Faenza, cattedrale 18 aprile 2025.
Il brano del profeta Isaia (Is 52, 53-12) che abbiamo sentito ci invita a riflettere sulla Passione di Gesù, sull’amore incommensurabile dell’Amore di Dio per ciascuno di noi, per tutta l’umanità. Nello stesso tempo, ci fa comprendere quanto siano scandalosamente enormi la nostra cecità e il nostro essere anaffettivi: non riconoscendo il Servo sofferente non solo rifiutiamo il Figlio di Dio ma danneggiamo noi stessi, rineghiamo la nostra identità di figli nel Figlio che si fa servo per amore. Perdiamo noi stessi.
Con la sua Passione, che termina con la morte e sfocia nella risurrezione, Gesù ci mostra che siamo fatti per la comunione con Dio, nostro Padre, per vivere sempre con Lui. Diventando uomo, accettando la morte, ci mostra che Egli condivide realmente tutto di noi. Non ci lascia da soli a lottare contro il male, l’ingiustizia, il peccato, le guerre fratricide. Egli, pur continuando noi a vivere con la nostra fragilità, ci rende più capaci di bene, di libertà, di fraternità e di pace, di gloria. A noi che, con Cristo diveniamo Cielo, Dio, è possibile percorrere la strada della vita con la potenza di quella verità sull’uomo e sul mondo che è contenuta nel mistero dell’Incarnazione e della Redenzione. A noi è data la possibilità di vivere l’assoluto umano che si realizza in Gesù, vero Uomo e vero Dio. Un popolo che rifiuta di sapere quale sia la propria verità, umana e divina, finisce perduto nei labirinti del tempo e della storia, privo di valori e di grandi scopi, chiaramente definiti ed enunciati.
Se, come umanità diamo per scontato che il cristianesimo e i cristiani non debbano avere la libertà religiosa – secondo il rapporto “World Watch List” nel 2024, i cristiani perseguitati nel mondo sono 365 milioni -, se rimaniamo indifferenti di fronte all’uccisione di tanti bambini come ad Hamas e a Gaza, accettiamo di fatto che i nostri fratelli, i popoli della terra, i più deboli, i più piccoli, non abbiano il diritto di crescere secondo la misura alta dell’umanità che vive in Cristo.
Egli, ancora oggi continua ad essere crocifisso. Credenti che rinunciano ad incarnare il suo Vangelo nella vita, nelle relazioni e nelle istituzioni sociali, nelle culture, purtroppo è come se crocifiggessero il loro Maestro e vanificassero la sua salvezza integrale, di ogni uomo, di tutto l’uomo.
I credenti che non praticano la loro fede non riconoscono Cristo nella loro vita e nei più piccoli. Se abbandonano con superficialità le loro comunità – secondo recenti statistiche per un nuovo credente che entra a far parte della comunità, ne escono 28 – rinunciano a crescere secondo la statura divina dei figli viventi nel Figlio.
La Passione, che Cristo continua a subire ancora oggi, gli è inflitta da noi che non lo riconosciamo come Fratello, Figlio di Dio nel quale siamo e viviamo in forza del Battesimo e dei sacramenti.
In questo pomeriggio della Passione di Gesù domandiamo, pertanto, perdono per la nostra ingratitudine ottusa.
Riflettiamo sul dramma che con la nostra indifferenza provochiamo nel Signore Gesù. Egli soffre sì per gli oltraggi, gli insulti ma soprattutto per il rifiuto del suo Amore.
Riflettiamo, dunque, sul male che provochiamo su noi stessi, allorché, negando la nostra somiglianza a Dio, finiamo per autodistruggerci.
Prendiamo coscienza del fatto che il disprezzo della nostra somiglianza con Cristo equivale a sfigurarci, a non apprezzare la nostra altissima dignità.
Ci scuotono dalla nostra ignorante follia le parole di Gesù sulla Croce: «Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno» (Lc 23, 34).
La sera prima, nell’orto degli ulivi, Gesù visse una drammatica agonia che gli lacerò l’anima sino a farlo sudare sangue. Il pensiero che coloro per i quali dava la sua vita erano pronti a rinnegarlo lo faceva soffrire ancora più crudelmente.
Ciò che pose fine alla sua atroce sofferenza fu quando egli gridò, per poi spirare: «Padre nelle tue mani consegno il mio spirito» (Lc 23, 44-46).
La morte in croce di Gesù si conclude con la richiesta di un abbraccio: quello del Figlio con il Padre.
Il viaggio della sua vita terrena si conclude proprio con l’incontro più atteso. Ciò sarà anche per noi. Questa è la nostra consolazione. È la Speranza che non delude. Cristo vince la morte con l’onnipotenza del suo Amore, che lo fa ascendere verso l’abbraccio di vita. L’Amore di Dio Padre è anch’esso onnipotente. L’amore del Padre e l’amore del Figlio uniscono le loro Persone e le confermano nella loro comunione indisgiungibile. Ecco l’amore che ci fa entrare nel regno della Vita, che apre le porte all’Eterno senza tempo, immette nell’incessante flusso dell’Amore di Dio, uno e trino.[1]
+ Mario Toso
[1] Cf Benedetto xvi, Credo la vita eterna, Libreria Editrice Vaticana-Il pozzo di Giacobbe, Trento 2023, p.108.