Faenza, cattedrale 13 aprile 2025
La Domenica delle Palme è il giorno dell’entrata trionfale di Gesù Cristo in Gerusalemme. È accolto come re. Il Vangelo di Luca lo presenta proprio così: «Benedetto colui che viene – il re – nel nome del Signore» (Lc 19, 28-40). Ma noi tutti sappiamo che Egli non viene in questo mondo come un re terreno, come capo di una monarchia o come un comandante di eserciti, come un governatore o un amministratore della giustizia civile. Io sto in mezzo a voi come Colui che serve (cf Lc 22,27), abbiamo sentito. Ecco la prospettiva giusta per comprendere Gesù. Il compito di Colui che entra nella città cavalcando un asinello è ben diverso rispetto a quello di un capo delle Nazioni, che dispone di truppe da combattimento. Il suo regno appartiene ad un altro mondo rispetto a quelli della terra. L’azione di Cristo si pone su un piano religioso e spirituale, che tocca e influenza ovviamente anche l’ambito politico, distinto ma non separato da quello religioso. Egli viene a redimere e a salvare il mondo non esercitando il potere con la forza, conquistando territori, dispiegando le sue forze di guerra, usando missili e droni, diremmo noi oggi. Egli, invece svolge una missione che trasforma anzitutto le coscienze con la sua predicazione, convertendole alla Bellezza che è Dio, rimettendo i peccati. Incoraggia le persone a vivere la fede nel Padre con parabole, miracoli, beneficandole con la sua bontà, liberandole da malattie, da possessioni diaboliche. Coopta gli apostoli e li invia ad annunciare che il Regno dei cieli è vicino. La sua regalità trascende, dunque, quella dei sovrani e dei Capi di Stato.
È quella di Colui che è Figlio di Dio e manifesta l’Amore del Padre in una maniera straordinaria. Non impone, bensì affascina, opera con semplicità, scendendo nei cuori con una parola convincente. Ma soprattutto non dobbiamo dimenticare la grande opera della sua incarnazione, morte e risurrezione, con la quale ci divinizza e ci trasfigura. Si è fatto uomo, uno di noi. Non ha considerato un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma ha svuotato sé stesso, assumendo la condizione di un servo, facendosi obbediente sino alla morte di croce (cf Fil 2, 6-11).
In tal modo, comunica – all’umanità ferita dal peccato, testarda nell’egoismo, nel volere guerre di aggressione e di conquista -, la stessa vita di Dio, la sua forza di amare, di opporsi al male, al peccato, all’ingiustizia, alla violenza. Gesù Cristo governa e cambia l’umanità non emanando leggi dai parlamenti, bensì comunicando sé stesso, il suo Spirito d’amore, lo Spirito di Dio, che è per la vita di tutti, e non per la morte. Cristo vuole le persone più libere, più capaci di bene, di vero, più aperte al servizio degli altri. Cristo si mostra re attraverso il dono di sé, offrendo all’uomo il suo Spirito d’amore che sospinge a vivere, a perdonare, a morire piuttosto che a uccidere per dominare. Salendo sulla croce manifesta quanto siamo amati da Dio e quanto Dio sollecita ciascuno di noi a rispondere a tale dono, rifiutando il male, il peccato, le guerre, costruendo un mondo fraterno, di giustizia, di pace. Dio ci ama, ci vuole vivi, capaci di prenderci cura degli altri. La morte di Gesù è una grande prova di amore. «Dio – spiega san Giovanni – ha tanto amato il mondo da consegnare il suo figlio unico» (Gv 3,14). San Paolo non esita a riconoscere: «Ha amato me e si è dato per me» (Gal 2,20). Le braccia spalancate in croce non sono le braccia di uno che si arrende, ma l’abbraccio di Cristo che intende stringere a sé il mondo, per tenerlo eternamente vivo nell’amore, libero dal male, dalle violenze, per il bene, per la fraternità, per la giustizia e per la pace.
La crocifissione del Figlio non è un fallimento. È, invece, l’indicazione della via della redenzione e della trasfigurazione dell’umanità. La croce è l’indicazione della scienza, della sapienza superiore di Dio, come affermava Edith Stein, ebrea, convertita al cristianesimo, suora del Carmelo deportata nel campo di concentramento di Auschwitz, in Polonia, dove viene uccisa nella camera a gas. Prima di venire deportata al campo di concentramento di Auschwitz, scrisse un biglietto, per la madre priora, con la scritta “Ave crux, Spes unica” (“Ti saluto, Croce, nostra unica speranza”). Se ci poniamo alla scuola della sapienza che Cristo ha mostrato sulla croce, facendo di sé un dono puro al Padre, entriamo nella vera vita, una vita in pienezza, piena di tenerezza per l’umanità, quella di Cristo risorto, fondamento della nostra Speranza.
Ogni anno siamo sollecitati da Cristo a prendere parte alla sua Passione, a essere persone in piena comunione col Padre. Uniamoci a Cristo, re crocifisso. Egli cambia il mondo salendo sul trono della croce, che dobbiamo considerare una vera e propria «istituzione permanente di pace». I credenti possono cambiare il mondo, servendo l’umanità e donando ad essa l’amore di Cristo che la rigenera e la affratella. La maniera più efficace per contrastare le guerre è quella di educare le coscienze, di coltivare lo spirito, di preparare nuovi responsabili dei popoli, persone innamorate di Dio e del bene comune, capaci di innalzare nuove istituzioni di pace nella società civile, a livello nazionale e a livello mondiale.
La Domenica delle Palme, che ci parla della regalità di Cristo ci fa comprendere che questa non esiste senza la croce, ossia senza divenire servi mediante il dono incondizionato di sé al Padre misericordioso e all’umanità. Apriamo le porte della nostra anima a Cristo. Coltiviamo la sua empatia per l’umanità. Facciamo di Cristo il cuore del mondo.
Solo così la sua regalità si diffonderà.
Davanti al Cuore di Cristo, chiediamo al Signore di avere ancora compassione di questa nostra terra ferita da alluvioni, terremoti, trombe d’aria. Riversi i tesori della sua luce e del suo amore, affinché «il nostro mondo, che sopravvive tra le guerre, gli squilibri socioeconomici, il consumismo e l’uso anti-umano della tecnologia, possa recuperare ciò che è più importante e necessario: il cuore» (Dilexit nos n. 31). Facciamo del Cuore di Cristo il cuore del mondo.
+ Mario Toso, Vescovo