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OMELIA per la Messa di Suffragio del VESCOVO mons. TARCISIO BERTOZZI
Faenza, Basilica Cattedrale 19 maggio 2007
19-05-2007

Siamo ormai alla vigilia della solennità dell’Ascensione del Signore, e le letture risentono della prossimità di questo mistero. Gesù è andato in Cielo a prepararci un posto, e noi siamo ancora qui a pregarlo perché il posto che ha preparato per il Vescovo Tarcisio gli sia concesso subito, per la misericordia di Dio e in premio alle sue fatiche apostoliche. Non sembri troppo il tempo di undici anni dalla morte, per trovarci ancora a pregare in suffragio del vescovo Tarcisio, perché la differenza del tempo è per noi; nell’altra vita non sappiamo come sia. A noi compete un dovere di carità e di gratitudine, e l’anniversario della morte è una occasione per continuare a sdebitarci, come Chiesa diocesana che ha goduto del servizio episcopale e del sacrificio della vita di Mons. Bertozzi. Nel ricordo di questo nostro carissimo fratello nel Signore ci lasciamo guidare dalla parola di Dio che la liturgia ci ha donato. Anzitutto il Vangelo, nel quale Gesù ci incoraggia a pregare il Padre nel suo nome, con l’assicurazione che è il Padre stesso che ci ama, e quindi ha a cuore il nostro vero bene più di noi stessi. ‘Verrà l’ora in cui apertamente vi parlerò del Padre’. Non è forse l’ora in cui ognuno di noi si troverà davanti a Dio, per essere accolto tra le sue braccia? Non è forse quello il momento in cui ognuno desidererà sentirsi dire: ‘Vieni benedetto dal Padre mio?’ A quel punto noi passeremo dalle ombre di questo mondo alla realtà luminosa del Regno. E’ questo che ora chiediamo nell’Eucaristia di suffragio per il vescovo Tarcisio. Nel raccomandarci di pregare nel suo nome Gesù ha precisato: ‘Chiedete e otterrete, perché la vostra gioia sia piena’. Quando noi abbiamo l’impressione di non aver ottenuto ciò che chiediamo, dobbiamo domandarci se abbiamo pregato ‘nel nome del Signore’, cioè se ci siamo affidati alla sua potenza, inserendoci nel progetto della sua volontà, aprendoci al dono del suo Spirito, che prega in noi, perché noi non sappiamo nemmeno che cosa sia conveniente chiedere. Uno degli effetti belli della preghiera, è quello di metterci comunque nelle mani del Signore, di affidarci al suo amore, e di aspettarsi tutto da Lui: è questo che ci dà gioia, quella vera, comunque vadano le cose. La serenità nella malattia che accompagnò fino alla morte il Vescovo Tarcisio non poteva non derivare da un profondo abbandono alla volontà del Padre, in una abitudine a stare nel Signore nella preghiera, e nello spendersi totalmente nel ministero episcopale fino alla fine. La pagina degli Atti degli Apostoli ci ha riportato ad un momento vivo della missione della prima comunità cristiana, quando entra in scena un giudeo chiamato Apollo, che, pur essendo versato nelle scritture e già catechizzato, viene prese in carico dalla comunità, prima di andare in missione, e perfezionato nella sua preparazione da due laici, Priscilla e Aquila. La missione della Chiesa e il ruolo dei laici furono certamente due aspetti della ecclesiologia del Vaticano II che erano molto cari a Mons. Bertozzi, tanto che nei testi del Sinodo non è difficile trovarne ampia traccia. Mi pare bello riascoltare ancora qualche sua parola. Nel momento di annunciare la celebrazione del Sinodo diocesano ebbe a dire: ‘Sarà come un anno di missione permanente per tutta la Diocesi alla scoperta della Chiesa-comunione e degli itinerari pastorali per edificare la Chiesa-comunità in missione nel nostro tempo’ (pag.311). La visione della Chiesa voluta dal Concilio è molto chiara. Il fondamento è la comunione dono dello Spirito, frutto della parola di Dio e dell’Eucaristia, che porta alla costruzione di una comunità che vive in un tempo e in un territorio precisi, con lo scopo di diffondere il vangelo, cioè vivere la missione. Se anche in un semplice passaggio come quello citato, si può trovare una precisione teologica di tale intensità, vuol dire che questi erano concetti abituali, continuamente pensati e vissuti, in modo da diventare spontanei nel suo magistero. Volle il Sinodo per mettere tutta la Chiesa diocesana in atteggiamento missionario, e questo non tanto per adeguarsi alle indicazioni del Concilio, ma per rispondere alle nuove istanze che venivano dalla società. Leggiamo infatti in un altro discorso: ‘Si tratta di confrontarsi con i problemi particolarmente urgenti in modo da essere atti per rispondere alle sfide della nostra epoca: quale evangelizzazione in una cultura secolarista? Come vivere da persone, da famiglie e da comunità cristiane nell’epoca del benessere? Come e cosa fare per incidere sui comportamenti individuali e pubblici?’ E come avveniva ai tempi degli apostoli, in questa avventura egli voleva coinvolgere tutte le forze valide, dai presbiteri, ai religiosi e ai laici. Una Chiesa che più che guardarsi dentro, si guarda attorno per portare il messaggio di salvezza tenendo conto dei cambiamenti in atto, senza paure e senza arretramenti; una Chiesa che partendo dalla necessaria formazione delle coscienze sa di dover incidere anche nella società, per il bene di tutti. Siamo ormai al culmine della celebrazione pasquale, che sfocerà nella Pentecoste con l’effusione dello Spirito Santo. Nel mistero dell’Ascensione viviamo il ritorno del Signore risorto nella gloria del Padre, e nello stesso tempo l’invio della Chiesa nel mondo ad annunciare il Vangelo ad ogni creatura. Il cammino della Chiesa nel tempo passa attraverso la vita di persone precise che si spendono per questa missione, e realizzano quella affermazione di Gesù: ‘Farete le cose che io ho fatto e ne farete di più grandi, perché vado al Padre’. Nel ricordo soprattutto dei nostri pastori e dei santi che hanno segnato la storia di una Chiesa, vediamo il cammino che ha portato fino a noi la fede cristiana. A noi il compito di raccogliere il testimone per passarlo alle generazioni future. E’ vero che cambiano le condizioni, ma la missione resta sempre la stessa. Ogni anno, mentre avvertiamo il bisogno di pregare per il dono della pace eterna per chi ci ha preceduto, sentiamo anche la necessità di ringraziare il Signore per il dono evidente che è stato fatto alla nostra Chiesa nel vescovo Tarcisio. Dono che lo si ritrova nella impostazione generale della vita della Diocesi ancora valida, e lo si ritrova anche nei ricordi personali di presbiteri, religiosi e laici che hanno avuto modo di fare tesoro di una parola, di un esempio, o di apprezzare comunque qualche aspetto della sua vita e in particolare della sua sofferenza. Per questo la nostra Eucaristia è un’offerta a Dio gradita per il riposo eterno del vescovo Tarcisio che in questa Cattedrale è in attesa della Pasqua eterna; e insieme è un ringraziamento a Dio che lo ha donato alla nostra Chiesa.

OMELIA per la MESSA CRISMALE 2007
Faenza, Basilica Cattedrale, 5 aprile 2007
05-04-2007

La concelebrazione della Messa Crismale è presentata dalla liturgia come il segno più alto della comunione del presbiterio diocesano con il Vescovo. Collocata al termine della quaresima e in prossimità del Triduo santo, si trova ad essere come un anello che collega il percorso penitenziale appena concluso al Mistero pasquale. E’ la Chiesa che cammina nel tempo, che trova qui la sua identità più vera, per portare il popolo di Dio, al quale tutti apparteniamo, dentro il mistero della Pasqua di morte e di risurrezione. Come presbiteri siamo consapevoli di avere la responsabilità della gestione dei sacramenti della salvezza, e quindi di avere un grande potere spirituale; sappiamo pure che il ministero che ci è affidato coinvolge anche la santità della nostra vita, che si svolge immersa nelle vicende gioiose e faticose delle nostre comunità. I giorni che stiamo vivendo sono resi difficili, oltre che dal progressivo allontanamento della nostra gente dalla vita cristiana, anche da una aggressione crescente contro la Chiesa, orchestrata in modo non casuale tra i poteri forti e le lobby dell’informazione. In queste settimane ho pensato spesso al disagio in cui i parroci potevano trovarsi, passando per la benedizione alle famiglie, nell’ascoltare le rimostranze o il rammarico della loro gente. Avrei voluto esservi vicino per sostenervi non solo con la parola dell’apostolo Giovanni: ‘Non meravigliatevi se il mondo vi odia’ (1Gv 3,13), ma anche per dirvi che è proprio quando c’è grande confusione in ordine ai valori vitali, che la Chiesa deve esporsi per il bene dell’uomo. In fondo se il mondo cerca di tirare la Chiesa dalla sua parte, è segno che le riconosce una grande autorità morale. Questo ci rende ancora più responsabili di un messaggio che non è nostro, e che dobbiamo custodire e offrire per il bene della nostra gente e delle generazioni future. Nell’udienza che il Papa concesse alle Chiese della Romagna il 7 ottobre dello scorso anno ci disse: ‘Cristo, il perennemente giovane, sia vostro sostegno e guida oggi, domani, sempre. Testimoniare la gioia di essere cristiani: sia questo il vostro corale impegno’. Gioia di essere cristiani, e a maggior ragione, gioia di essere preti. Non lasciatevi ingannare dall’accusa ormai noiosa dell’ingerenza della Chiesa nella politica. Se ingerenza c’è, è ingerenza umanitaria, in difesa del bene di tutti, facendo supplenza al posto di chi non fa la parte del suo dovere. Pensate che è rimasta solo la Chiesa a difendere il valore del matrimonio civile! E in ogni caso la Chiesa ha il diritto e il dovere di rivolgersi sempre ai suoi figli non solo per le rubriche liturgiche, ma anche per la salvezza di tutto l’uomo. Non vi pare un po’ paradossale che proprio coloro che sono pronti ad accusare la Chiesa di essere disincarnata, le rivolgano il rimprovero di incarnarsi nelle questioni cruciali del nostro tempo? Perché alla Chiesa sta a cuore non solo la pace, la giustizia e l’ecologia, ma anche la vita umana, la dignità della persona e la famiglia. Cari sacerdoti, non lasciatevi intimidire; non abbiate timore di stare con la Chiesa, madre e maestra; se vogliamo stare accanto alla nostra gente, scegliamo di aiutare i semplici, coloro che sono frastornati dalla confusione che viene introdotta ad arte su concetti fondamentali, come la morale naturale, la famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna. Ormai le vere novità di oggi, sono le verità di sempre, e ci troviamo a dover dimostrare delle verità evidenti. La nostra Chiesa ricorda in questo anno la figura di S. Pier Damiani a mille anni dalla sua nascita. Vissuto in tempi non meno facili degli attuali, ha saputo fare le scelte giuste, contro le consuetudini che compromettevano la vita della Chiesa, la sua libertà dal potere politico, la santità della vita del clero. In comunione con il papa, pagando di persona, si è speso con forza, intelligenza e sacrificio. Allora come adesso vi erano i punti di vista che non sempre convergevano nelle varie questioni. E S. Pier Damiani ha saputo trovare la sua linea sempre in intesa con il Papa, sapendo aspettare il momento opportuno per il suo intervento, senza rompere la comunione, affidandosi alla preghiera e alla penitenza. Abbiamo voluto ricordare il nostro Santo patrono, non solo per non dimenticare la nostra storia, ma per ascoltare ciò che i santi hanno da dirci per i nostri giorni. Anche oggi abbiamo bisogno di rimanere liberi dai poteri forti, che non saranno più né il sacro romano impero, né i signorotti delle nostre terre, ma i potentati economici, politici e dell’informazione. Anche oggi il rinnovamento della Chiesa passa attraverso la santità del clero. Giustamente ci preoccupiamo del numero dei sacerdoti: in proporzione analoga preoccupiamoci della santità della loro vita, incominciando noi preti a tenere fisso lo sguardo su Gesù, e chiedendo ai fedeli che si ricordino di pregare sempre per i loro sacerdoti. Non dobbiamo poi dimenticare il dono grande che ha la nostra Chiesa a questo riguardo, con la presenza ormai da cinquant’anni del monastero dell’Ara crucis, e delle monache che pregano per la santità dei sacerdoti e che anche in questo giovedì santo ci hanno assicurato la loro preghiera. Le ricordiamo con gratitudine, in questo anno dell’ottavo centenario della fondazione domenicana. San Pier Damiani poi ha voluto la riforma della vita eremitica per indicare la praticabilità della misura alta della vita cristiana, che trova nell’eremo il suo apice, ma suggerisce anche a coloro che vivono nel mondo una fede esigente, che mette la croce del Salvatore al centro della vita. Ci siamo lasciati guidare in questa liturgia da un momento bello della nostra Chiesa, che nel ricordo di San Pier Damiani ci riporta alla Pasqua vittoriosa di Cristo, che anche quest’anno vogliamo vivere con speranza autentica, fondata non sulle nostre forze, ma sull’amore di Dio e la protezione dei Santi. Poco prima di questa Pasqua abbiamo avuto il dono dell’esortazione apostolica ‘Sacramentum caritatis’, che vogliamo meditare nella preghiera. L’Eucaristia è un mistero da credere, celebrare, vivere, in una progressione intrinsecamente collegata. La celebrazione liturgica è il punto di arrivo della fede e il punto di partenza della vita, e tutto si sostiene a vicenda in momenti distinti ma in una unica realtà frutto dello Spirito Santo. Noi abbiamo in mano l’Eucaristia per la vita del popolo cristiano; siamo i figli e i servi dell’Eucaristia, nati come presbiteri nello stesso momento nel Cenacolo dall’amore perenne di Cristo. Facciamo tesoro delle numerose opportunità che in questi anni ci vengono offerte dalla Chiesa per accostarci a questo mistero con rinnovate motivazioni. E nell’amore all’Eucaristia coinvolgiamo quanti ci sono accanto durante la celebrazione, in particolare i ministranti. Il loro servizio può rendere più dignitoso il rito, più vero il segno e più ricca la partecipazione dei fedeli. Infine vogliamo fare un ricordo affettuoso per i nostri sacerdoti che quest’anno ringraziano il Signore per 50, 60 e 70 anni di Messa. Ci siamo intrattenuti durante questa Eucaristia in una conversazione dai toni familiari; siamo tuttavia consapevoli del momento solenne della benedizione e consacrazione degli oli santi per i sacramenti della Chiesa. Viviamo ora questo momento singolare con la gratitudine al Signore che ci ha chiamato, rinnovando la fedeltà ai nostri impegni sacerdotali, per essere segni di speranza nella Chiesa, per il popolo a noi affidato.

OMELIA nel X ANNIVERSARIO della uccisione di PADRE DANIELE BADIALI
Faenza, Basilica Cattedrale 18 marzo 2007
18-03-2007

Siamo stati convocati in questa Eucaristia oggi, nella ricorrenza del decimo anniversario del sacrificio di P. Daniele Badiali, sacerdote fidei donum della nostra Diocesi, missionario dell’Operazione Mato Grosso in Perù. La liturgia della IV domenica di quaresima ci ha fatto incontrare la parabola del padre misericordioso, che accoglie e perdona il figlio che si era allontanato da casa per vivere a modo suo, liberamente, spendendo i soldi del padre, godendosi la vita. Ma anche il figlio maggiore, rimasto sempre nella casa del padre, ha avuto bisogno di cambiare il suo atteggiamento in famiglia, verso il padre e verso il fratello. Per entrambi i figli infatti il padre ha dovuto mettersi in movimento: per il primo, il Vangelo dice: gli corse incontro; ma anche per il secondo il padre uscì a pregarlo. In entrambi i casi è l’amore, è la bontà d’animo che fa muovere il padre verso i suoi figli, che tra loro non si riconoscono come fratelli, non capiscono l’uno i problemi dell’altro, e vivono isolati nella stessa casa. Il figlio minore è stato il primo a capire, al termine della sua drammatica esperienza, chi era veramente suo padre. La sua libera scelta l’aveva portato su una strada senza uscita. L’aggettivo che è stato tradotto in italiano con ‘dissoluto’, in greco è: asotos, cioè, senza salvezza, senza speranza. Quando il figlio minore si rese conto che la sua condizione era peggiore di quella di un servo, cominciò la lunga faticosa strada del ritorno che lo portò nelle braccia del padre, facendogli ritrovare la dignità di figlio. Dopo avere avuto la prova dell’amore e del perdono, il figlio disse: ‘Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te’. E’ dalla certezza del perdono che nasce il pentimento. ‘Lasciatevi riconciliare con Dio’, ci ha supplicato San Paolo. E’ il faticoso passaggio dal peccato alla grazia, dalla morte alla vita che Cristo ha operato per tutti noi nel mistero della sua Pasqua. E’ un ricupero, un tornare indietro, anche se nella realtà è un andare avanti nella via giusta indicata da Dio, che il linguaggio cristiano chiama conversione. Anche il giovane Daniele Badiali ebbe il suo momento di conversione quando, incontrando l’esperienza dei giovani dell’OMG capì che la sua vita doveva essere spesa per gli altri. ‘Io ero un ragazzo, è una sua testimonianza, che fino a 12-13 anni viveva tranquillamente in parrocchia’, con altri ragazzi, però vivevo una vita normale, tranquilla. Un bel giorno ho incontrato alcuni ragazzi che lavoravano per i più poveri, mi hanno fatto conoscere delle realtà che io non avevo mai immaginato fino ad allora, non pensavo che al mondo ci potesse essere gente che moriva di fame, io che non ero mai stato abituato a soffrire della mancanza di niente’; questi ragazzi mi hanno fatto vedere che c’era gente che stava male e allora ho cominciato a chiedermi che cosa sono io, perché io devo stare così bene e tanti altri invece stanno male’. Ecco: la conversione incomincia ponendosi le domande giuste, alle quali dare le risposte vere. E non si deve pensare che la conversione sia una faccenda che riguarda i grandi peccatori, che sono sempre gli altri; riguarda tutti noi, soprattutto se abbiamo la convinzione di essere già a posto, di fare già la nostra parte, di non avere mai abbandonato la casa del padre. Non per niente nella parabola, chi alla fine ha bisogno ancora di conversione è proprio il figlio maggiore, che pur rimanendo sempre in casa non ha amato suo padre, ma lo ha servito, e così non ha nemmeno capito il suo fratello. Conversione vuol dire scoprire il posto che ha il Padre nella mia vita, e quindi come considero i miei fratelli. L’amore verso il prossimo è il riscontro che non ci stiamo sbagliando nel seguire la volontà di Dio, che non stiamo seguendo il nostro ‘io’ trasformato in idolo, che può essere anche la sottile tentazione della soddisfazione personale di avere fatto qualcosa di importante. P: Daniele aveva capito anche questo rischio. Scrive in una lettera: ‘Dovessi ridurre a poche parole ciò che sto vivendo qui in Perù, sulle Ande, dico ‘Solo Dio deve contare’, tutta la nostra vita deve puntare a Lui, obbedire a lui. Vedo perfettamente il fallimento di un’azione basata sulla promozione umana, la tocco con mano ogni giorno. Ogni cosa deve essere fatta solo per Dio. E per me stare qui è obbedire a Dio’, mettere in pratica la sua legge, cioè la carità, il dare tutto gratuito’ E la preoccupazione più grande (verso i poveri) è la salvezza dell’anima. Dargli il pane quotidiano è la cosa ancora più facile; farli diventare cristiani liberi che scelgano la croce di Gesù è una scommessa ben più ardua di fronte alla quale sia poveri che ricchi si ritrovano allo stesso livello”. Il sacrificio della vita di P. Daniele, a soli 35 anni, dopo nemmeno sei anni di ministero, apre la domanda sul mistero di una vita donata al Signore, e stroncata mentre stava portando tanti frutti di bene. Eppure la sua morte è stata coerente con la sua vita, nel senso che la croce non era affatto una novità, ma la realtà quotidiana. Ascoltiamo ancora qualche sua parola, da lui scritta ad un amico sacerdote: ‘Riconoscere i segni del Signore è molto difficile, io non sono capace. Però m’accorgo se ciò che vivo va verso la croce o meno. Da questo capisco che Gesù mi chiede di fare sacrifici e di prendere un cammino in salita. Se non c’è la croce di mezzo dubito che sia il cammino di Gesù! E la croce non la scelgo io, sono gli altri che te la danno. E’ successo a Gesù e succede a chiunque procede verso il cammino del Vangelo. La scommessa è credere che Gesù, alle persone più care, possa dare come regalo la croce’ Ai martiri succede così!!! Io non sono a questo punto, stai tranquillo.’ Invece a quel punto ci arriverà presto, andando incontro al pericolo della morte volontariamente, quando di fronte a coloro che volevano un ostaggio italiano per chiedere un riscatto dice: ‘Vado io’. In questa scelta ha portato a compimento la sua quotidiana offerta per gli altri. E’ morto come era vissuto. La sua morte ha messo in luce la sua vita, l’ha fatta conoscere a tanti, ha fatto di lui un segno, un riferimento luminoso. Quello che impressiona di più al di là della morte, è la sua capacità di vedere con limpida essenzialità la verità delle cose, e di dirla con forza. Le sue lettere (tante, in così poco tempo) sono un tesoro che dovrà essere ancora esplorato soprattutto dai giovani e da quanti intendono fare tesoro del dono che Dio ci ha fatto in questo tempo con la vita e la morte di P. Daniele. Vorrei concludere ancora con una parola di P. Daniele: ‘Ai ragazzi vorrei urlare: non perdete tempo, il padrone arriva come un ladro di notte, non andate dietro a cose vane, imparate a guardare in faccia alla morte, solo così capirete quale direzione dare alla vostra vita’. Guardiamo in faccia alla morte, alla morte di P. Daniele, alla morte di Cristo che celebreremo tra qualche settimana nella Pasqua. Non per vivere di paura, ma della ricchezza di vita che anche P. Daniele ha testimoniato. Abbiamo sentito nella lettera di S. Paolo: ‘Se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove’. Ci conceda il Signore di abbandonare tutto ciò che in noi sa di vecchio, a cominciare dalle nostre meschinità, dal nostro egoismo, dal fare le cose senza cercarne il senso, per arrivare invece a vivere la giovinezza dell’amore, della donazione, del servizio, in una vita che meriti di essere vissuta. Questa sia la grazia che chiediamo oggi al Signore, pregandolo insieme a P. Daniele.

OMELIA per la GIORNATA della VITA CONSACRATA
Faenza, Chiesa di San Domenico, 2 febbraio 2007
02-02-2007

Nella giornata della vita consacrata desideriamo anzitutto ricordare le sorelle che celebrano ricorrenze giubilari della loro professione religiosa, per unirci a loro nel rendere grazie a Dio che ha accettato la loro consacrazione, ed è stato ancora una volta il Dio fedele, che ha reso fedeli anche le sue serve. E insieme chiediamo al Signore che continui a ricolmarle della sua grazia. C’è una parola, tra quelle che il vangelo ci ha fatto sentire nel racconto della presentazione del Signore al tempio, rivolta alla Vergine Madre, che colpisce per la sua crudezza: ‘E anche a te una spada trafiggerà l’anima’. Non sappiamo che cosa abbia capito la Vergine santa del contenuto di questa profezia che la riguardava. Certamente l’avrà custodita nel cuore, come sapeva fare di fronte ai misteri che mano a mano si presentavano nella vita di suo Figlio, e quando si è trovata sotto la croce la profezia le si sarà manifestata in tutta la sua verità. Del resto sarà proprio Gesù a dire che chi vuol essere suo discepolo deve prendere ogni giorno la propria croce e seguirlo. E’ quello che Maria ha fatto, come modello di chi ha consacrato tutta la vita a Dio. Ha scritto papa Giovanni Paolo II in Vita Consecrata: ‘Nella contemplazione di Cristo crocifisso trovano ispirazione tutte le vocazioni; da essa traggono origine, con il dono fondamentale dello Spirito, tutti i doni e in particolare il dono della vita consacrata’ (n.23). Il papa poi prosegue ricordando che dopo Maria il primo a consacrare la sua vita totalmente a Gesù è stato l’apostolo Giovanni, anch’egli ai piedi della croce con Maria. Tutti coloro che, imitando Maria, si donano a Gesù, ne manifestano la singolare bellezza, che li ha affascinati e conquistati in modo definitivo. Il papa Giovanni Paolo II riporta poi un brano di S. Agostino, molto efficace: ‘Bello è Dio, Verbo presso Dio’ E’ bello in cielo, bello in terra; bello nel seno, bello nella braccia dei genitori, bello nei miracoli, bello nei supplizi; bello nell’invitare alla vita e bello nel non curarsi della morte; bello nell’abbandonare la vita e bello nel riprenderla; bello nella croce, bello nel sepolcro, bello nel cielo” (n.24). Chi vive la sua consacrazione rispecchia la bellezza severa del Figlio di Dio che non scende dalla croce, ma vi rimane fedele per potere poi risorgere. Si tratta ovviamente non di una bellezza estetica, ma dell’armonia che corrisponde al desiderio dell’anima e trova nel Signore Gesù, interamente accolto, la risposta appagante. La sofferenza raggiunge tutti gli uomini di questo mondo. E’ dono di Dio riconoscere in essa qualcosa che avvicina al Salvatore. E chi sa accettare nella sua vita le prove e le sofferenze, completa nella propria carne quello che manca ai patimenti di Cristo a favore del suo corpo che è la Chiesa. I Santi non hanno cercato di fuggire di fronte alla croce; caso mai hanno cercato degli aiuti che ne potessero alleviare il peso, rifugiandosi nella preghiera e cercando anche la solidarietà della preghiera degli altri. In questo modo anche le prove della vita spingono verso una profonda comunione, piuttosto che separare dalla comunità e dal mondo. Celebriamo questa Giornata della vita consacrata nella chiesa di S. Domenico, per condividere con la famiglia domenicana la gioia della ricorrenza dell’ottavo centenario della prima fondazione domenicana a la Prouille, nella Francia del sud. Fu infatti una comunità di donne convertite dall’eresia catara a dedicarsi alla vita contemplativa, per sostenere con la preghiera i frati predicatori che S. Domenico inviava per combattere quella eresia. E’ un esempio bello di comunione e di unità tra vita contemplativa e vita attiva, che si integrano e si sostengono a vicenda. La vita consacrata, che trova la fecondità della sua donazione dalla croce portata insieme a quella del Signore, diventa preziosa nel mettersi accanto alle fatiche di coloro che non riuscirebbero ad affrontare le prove della vita. Le persone consacrate che sono al cuore della comunità ecclesiale, non sono fuori dal mondo, ma sanno essere vicine a tutti i sofferenti. La loro condizione di consacrati che hanno eletto Cristo come loro sposo fedele, può essere di singolare aiuto alle famiglie in difficoltà. Mi pare giusto avere un pensiero a questo riguardo, in un momento in cui la famiglia è sotto tiro. E più che addentrarci nelle questioni della politica, cerchiamo di fare la nostra parte in aiuto a coloro che cercano di vivere secondo il disegno di Dio, anche se con qualche difficoltà, che per fortuna sono ancora la maggior parte. Abbiamo visto la famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe andare al tempio per la prescrizione della legge, e poi, quando ebbero tutto compiuto, fecero ritorno a Nazaret. Gesù si prepara nel nascondimento di Nazaret alla sua missione, facendo della famiglia il luogo dove si impara la volontà di Dio. E’ grande l’aiuto che la famiglia può ricevere dalla vita consacrata, sia sul piano dell’aiuto assistenziale, educativo e di fede, sia dall’accompagnamento nelle situazioni di emergenza. Conosciamo la validità delle scuole per l’infanzia, l’importanza dell’assistenza agli anziani e ai malati, la preziosità della presenza pastorale in parrocchia. Ma c’è anche la grandezza della testimonianza di una vita spesa gratuitamente per il Signore e per il prossimo, in un mondo che capisce solo il prezzo e il guadagno; c’è l’importanza della preghiera che la gente chiede quando ci sono problemi in famiglia, e si rivolge alle suore di clausura e a tutti i religiosi per chiedere di pregare. Come sarebbe opaca e senza colore la vita cristiana priva di persone consacrate che con la sola presenza sono segno di un altro mondo, senza del quale anche questo ha meno senso. Se è vero che è meglio impostare la vita come se Dio esistesse, come suggerisce Benedetto XVI, la presenza di coloro che con il solo loro abito richiamano Dio diventa salutare per tutti. Per questo ringraziamo il Signore e facciamo festa insieme, e preghiamo che il popolo cristiano consideri sempre il valore della vita consacrata, come risorsa per le nostre famiglie e per tutta la società. Può darsi che vi sia ancora qualcuno che ci considera parassiti o nel migliore dei casi gente inutile, ma è solo perché non sa che alla società costa di più la trasgressione dei comandamenti di Dio che la loro osservanza. Non per niente Gesù ha detto: ‘Chi li osserverà e li insegnerà agli uomini, sarà considerato grande nel regno dei cieli’ (Mt 5,19). La Santa famiglia che dopo l’offerta del Bambino Gesù al tempio è vissuta nella volontà di Dio a Nazaret, ci aiuti a fare senza pentimenti la nostra offerta e ad esservi fedeli sempre, facendo sì che le nostre comunità riproducano la santità della famiglia di Nazaret, per incoraggiare e sostenere tutte le famiglie

OMELIA per le esquie di don GIORDANO MONDINI
Basilica Cattedrale di Faenza, 30 gennaio 2007
31-01-2007

Con la morte di don Giordano i familiari hanno perso un loro caro fratello e zio; la parrocchia di S. Lucia ha perduto il suo parroco; il Centro diocesano di Pastorale Missionaria il Direttore generoso e appassionato; molti fedeli del Duomo il confessore e la guida spirituale; la nostra Chiesa ha perso un sacerdote contento e instancabile. Tutti sapevamo da tempo del suo male, che egli non nascondeva, ma portava con dignità, pazienza e fede, e con quanta sofferenza interiore solo Dio può saperlo. Negli ultimi giorni qualcuno si era preoccupato perché a differenza del solito ottimismo, vi erano risposte come: potrebbe andare meglio; o addirittura: va male. Il suo andirivieni dagli ospedali ormai non faceva notizia, per cui quando domenica è giunta la notizia della sua morte, insieme al dispiacere c’è stato lo sgomento: ma come, fino a ieri si è visto in giro’ Ha lavorato fino alla fine, ed è andato a riposare in Paradiso. Dopo le tante sofferenze per la cura del suo male, gli è stata risparmiata l’umiliazione dell’inattività e del bisogno di assistenza; e in questo noi vediamo un segno della misericordia di Dio. E ora con l’aiuto della parola di Dio e la grazia dell’Eucaristia, cerchiamo di vedere il mistero della morte di don Giordano alla luce della Risurrezione. ‘Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti’ come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo’. E’ la verità fondamentale della fede cristiana, che don Giordano affermava con entusiasmo: Cristo risorto, la vita eterna, il Paradiso entravano nei suoi discorsi con un realismo che lasciava intendere che ci credeva davvero. Ed ora ne ha avuto il riscontro. Leggiamo nel suo testamento spirituale: ‘Sforzatevi di conoscere e amare Gesù, persona affascinante, nascosta nei Santi Vangeli e nel silenzio del cuore. Io non vedo l’ora di incontrarlo faccia a faccia’. ‘L’ultimo nemico ad essere annientato sarà la morte’. Ad una considerazione superficiale, a noi tutti pare che sia stato il male ad averla avuta vinta, perché ha portato don Giordano alla morte. E davvero tutto ciò che era legato al tempo ha cessato di esistere:è rimasto solo il segno di don Giordano, il suo corpo senza vita. Ma il don Giordano vero non è sparito: è vivo in Cristo, cioè esiste ancora, vive in modo misterioso ma vero; come saremo non è stato ancora rivelato, ma Lo vedremo così come Egli è. Domenica abbiamo letto nella liturgia: ‘Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa, ma allora vedremo faccia a faccia’. La morte non è più la fine di tutto, ma diventa la porta attraverso la quale si va alla vita vera, dove non c’è più né pianto, né morte, né sofferenza alcuna. Domenica scorsa, il giorno di Cristo risorto, don Giordano è entrato nella domenica senza tramonto, per essere sempre con il Signore. ‘Perché Dio sia tutto in tutti’. Questo è il compimento della missione del Cristo, ricondurre tutto al Padre, ed è anche la missione del prete: fare in modo che Dio sia riconosciuto al centro della vita degli uomini. Pienamente questo avverrà solo in Cielo; ma su questa terra, questo è il senso del ministero del presbitero: la predicazione, la confessione, la direzione spirituale, i pellegrinaggi in Terra santa, tutta la pastorale missionaria, l’attività della parrocchia dalla Messa della domenica al catechismo dei bambini: aveva come unico scopo che Dio diventasse tutto in tutti. Ha scritto nel testamento: ‘Messa, confessione, predicazione: i miei hobby, che mi hanno procurato tantissime gioie!’ ‘Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli’. Don Giordano ha lavorato fino alla fine, e anche negli ultimi anni quando doveva affrontare le cure non ha mai lasciato nessuna delle sue attività, e non ha mai fatto pesare le sue condizioni di salute per evitare qualche impegno. ‘Siate pronti, con la cintura ai fianchi e le lucerne accese’: è un richiamo del Signore, ed è un esempio che ci è lasciato. La Messa che stiamo celebrando, insieme all’offerta della vita e della morte di Gesù presenta al Padre la vita e la morte di don Giordano. Domenica egli ha celebrato la sua Eucaristia offrendo se stesso al Padre in modo reale, dopo averlo fatto tante volte spiritualmente. Ha scritto nel testamento: ‘Accetto con gioia la morte, con le sue eventuali sofferenze, come la mia ultima Messa; offerta piccolissima, ma entusiasta alla Santissima Volontà di Dio’: ‘Preziosa agli occhi del Signore è la morte dei suoi fedeli’. Preghiamo perché Dio accolga nella sua pace don Giordano, perdoni tutti i suoi peccati, e gli conceda il premio delle sue fatiche pastorali. La Vergine Maria, madre di misericordia, mostri anche a lui dopo questo esilio Gesù, il frutto benedetto del suo seno.

OMELIA per la MESSA in occasione dell’INCONTRO DEI GIORNALISTI
Faenza, Basilica Cattedrale, lunedì 29 gennaio 2006
29-01-2007

Alla fine del racconto del Vangelo di oggi, Gesù rivolge questo invito all’uomo liberato dal potere del demonio: ‘Va’ nella tua casa, dai tuoi, annunzia loro ciò che il Signore ti ha fatto e la misericordia che ti ha usato’. Nella celebrazione che stiamo facendo ricordando San Francesco di Sales, patrono dei giornalisti, mi pare bello riascoltare questo invito del Signore tenendo presente anche i grandi mezzi della comunicazione. Anzitutto mi piace notare che Gesù rivolge il suo invito ad un uomo liberato. La libertà dal male anzitutto, poi da ogni altra costrizione, è la condizione necessaria perché la notizia possa essere vera. Diversamente è facile servirsi della notizia per veicolare qualche altro messaggio a servizio del padrone di turno. ‘Va’ nella tua casa, dai tuoi’. Siamo nel contesto dell’amore del prossimo: Gesù invita sempre a cominciare dai più vicini, non perché non sia attento ai lontani, ma perché bisogna evitare il rischio dell’evasione; in fondo amare i lontani che non possono dare fastidio, può essere abbastanza facile. ‘Va’ nella tua casa, dai tuoi’ anche perché la buona notizia di ciò che il Signore ha fatto deve favorire la crescita della comunità, la quale a sua volta si allargherà in una testimonianza universale. Da soli non si può fare molto, se non c’è il sostegno di una comunione vera. Infine Gesù invita a dare testimonianza dell’esperienza personale di un dono ricevuto da Dio, di un gesto di misericordia. La conseguenza è la meraviglia che nasce in coloro che apprendono tale notizia, meraviglia che rivela una speranza nuova. Questo è lo scopo vero dell’informare altri di qualche cosa che è avvenuto: far suscitare la speranza che si stia realizzando ciò che attendiamo, o incoraggiare a fare qualche cosa insieme ad altri per realizzare ciò che è bene per tutti, o ancora, nel peggiore dei casi, non spegnere la certezza che almeno alla fine la storia entrerà nel Regno di Dio, nonostante i nostri disastri. S. Francesco di Sales è patrono dei giornalisti perché insegnava la verità del Vangelo attraverso la carta stampata, che diffondeva presso i luoghi pubblici; ma è anche colui che ha insegnato che si può diventare santi in tutte le condizioni di vita, ognuno secondo la propria situazione. Non è fuori luogo pensare che anche i giornalisti possano essere santi, o, se si vuole, con un termine più laico, galantuomini. Nel senso che insieme ad una provata professionalità, deve essere in loro una chiara visione della verità sull’uomo, e la sapienza del linguaggio che sa tener conto dei destinatari. Oggi siamo invitati a pregare perché tutti gli operatori della comunicazione siano sempre più consapevoli della grande responsabilità di cui sono investiti, e sappiano farvi fronte con grande impegno. E preghiamo anche perché venga riconosciuta la dignità del loro compito nella nostra società, in modo che possano operare liberamente e serenamente

OMELIA per la GIORNATA MONDIALE DELLA PACE 2007
Faenza, Basilica Cattedrale, 1 gennaio 2007
01-01-2007

Il racconto del Vangelo nella solennità della Madre di Dio si compone di due piccoli quadretti: i pastori che trovano il Bambino nella mangiatoia, come era stato detto loro dagli Angeli; e otto giorni dopo la circoncisione di Gesù con l’imposizione del nome. Nella festa di oggi la liturgia celebra la maternità divina di Maria, una prerogativa che Maria riceve da suo Figlio. Normalmente sono i figli a ricevere dignità dai loro genitori; in questo caso è Gesù, il Figlio dell’Altissimo, ad arricchire la madre con la sua dignità divina. Maria, che era stata concepita immacolata in previsione della redenzione operata da Cristo, avendo generato secondo la carne il Figlio di Dio diventa a giusta ragione Madre di Dio. I pastori vedono un bambino come tanti altri; eppure era lui il Salvatore, come il suo stesso nome stava ad indicare. Ed era nostro salvatore fin dalla sua nascita, sia perché assumendo la nostra natura ‘si è in un certo modo unito a tutto il genere umano’, sia perché ci ha fatto conoscere che la strada per salvare il mondo non è la forza, ma la debolezza, che troverà poi la sua realizzazione più vera nella croce. Nel messaggio per la giornata della pace di quest’anno il Papa richiama uno dei grandi principi della dottrina sociale della Chiesa, cioè il valore della persona umana. Se un tempo anche un laico poteva condividere il fatto che la persona umana non può essere mai un mezzo, ma è sempre un fine, oggi si rende necessario precisarlo. Papa Benedetto XVI ricorda un insegnamento di Giovanni Paolo II: ‘Noi non viviamo in un mondo irrazionale o privo di senso’ vi è una logica morale che illumina l’esistenza umana e rende possibile il dialogo tra gli uomini e tra i popoli’. E Giovanni Paolo II chiama ‘grammatica della pace’ l’insieme delle regole dell’agire individuale e del rapporto tra le persone e i popoli. Del resto corrisponde ad un vero riconoscimento della dignità dell’uomo sapere che tutto ciò che gli serve per vivere in pace tra i suoi simili è già compreso nella natura stessa dell’uomo; per il fatto stesso che un uomo viene concepito ha un insieme di diritti e di doveri che lo rendono uguale a tutti gli altri uomini, e lo mettono in una posizione particolare in mezzo al creato. Tali diritti e tali doveri non vengono dati dall’esterno, ma appartengono alla natura stessa dell’uomo, e debbono essere riconosciuti da tutti. Il Papa mette in risalto soprattutto il diritto alla vita e alla libertà. Anche questa volta viene fatto notare che ogni attentato alla vita è un attentato alla pace, e non si può difendere l’una senza difendere l’altra. E’ davvero avvilente dover constatare che chi difende la vita dal suo primo concepimento fino al suo tramonto naturale viene fatto passare per colpevole e gli si vorrebbe proibire di parlare, mentre i propagatori di una strisciante cultura di morte passano per difensori dei diritti umani. Questo è un esempio di che cosa vuol dire chiamare bene il male e male il bene. Per quanto riguarda la libertà, il Papa ricorda che la libertà religiosa è l’indicatore più sensibile che rivela il rispetto o la mancanza della libertà. E purtroppo in molti paesi non c’è il rispetto per la libera espressione della propria fede. Ci sono vari modi per ostacolarla: si va da una vera e propria persecuzione ad un ‘sistematico dileggio culturale nei confronti delle credenze religiose’. Il Papa aggiunge: ‘Il riconoscimento e il rispetto della legge naturale costituiscono anche oggi la grande base per il dialogo tra i credenti delle diverse religioni e tra i credenti e gli stessi non credenti. E’ questo un grande punto di incontro e, quindi, un fondamentale presupposto per un’autentica pace’. La pace come esito del rispetto della legge naturale, riflette anche l’armonia del creato. Vi è infatti un legame diretto tra legge morale naturale, rispetto della natura intesa come mondo creato da Dio, e la pacifica convivenza tra gli uomini. Il nesso diventa più evidente quando questa armonia viene meno. Pensiamo cosa comporta uno sfruttamento senza regole delle risorse energetiche naturali, sia come danno ambientale e impoverimento scandaloso di alcune popolazioni, sia come pericolo per la pace da parte di chi si vede escluso dalle necessarie fonti di energia. “Accanto all’ecologia della natura c’è dunque, dice il Papa, un’ecologia che potremmo dire umana, la quale a sua volta richiede un’ecologia sociale. E ciò comporta che l’umanità, se ha a cuore la pace, debba tenere sempre più presenti le connessioni esistenti tra l’ecologia naturale, ossia il rispetto della natura, e l’ecologia umana’. Non si tratta di un gioco di parole, ma di una riflessione che vuole smascherare la pericolosità di una insistenza ideologica, come avviene oggi, sulla difesa dell’ambiente e degli animali, senza arrivare coerentemente a difendere anche l’animale-uomo (almeno a livello dei cani e della foca monaca) e l’ambiente sociale. Una vera ecologia della pace deve tenere presente il rispetto di tutta la creazione, secondo il progetto che emerge da una considerazione della realtà naturale fatta senza condizionamenti ideologici o culturali, o interessi politici ed economici. La pace infatti è a rischio anche a causa della indifferenza verso la vera natura dell’uomo. Per alcuni contemporanei infatti non esisterebbe una specifica natura umana, ma tutti saremmo omologati sull’unica natura animale (contenti loro, verrebbe da dire’). Ma una debole concezione della persona, rende debole anche la difesa dei suoi diritti, con conseguente passaggio alla oppressione e alla violenza verso gli umani. La solennità della Madre di Dio non ci sottrae all’interesse fattivo per la pace fra gli uomini. E’ vero che il figlio della Vergine, il Salvatore del mondo non è venuto solo per regolare la nostra situazione temporale, ma per donarci una dignità nuova, quella di figli di Dio secondo la natura divina della quale ci ha fatto partecipi. Ma questo non nasconde la dignità della natura umana; anzi, proprio perché l’uomo è destinato alla vita eterna deve riscuotere rispetto e onore anche in tutto ciò che è legato al tempo. E la pace è anche l’insieme di tutti i beni che l’uomo cerca per sé e per tutti, perché nella pace si possa attendere al bene e alla vita di fratelli, figli tutti dell’unico Padre che è nei cieli.

OMELIA di NATALE (sintesi)
25-12-2006

‘Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio’. Non è stato solo per continuare a proporre il messaggio e l’insegnamento che i profeti avevano a lungo trasmesso in nome di Dio, che il Figlio di Dio si è fatto uomo. Si è trattato di un evento con un significato e un valore molto ampio, di un fatto che ha cambiato il rapporto tra Dio e l’umanità. Gesù è venuto non solo per parlare, ma per salvare e redimere tutto di noi. San Giovanni nel Vangelo, quando ha affermato che il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi, ha usato dei termini che il Papa Benedetto XVI sta riproponendo nel suo magistero, perché sono pieni di significato: O logos sarcs egheneto. Dove il termine logos non significa solo ‘parola’, come ha tradotto la Bibbia in italiano, ma anche pensiero, ragione, volontà, sentimento, amore; in poche parole tutto ciò che nel Figlio è oggetto dell’amore del Padre, e tutto ciò che il Padre riceve nel suo rapporto col Figlio. Tutto questo ha preso corpo, è entrato nel tempo, è stato portato in mezzo a noi nel Verbo incarnato. Dicevano gli Scolastici riguardo a Cristo: quod assumpsit redemit. Ha redento, salvato, purificato tutto ciò che ha preso su di sé, vivendo come uomo; pensiamo al lavoro, alla famiglia, all’amicizia, al corpo, alla sofferenza, alla morte’ tutto ciò che Gesù ha fatto nella sua vita è stato santificato, liberato dal male, ed è una cosa buona. In particolare Gesù, l’uomo-Dio, ha purificato ciò che dell’uomo è più tipico, più proprio, cioè l’intelligenza, la ragione, la volontà, e l’ha salvata dall’ignoranza e dall’errore attraverso la rivelazione. Gesù ha esaltato la ragione umana perché anche lui ne ha fatto uso, ragionando e discutendo con i farisei, argomentando secondo l’uso del tempo. Ma Gesù ci ha trasmesso il pensiero di Dio, parlandoci di noi stessi e del Padre che è nei cieli, e informandoci sulle cose più importanti che ci riguardano. E questo pensiero continua ad essere presente nella Chiesa, che lo manifesta in tutti i tempi per il bene di tutti. Rivelandoci il pensiero di Dio, Gesù non intende mortificare la ragione umana, ma vuole solo difenderla dal rischio dell’inganno e della menzogna. In un tempo in cui l’uomo è portato a rassegnarsi ad una cultura di morte, in cui non sa più come affrontare la devianza nei ragazzi e nei giovani, in cui si arriva a chiamare bene il male per non stare a discutere, abbiamo bisogno della luce di Dio per un retto uso della ragione. Poi, è chiaro, che Gesù non ha fatto solo questo: ci ha lasciato la sua Parola, la Chiesa e i Sacramenti; ma tutto ha fatto non sostituendo o cancellando l’opera del Creatore, ma perfezionando e arricchendo con la sua grazia. Un dono del Natale dovrebbe essere quello di indurci a pensare, a riflettere, a trovare un po’ di tempo da dedicare al silenzio per meditare sulle cose grandi di questi giorni. Se Dio ci ha amati fini a dare suo Figlio per noi, è segno che fa tutto per il nostro bene. Non dobbiamo avere paura di quel Bambino che oggi è nato, perché non viene a noi con forza e prepotenza, ma nella fragilità della sua piccolezza. E anche in questo modo ci è di esempio. Dio non aggredisce nemmeno i suoi avversari. I vari Erode che Gesù ha incontrato nella sua vita non li ha affrontati con la violenza. E anche ora nelle persecuzioni ancora tanto diffuse i cristiani sono sempre tra le vittime, non tra i carnefici. Questa è la forza imparata dal Crocifisso, che smonta ogni violenza qualsiasi origine abbia, politica, ideologica, culturale e anche religiosa. La ragione umana, facoltà che distingue l’uomo da ogni altra creatura sulla terra, è la via attraverso la quale si costruisce l’incontro e il dialogo, per una intesa pacifica tra gli uomini e tra i popoli. Una insidia pericolosa è data dal fondamentalismo e dall’irrazionalità, che finiscono per mortificare l’uso della vera ragione umana. La rivelazione cristiana non entra in contraddizione con la ragione, ma la illumina e la protegge dall’ignoranza e dall’errore. Un argomento di ragione non deve essere respinto, come oggi spesso avviene, perché chi lo presenta è anche una persona credente. Se per un verso non si deve fare appello alla rivelazione in un dialogo fra uomini di culture diverse, per altro verso non deve nemmeno essere un impedimento preconcetto avere a sostegno delle proprie convinzioni anche dei motivi di fede oltre a quelli di ragione. Il Verbo di Dio, il Logos, si è fatto carne non per mortificare l’uomo, ma per esaltarne la dignità di figlio di Dio e per far conoscere che Dio è Padre e amico vero di ogni uomo.

OMELIA per l’ORDINAZIONE dei DIACONI PERMANENTI
Faenza, Basilica Cattedrale 28 ottobre 2006
28-10-2006

Il racconto della guarigione del cieco di Gerico, più che un miracolo è una parabola del cammino di fede di un discepolo del Signore. Il cammino di fede nasce dall’ascolto, diviene invocazione e preghiera; c’è poi l’accoglimento di una chiamata, l’incontro personale con Gesù e infine la sequela. Questo cammino è proposto all’uomo che si trova nella sua condizione di miseria e cecità di fronte a Dio, il quale però ha già progettato la sua salvezza. Geremia profeta ci ha descritto la visione della nuova condizione in cui si verranno a trovare il cieco e lo zoppo, la donna incinta e la partoriente; erano partiti nel pianto, Dio li ha ricondotti tra le consolazioni. La presenza di Gesù il Salvatore realizza ciò che il profeta ha previsto: Il Signore ha salvato il suo popolo, un resto di Israele. Nel percorso che anche il cieco Bartimeo compie, si inserisce decisiva l’azione della gente, di chi lo vuol far tacere nella sua invocazione, e di chi lo incoraggia. C’è sempre qualcuno che vuol risolvere il desiderio di verità, il bisogno di luce, la ricerca dell’infinito che è in ognuno di noi soffocando ogni anelito, mettendo a tacere tutto, rispondendo con surrogati. C’è un momento in cui l’uomo, anche quello più disgraziato, rientra in se stesso e sente il bisogno di aggrapparsi a qualcuno che gli passa accanto. A volte è Dio stesso che ci visita con la sua presenza che può essere una gioia o una croce; la voce della coscienza che ci chiama dall’interno, oppure una parola che è pronunciata anche per noi. Dio ci passa accanto, e non è mai per caso. Ma per soffocare la voce di Dio che passa sono tanti che si danno da fare: si cerca di non far sentire la sua voce aumentando il frastuono, o di risolvere la situazione nello stordimento impedendo di pensare. ‘Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me’. Per passare dall’invocazione all’accoglienza della chiamata di Gesù occorre l’aiuto della comunità. ‘E chiamarono il cieco dicendogli: Coraggio! Alzati, ti chiama!’ La comunità rende più percepibile la chiamata di Dio e incoraggia nella risposta. E’ a questo punto che mi pare si possa collocare anche il ministero del diacono. Il servizio del diacono nella Chiesa si pone accanto a chi è povero e solo, per fare arrivare l’aiuto della comunità, come segno dell’amore del Padre. Il diacono sa che non sarà mai lui colui che potrà risolvere i problemi della gente, ma avrà sempre l’umiltà di aiutare a trovare la strada per arrivare a chi può rispondere. A volte si tratterà di coinvolgere nei modi dovuti le risorse della comunità cristiana, oppure di arrivare anche alle strutture della società civile; altre volte si dovrà accompagnare il fratello a scoprire l’amore del Signore in un incontro personale con Lui. Mettersi in mezzo tra le necessità dell’uomo e la salvezza di Dio è il servizio che Cristo ha fatto, e che ha trasmesso alla Chiesa, e che nella Chiesa è affidato in particolare ad alcuni ministeri, perché non venga mai meno la sua realizzazione efficace. Mettersi accanto ad un fratello, vuol dire essere disposti a fare il cammino con lui; solo così si può aiutare in modo credibile e trovare nello stesso ministero l’occasione di santificazione personale. Il servizio del diacono va quindi vissuto incominciando dall’ascolto di Dio che passa, e si manifesta nella sua Parola e anche nel più piccolo dei fratelli. Siamo tutti ciechi bisognosi di luce per riconoscere nelle persone e negli eventi la presenza di Dio. Quando il diacono legge il Vangelo, lo legge anzitutto per sé e poi per tutti. Dall’ascolto si arriva alla preghiera, all’invocazione di aiuto. La preghiera che il diacono è chiamato a fare soprattutto con la liturgia delle ore, in qualche caso sarà l’unica risposta efficace che si può dare, e allora non ci si dovrà rammaricare di non aver potuto fare altro. A volte Dio ci fa incontrare qualche situazione impossibile per stimolare la nostra preghiera, per ricordarci che è Lui che salva l’uomo, per farci capire che quando abbiamo fatto tutto ciò che ci è chiesto dobbiamo dire: siamo servi inutili, perché senza di Lui non possiamo fare nulla. Dalla preghiera viene anche la forza per rispondere alla chiamate di Gesù giorno per giorno, nella fedeltà alla chiamata alla vita cristiana e al ministero nella Chiesa. E’ necessario infatti ogni giorno ripetere al Signore la nostra disponibilità, per i fratelli che incontreremo. Per rispondere a Gesù sarà necessario anche lasciare le nostre povere sicurezze, come ha fatto Bartimeo con il suo mantello. Per il povero il mantello è tutto quello che ha per proteggersi dal freddo e dalla pioggia. Eppure viene lasciato, perché ormai non serve più quando c’è Gesù. Lui avrà una salvezza più ampia, che va alla radice del nostro male, e ci darà la luce della fede per vedere. Quando si lascia qualcosa di nostro per il Signore, si riceve cento volte tanto. La libertà dalle cose e la fede ci faciliteranno l’incontro con Gesù stesso, in modo personale, vivo e soddisfacente. Seguire Lui infatti significa realizzare la propria vocazione personale, nel progetto che Dio ha per ciascuno. Per fare un servizio nella Chiesa molte volte non è necessario fare cose diverse da quelle che siamo chiamati a fare per essere cristiani, cioè per seguire la via della nostra santificazione richiesta dal Battesimo; già quello serve alla comunità, ai fratelli di fede e a coloro che cercano Dio. Quando c’è una collocazione in un ministero, in particolare in un ministero ordinato come il diaconato, questo è per coloro per i quali è stato preparato. ‘Nessuno può attribuirsi questo onore, se non chi è chiamato da Dio, come Aronne’ potremmo dire in analogia a quanto è detto nella lettera agli Ebrei per il sommo sacerdote. Anche il diacono, ‘è in grado di sentire giusta compassione per quelli che sono nell’ignoranza e nell’errore, essendo anch’egli rivestito di debolezza’, anche se sarà poi il sacerdote ad offrire per tutti sacrifici per i peccati. Il ministero del diacono porta l’amore di Dio anche fuori della comunità cristiana, in una testimonianza di carità che non fa preferenze di persone, e allarga i confini della Chiesa secondo la misura infinita dell’amore. Ringraziamo allora il Signore che ci dona fratelli disponibili per il ministero del diaconato, e ringraziamo anche quanti rispondono alla chiamata, affinché nella nostra Chiesa non venga mai meno lo spirito di servizio, per portare a tutti l’amore di Cristo, speranza del mondo.

OMELIA per la CONSEGNA DEL CREDO ai CRESIMATI
Roma, Basilica di Santa Maria in Traspontina, 6 ottobre 2006
06-10-2006

Che cosa è accaduto nel giorno della Pentecoste? Lo Spirito Santo si è manifestato nella venuta sugli Apostoli con due eventi: le lingue di fuoco e la comprensione da parte di tanti stranieri delle meraviglie di Dio annunciate in un unico linguaggio. Lo stesso Spirito viene partecipato a tutti, e in tutti accende lo stesso fuoco che illumina e riscalda; e nello stesso tempo lo Spirito ricostruisce l’unità dei diversi popoli attorno alle grandi opere di Dio, che ci ha amato fino a mandarci suo Figlio. Voi nella Cresima avete ricevuto lo Spirito Santo, come gli Apostoli; in voi è stato acceso un fuoco che non deve spegnersi mai; avete in voi la possibilità di vivere da figli di Dio e di testimoniare le opere che Dio ha operato in voi. Lo Spirito di Dio agirà in voi, se voi saprete collaborare con lui mediante la vostra fede. Con la consegna del Credo, che oggi vi viene fatta in Roma, accanto alla tomba dell’apostolo Pietro voi iniziate il vostro cammino per arrivare ad una professione pubblica della fede. Dovrete essere in grado di sostenere la vostra fede di fronte agli altri, nella comunità cristiana e nel mondo. A Roma vengono persone da ogni parte del mondo, figli tutti della Chiesa di Cristo; qui fate l’esperienza della universalità della Chiesa. Nel Vangelo abbiamo sentito cosa ha risposto Pietro, quando Gesù ha chiesto: voi, chi dite che io sia? La risposta di Pietro non era solo una frase teologicamente esatta, ma era anche la ragione per cui seguiva Cristo, il Messia; lui stava già con Gesù da tempo, lo ascoltava e faceva quello che gli veniva chiesto; Gesù lo aveva già conosciuto, al punto di metterlo a capo della Chiesa. Poi Gesù continuerà la catechesi sulla sua vera identità, che andava precisata. Ma qui ci preme più quanto Gesù dice a Pietro sulla professione di fede: ‘Né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli’. La fede è un dono dell’amore di Dio Padre; è un grande dono che va custodito, approfondito con la conoscenza delle verità di fede, e rafforzato con la testimonianza. Giovanni Paolo II ha detto: ‘La fede si rafforza donandola’, in un impegno missionario, in una vita esemplare, nella consuetudine con il Signore Gesù mediante l’ascolto della sua Parola, la preghiera e i sacramenti. Tutto questo trova consistenza nella gioia dell’appartenenza a Cristo, mediante la Chiesa e il gruppo di amici con i quali si vive nella parrocchia. Quindi l’impegno che oggi voi assumete, è anche molto concreto perché comprende la fedeltà al vostro gruppo e alla vostra parrocchia; chiedete di essere aiutati a vivere da cristiani nella Chiesa e per il mondo. Dalla risposta che voi saprete dare al Signore in questi anni, dipenderà la risposta che darete a Lui quando vi chiamerà a realizzare il progetto che Egli ha su di voi. E se saprete assecondarlo, avrete messo il fondamento per la vostra gioia. Dio vi conceda di scoprire il suo disegno su di voi, e di collaborare a realizzarlo nella libertà a cui Cristo vi ha liberati