarna nella debolezza, nella povertà, in un Bambino. Egli viene a offrire la sua piena vicinanza alla nostra situazione di fragilità, precarietà. Viene a costituire un popolo di cui fanno parte anche i deboli, gli ammalati, i poveri, gli emarginati, i prigionieri, i morenti. Egli assume tutto della nostra umanità, eccetto il peccato. Prende la nostra libertà, la nostra dignità, la nostra responsabilità, ossia tutto ciò che c’è di positivo in noi, sebbene deficitario, data la nostra situazione di creature. Assume la nostra contingenza, il limite, la fragilità, la malattia, la morte. Mentre si incarna si fa presente in noi con la totalità del suo Amore e della sua Verità. È così che Dio cambia la nostra vita, le dà un significato diverso. Egli ci consente di vivere la nostra povertà, il limite e la morte con la ricchezza del suo amore e del suo dono.
La potenza dell’amore di Dio viene ad abitare nella nostra povertà, nel nostro limite, nella nostra fragilità corporea, nella tragica esperienza della morte. In quel poco che siamo, Dio diventa principio di redenzione e di trasfigurazione, principio di vita immortale, semente di nuova relazionalità.
Con la sua incarnazione, in particolare, Cristo ci fa comunità-corpo mistico, di sani e di ammalati insieme. Immette nelle nostre vene, nelle nostre relazioni e comunicazioni l’amore reciproco, trinitario, per cui, in certo modo, ci teniamo in braccio gli uni e gli altri e ci aiutiamo a divenire offerta gradita al Padre. Anche in questa struttura di cura, a pensarci bene, diventiamo corpo mistico, unito al Cristo sofferente. E, quindi, messaggeri e testimoni di una vita comunitaria, abitata dalla potenza dello Spirito d’amore di Cristo che colma con la potenza di Dio la nostra fragile esistenza. Cristo prende la sofferenza e la morte su di sé per farle diventare «luogo» in cui si compie un’offerta d’amore al Padre e alla comunità cristiana.
Nell’Eucaristia che celebriamo alimentiamoci di Cristo, pane vivo, per essere messaggeri e testimoni del suo amore nei vari luoghi di vita. Buon Natale a tutti.
+ Mario Toso