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OMELIA per la GIORNATA della VITA CONSACRATA e APERTURA del CENTENARIO di S.UMILTA’
Faenza, Basilica Cattedrale 2 febbraio 2010
02-02-2010

‘C’era anche una profetessa, Anna’ Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il matrimonio, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni’.

Può sembrare una figura di contorno, la profetessa Anna, nella vicenda della presentazione al tempio di Gesù, accolto dal vecchio Simeone che domina la scena. Eppure anche Anna, giunta per ultima, svolge la sua parte: ‘si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme’. Il vangelo di Luca ci dice anche che questa anziana vedova era una donna consacrata al Signore: ‘Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere’.

Mi è sembrato che la profetessa Anna potesse diventare per noi l’icona che unisce le tre diverse attenzioni che siamo chiamati a vivere in questa celebrazione: la presentazione di Gesù al tempio; la Giornata della vita consacrata; il settimo centenario della morte di S. Umiltà da Faenza.

A quaranta giorni dal Natale la luce di Cristo è già stata manifestata al mondo, al popolo di Dio e ai discepoli attraverso alcuni gesti significativi di Cristo ricordati dalla liturgia. Nella celebrazione di oggi la luce viene posta nelle nostre mani perché tutti ne siamo illuminati e la facciamo brillare per rivelare Gesù alle genti.

Gesù entra nel tempio, la casa di suo Padre, per essere offerto al Signore nel rispetto della legge di Mosè. Questa volta viene riscattato, ma quando arriverà la sua ora, l’offerta di Gesù diventerà l’unico e perfetto sacrificio della nuova ed eterna alleanza. È il motivo per cui Gesù è entrato nel mondo; è la speranza che viene accesa in coloro che lo seguono; è la vittoria che si prospetta davanti a Lui: ‘Chi sopporterà il giorno della sua venuta? Chi resisterà al suo apparire?’. È la lotta contro il maligno che Gesù affronta per noi, per liberarci dal male e dalla morte. ‘Infatti, proprio per essere stato messo alla prova ed avere sofferto personalmente, è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova’. Tutti abbiamo bisogno della sua salvezza, tutti siamo associati nella sua redenzione.

Il mistero del Signore, che entra nel tempio per anticipare l’offerta del mistero pasquale, trova la presenza di due personaggi che vengono premiati nella loro fede e nella speranza manifestata nell’attesa di Lui. La figura di Anna in modo particolare sembra anticipare profeticamente la condizione della vita consacrata. Questa infatti è anzitutto attesa del Signore che viene; attesa per un incontro esclusivo e definitivo in un vincolo sponsale. Il Signore è cercato, desiderato, servito, pregato e adorato, secondo la vocazione e il carisma di ciascuno.

I vescovi italiani nel messaggio di quest’anno mettono in risalto un aspetto comune fra tutti i consacrati chiedendosi: ‘La vita consacrata, non è forse una chiamata a essere testimoni dell’essenziale?’ Nel mondo frantumato e disperso di oggi, che insegue tanti miraggi incapaci di soddisfare la sete di infinito che è nel cuore dell’uomo, il richiamo sulla necessità di testimoniare l’essenziale fa riscoprire anche la valenza missionaria della vita consacrata. Non si tratta infatti di fuggire dal mondo per difenderci delle sue insidie, ma si tratta di mettersi in mezzo ai fratelli e alle sorelle di tutta l’umanità per indicare con dei segni convincenti il cammino da percorrere nella luce di Cristo per la vera felicità dell’uomo.

Sono i Santi che ci insegnano la via di questa testimonianza. I vescovi ancora esprimono l’invito a conoscere e approfondire la storia della santità, fonte di grande illuminazione e conforto. Il Papa ha indicato il santo Curato d’Ars come modello di vita per i presbiteri, insieme ad altre figure che sta illustrando nelle sue catechesi. Questa sera abbiamo davanti a noi anche la figura di S. Umiltà, una delle grandi mistiche del duecento,  per ringraziare il Signore per le grandi cose che ha operato in lei, e per gli esempi di santità che ci ha lasciato nelle varie situazioni della sua vita.

Ella era desiderosa di ‘intagliare la propria vita sull’essenziale’, e pensava ad una vita tutta dedicata al Signore. Fu invece indotta ad avviarsi nella vita matrimoniale, di cui ha provato le gioie della sposa e della madre, ma in seguito anche le sofferenze per la morte dei due figli e per la successiva malattia e morte del suo sposo. Trovatasi libera di seguire il suo ideale di consacrarsi al Signore totalmente, ha provato le difficoltà per la ricerca della sua via. Fondatrice di due monasteri, ha percorso più volte i cento kilometri tra Faenza e Firenze per seguire gli sviluppi delle sue fondazioni. Di lei abbiamo i testi dei Sermoni, che sono gli insegnamenti rivolti alle sue monache, i quali ci rivelano pure le sue esperienze mistiche.

La figura della profetessa Anna, che rimasta vedova ha servito Dio notte e giorno con digiuni e preghiere, si ritrova in Rosanese Negusanti, che in religione assumerà il nome di Umiltà. Il passaggio dalla vita matrimoniale alla vita consacrata si ritrova ancora in altri casi. Basti pensare alla Beata Angela da Foligno, un’altra grande mistica del duecento, anch’ella sposa poi vedova e consacrata, morta un anno prima di S. Umiltà.

La vita singolare di queste Sante ci insegna in quale direzione dobbiamo cercare l’essenziale per la nostra vita. Il percorso può essere molto vario, ma se siamo chiaramente orientati il Signore trova il modo per farci arrivare sul cammino giusto.

Essere testimoni dell’essenziale è possibile a tutti, sia che la consacrazione abbia le caratteristiche della vita attiva, sia che abbia quelle della contemplazione. Si tratta di scegliere la parte migliore, di cercare prima il Regno di Dio e la sua santità, di sapere che senza Gesù non possiamo fare nulla. Questi sono richiami del Signore che valgono per tutti e possono essere raggiunti in modi diversi secondo il proprio stato di vita. I santi ce lo dimostrano concretamente.

Per concludere raccogliamo da uno dei sermoni di S. Umiltà una riflessione che ci mostra l’essenziale da lei cercato e indicato anche a noi: ‘Non c’è notte per chi ama: il cuore di coloro che amano Cristo, sole di giustizia, sempre si rifugia là dove l’umana incarnazione di Cristo si pone oltre ogni altro amore. Il mio regale maestro, che ama sempre guadagnare, ha fatto innanzi tutto una strada dove ha posto per noi ogni sicurezza. Così noi possiamo camminare sicuri, non c’è modo di peccare. Capite bene queste parole!’ (dal Sermone VII,31).

Non c’è notte per chi ama: per chi ama il Signore, per chi si rifugia nel cuore del Verbo incarnato, per chi cammina nella strada resa sicura dalla sua presenza, per chi quindi sta lontano dal peccato. Questo è davvero l’essenziale che ci deve premere e che chiediamo di raggiungere anche per intercessione di S. Umiltà. E questo auguriamo nella preghiera a tutti i consacrati e le consacrate che adesso rinnovano i loro voti, in particolare a quanti ricordano ricorrenze giubilari della propria professione religiosa.

OMELIA per il I ANNIVERSARIO della morte di Mons. MARIO BABINI
Faenza, Basilica Cattedrale 15 ottobre 2009
16-10-2009

Ricordare don Mario ad un anno dalla morte resta per noi un impegno di suffragio per la sua anima, che adempiamo con l’Eucaristia che stiamo celebrando, in questa chiesa cattedrale che fu il luogo principale del suo ministero, fintanto che la salute glielo ha consentito. Qui celebrava la Messa e predicava, qui confessava e guidava le anime nella vita spirituale, anche se il suo ministero per la verità si è svolto anche in altri luoghi, compresa casa sua.

Insieme alla preghiera di suffragio riconoscente e doverosa, dobbiamo impegnarci a fare tesoro di quanto il Signore attraverso di lui ha detto alla nostra Chiesa, con la sua testimonianza viva e anche con gli scritti che ha lasciato.

Ci si può fare un’idea della preziosità del suo messaggio dagli scritti riportati nel cartoncino che la famiglia ha preparato per questo anniversario. La forma della preghiera rivolta direttamente a Dio, dice la confidenza con cui egli sapeva esprimere nella fede i sentimenti più delicati e le riflessioni più profonde sulla vita e sulla morte, sulla vocazione e il suo ministero, sui familiari e su coloro che ha incontrato nella sua vita.

Don Mario non ha lasciato un testamento spirituale. Lo afferma lui stesso in calce ad un breve appunto in data 11 febbraio 2004: ‘Queste righe sono per quelli che mi hanno chiesto con insistenza un testamento spirituale. Non mi è ancora venuta l’ispirazione: lascio perciò queste poche parole’.

Per supplire a questa lacuna, si è pensato di pubblicare alcuni testi, che rendono con molta efficacia il suo mettersi di fronte alla morte, con grande fiducia nella misericordia del Padre, e con uno sguardo pieno di gratitudine sulla propria vita.

Il testo più efficace è indubbiamente il primo: ‘Ecco, io vengo’. Ma preferisco fare ora una breve riflessione sull’ultimo, proprio per il carattere di testamento che di fatto assume.

In questo scritto colpisce subito il riferimento esplicito alla SS.ma Trinità. Non è infatti consueto nelle nostre preghiere rivolgersi al Dio Trino della rivelazione cristiana. In questo testo si avverte il modo spontaneo di don Mario di tenere presente uno dei misteri principali della nostra fede. Il testo si conclude con una dossologia perfetta: ‘Gloria al Padre, per mezzo del Figlio, nella grazia dello Spirito Santo, con Maria e in Maria. Amen’. Le tre Persone della SS.ma Trinità non sono soltanto accostate alla pari, come normalmente si fa, ma vengono ricordate nella relazione che intercorre tra di loro e nella missione dell’opera salvifica.

Tutto ritorna al Padre: la proclamazione della gloria, il cammino della vita, l’essere accolto sulla soglia della casa del Cielo. Questo viene manifestato con una tenerezza filiale che si esprime con immediatezza: ‘Fin da giovane, o Signore, ho riposto in te la mia speranza, per il dono della fede accolto dal cuore di Mamma e Babbo’. Il cuore di Mamma e Babbo, (entrambe le parole sono scritte con la lettera maiuscola quasi a riconoscere l’origine divina del ruolo da essi svolto), richiama direttamente il cuore di Dio: ‘Oh Dio Amore, Trinità santa, che adoro, che amo, in cui mi immergo, possa per sempre inebriarmi in Te nella Città dei Santi’.

Don Mario si è messo alla presenza di Dio, e a Lui si rivolge esprimendo ciò che il pensiero della vita che volge al termine gli suggerisce. Non emerge nessuna paura, nessun rammarico per il passato, nessun rimpianto per ciò che dovrà essere abbandonato. Ciò che fiorisce in questa breve riflessione è solo amore, fiducia, serenità, speranza. ‘Ora sono avanti negli anni e il vigore si avvia al declino: non lasciarmi da solo, o Signore, ma continua a tenermi per mano’. Come non riconoscere in questa breve invocazione l’eco di quella dei discepoli di Emmaus rivolta a Gesù che aveva camminato con loro: ‘Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto’ (Lc 24,29)?

La fiducia con cui viene chiesta questa vicinanza nel momento ultimo è fondata sull’esperienza di tutta la vita: ‘Tu per mano, mi hai preso e mi hai guidato: spero dalla tua bontà di essere accolto insieme ai fratelli e alle sorelle, che mi hai fatto dono di incontrare nella mia lunga vita su questa terra e a tutti gli uomini tuoi figli’.

Si manifesta qui un’altra delle caratteristiche di don Mario: non dimenticare mai nessuno, né coloro che ha conosciuto, né coloro che solo Dio conosce. Pensa agli altri istintivamente e li affida alla bontà del Padre, tutti indistintamente. Direbbe S. Paolo: ‘Forse Dio è Dio soltanto dei Giudei? Non lo è anche delle genti? Certo, anche delle genti! Perché unico è Dio’.

‘Oh Padre, tu sei l’orizzonte ultimo del mio pellegrinaggio verso la Casa, dove Tu sulla soglia mi attendi’. Anche qui una risonanza evangelica evidente, della parabola del Padre misericordioso che attende il figlio prodigo, che ritorna a casa.

Tutto il cammino della vita e del perdono verso il Padre che è nei cieli ha un protagonista che l’ha ottenuto con la sua vita morte e risurrezione. ‘È Gesù, il Figlio tuo fatto uomo, che col dono dello Spirito mi porta a Te, dopo averci dato, in un gesto infinito di amore, la Mamma sua, come Mamma di tutti noi peccatori’. ‘Mi porta a Te, dopo averci dato’: una sgrammaticatura che salva però la verità della salvezza personale, nella comunione della Chiesa, di cui la Vergine Maria è Madre.

Lo Spirito Santo, dopo essere stato ricordato nella sua opera santificatrice, è invocato anche come Dio Amore, nell’intimità della Trinità santa.

Infine il ricordo di Maria, la Mamma affidata a noi da Cristo sulla croce, che svolge la sua intercessione materna insieme alla mediazione del Signore Gesù. ‘Con Maria e in Maria’: il ricordo della Madre secondo l’ordine della grazia è fatto con sobria precisione teologica, e ugualmente con grande affetto.

‘Non mi è venuta ancora l’ispirazione’. Possiamo davvero riconoscere la modestia con cui don Mario ci ha lasciato questi spunti. In essi la vita nel tempo e nell’eternità è presentata come un dono che nasce, cresce e cammina nell’amore per riposare nel grembo della SS.ma Trinità, con Maria nella Città dei Santi.

Il brano è firmato: ‘Mario Babini, prete diocesano’. Può essere una cosa ovvia, ma l’averlo scritto è segno che non lo è, nel senso che don Mario ha voluto mettere in evidenza il suo rapporto con la Chiesa diocesana in quanto presbitero. Chiesa che ha amato e servito nella sua ricchezza e nella sua povertà, ma sempre con affetto perché è nostra madre.

È bello inoltre notare che il giorno precedente la sua morte si celebrava la festa dell’anniversario della dedicazione della Chiesa cattedrale, cioè la festa della Chiesa diocesana.

Nel brano del Vangelo di Luca Gesù ha rimproverato coloro che uccidono i profeti e coloro che non li ascoltano: ‘Avete portato via la chiave della conoscenza; voi non siete entrati, e a quelli che volevano entrare voi l’avete impedito’. Il Signore in tutti i tempi diffonde i messaggeri del suo amore. Tocca a noi accoglierli e ascoltarli, e lasciarli parlare per tutti coloro che desiderano entrare in rapporto con Dio. Anche noi possiamo ripetere con don Mario: ‘Aumenta la nostra sete di conoscerti; acuisci il desiderio di incontrarti’.

OMELIA per l’ORDINAZIONE DIACONALE di FRA’ MARCO FREDDI
Alfonsine, CHiesa di S.Maria - 5 settembre 2009
07-09-2009

Gesù si trova all’estero, fuori del territorio di Israele, dove ha guarito la figlia di una donna pagana, e rimane in terra pagana, nella Decapoli, mentre si dirige verso il lago di Genezaret. Probabilmente anche il sordomuto che gli conducono da guarire è pagano. Anche questo è un piccolo segno che Gesù è venuto per salvare tutti, andando oltre i confini che riducevano il popolo eletto al solo popolo ebraico.

Gesù, che altre volte ha guarito con un semplice atto della sua volontà e un gesto compiuto anche da lontano, questa volta compie un rito, cioè pone dei gesti uniti a parole: effatà, apriti. Vuole quindi dare una particolare importanza a quello che sta facendo, per indicare forse che si stavano realizzando i tempi nuovi che Isaia profeta aveva preannunziato: ‘Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi’. Sono i segni della nuova creazione, di fronte alla quale si potrebbe ripetere come nella prima creazione: ‘Dio vide che era cosa buona’. In modo analogo anche la gente diceva di Gesù: ‘Ha fatto bene ogni cosa’.

Mi pare che possa essere questa la prima considerazione da fare in questa ordinazione diaconale di Fr. Marco: anche quanto sta avvenendo ora in questa chiesa parrocchiale di S. Maria di Alfonsine appartiene al piano della salvezza, ed è un segno di quanto Dio sta operando nel mondo per raddrizzare le cose, servendosi della povera collaborazione degli uomini. Alla fine diremo anche noi: ‘Gesù ha fatto bene ogni cosa: ha chiamato Fr. Marco a servirlo nella sua Chiesa, per testimoniare l’amore verso i piccoli, i poveri e i sofferenti’.

Anche tu appartieni a un progetto di Dio, iniziato con la nascita nella tua famiglia che ti ha accolto e ti ha educato. Questo progetto poi si è sviluppato nella comunità cristiana di Alfonsine che ti ha fatto crescere nella fede, e si è precisato in incontri e percorsi che ti hanno portato a trovare nella famiglia francescana il modo concreto di vivere la tua vocazione. Di tutto questo hai voluto rendere grazie qui, questa sera, vivendo in mezzo ai tuoi parenti, amici e fratelli di fede l’Ordinazione diaconale, per dire a tutti la gioia di sentirti strumento nelle mani di Dio in mezzo ai tuoi fratelli.

Anche le parole del salmo ci hanno ricordato che il Signore continua ad agire per mezzo di noi: ‘Il Signore ridona la vista ai ciechi, il Signore rialza chi è caduto, il Signore ama i giusti, il Signore protegge i forestieri’, e tutto questo lo fa attraverso l’amore che ci ha donato, l’unica vera novità che può cambiare il mondo.

Quello che adesso nel sacramento dell’Ordine viene chiesto a Fr. Marco, è stato chiesto a tutti nel battesimo. Di fronte al racconto evangelico della guarigione del sordomuto, è bello ricordare che anche nel nostro battesimo fu ripetuto il gesto di Gesù. Il celebrante come ultimo gesto che rivelava quanto nel sacramento era avvenuto, toccando le orecchie e le labbra del battezzato disse: ‘Il Signore Gesù, che fece udire i sordi e parlare i muti, ti conceda di ascoltare presto la sua parola e di professare la tua fede, a lode e gloria di Dio Padre’.

La fede nasce dall’ascolto, dirà S. Paolo. E questa è la seconda cosa importante nell’ordinazione del diacono. Tra poco il Vescovo consegnandoti il Vangelo dirà: ‘Ricevi il vangelo di Cristo del quale sei divenuto l’annunziatore: credi sempre a ciò che proclami, insegna ciò che credi, vivi ciò che insegni’. La fede e la vita sono a sostegno dell’annuncio della parola di Dio, che non può essere proclamata come un cembalo che squilla, perché se non c’è la carità, anche la parola di Dio è vuota.

Come vedi, il diacono scelto dagli Apostoli per il servizio delle mense, riceve il mandato di annunciare il Vangelo, con le parole e con la vita. Non ci può essere nella Chiesa un servizio vero che non nasca dall’Eucaristia e che non porti in dono la Parola di Dio. Poi ogni ministero avrà una sua connotazione particolare per la vita della comunità, ma ognuno nasce da quella sorgente e porta a quella conoscenza.

Come religioso francescano tu sei discepolo del grande diacono Francesco d’Assisi, il quale rimase diacono probabilmente per umiltà, non sentendosi degno di diventare presbitero, ma forse anche per ricordare alla Chiesa che esiste il ministero del servizio ai poveri, che assume un valore particolare se vissuto come frutto dell’amore di Cristo. Il Figlio dell’uomo che è venuto per servire e non per essere servito, ha voluto nella sua Chiesa un ministero che realizzasse come segno sacramentale questo dono. A me piace pensare che anche S. Francesco rimanendo diacono, abbia voluto dare risalto nella Chiesa al servizio a Cristo Signore nei piccoli e nei poveri.

E qui viene l’ultima considerazione suggeritaci da S. Francesco povero e umile, e dal passo della lettera di S. Giacomo: ‘Dio, non ha forse scelto i poveri agli occhi del mondo, che sono ricchi nella fede ed eredi del Regno, promesso a quelli che lo amano?’ Il diacono, in questo caso aiutato dalla spiritualità francescana, mantiene nella comunità cristiana l’attenzione ai poveri, perché non succedano discriminazioni, ma anzi si conservi la via maestra di Cristo, il quale da ricco che era si è fatto povero per noi.

L’attenzione ai poveri non è solo una esigenza per una emergenza sociale mondiale; questo, caso mai, rende più urgente mettere in opera tutte le risorse e collaborare con tutti coloro che sono responsabili della pace.

La scelta dei poveri, ai quali portare anzitutto la carità della verità di Cristo salvatore, nei quali vedere la via della Chiesa per la nuova evangelizzazione è soprattutto in questo nostro tempo necessaria per dare speranza a chi soffre, a chi è solo, è chi è privato della dignità umana a causa della miseria, della fame e della guerra.

Vogliamo chiedere per Fr. Marco la grazia di saper servire sempre Cristo nei poveri, di custodire il dono del diaconato anche quando sarà presbitero e di vivere la povertà nell’umiltà della vita francescana.

La Vergine Maria, Serva del Signore che si è messa a disposizione di Dio e lo ha riconosciuto come colui che disperde i superbi e innalza gli umili, ti accompagni con il suo amore materno e ti benedica da questa chiesa a Lei dedicata, oggi e sempre.

OMELIA per l’APERTURA dell’ANNO SACERDOTALE
Faenza, Basilica Cattedrale, 19 giugno 2009
20-06-2009

L’insistenza con cui S. Giovanni ci ha presentato il cuore trafitto di Cristo sta a indicare l’importanza che egli ha dato a questo fatto: è diventato il punto focale nel mistero di morte e di risurrezione del Signore, che ci rivela l’amore salvifico di Cristo per il Padre, amore con il quale Gesù ha meritato la nostra salvezza. Il cuore dal quale escono sangue e acqua, è stato visto dai Padri della Chiesa come l’amore di Cristo che dona al mondo la Chiesa, e in particolare i sacramenti dell’Eucaristia e del Battesimo.

È chiaro che vengono messi in risalto aspetti simbolici, per significare che dal Mistero pasquale è sorta la Chiesa, comunità di salvezza.

E ancora: ‘Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto’. Ancora si mette in risalto la trafittura del cuore, verso il quale si chiede un atto di fede. Così era stato nel deserto quando lo sguardo di fede verso il serpente che Mosè aveva posto in alto, otteneva la salvezza.

Cristo che dalla croce apre il suo cuore è al centro pure della celebrazione della solennità del sacratissimo Cuore di Gesù in questo anno particolare, che il Papa ha voluto donarci. Infatti i doni che il Signore ha fatto alla Chiesa e attraverso la Chiesa a tutti gli uomini mediante il sacerdozio ministeriale, sono al centro della nostra attenzione fin da questa giornata. S.Paolo ci ha detto di essere stato mandato per ‘annunciare alle genti le impenetrabili ricchezze di Cristo’. Troviamo quindi l’importanza dell’annuncio della parola di Dio, soprattutto perché manifesta l’amore che il Padre ha mostrato in Cristo per tutti gli uomini, cosicché possiamo ‘conoscere l’amore di Cristo che supera ogni conoscenza’.

Si tratta quindi di riconoscere l’azione di Cristo che ci salva con un atto infinito di amore. Il cuore visto come sede ideale dell’amore umano e divino di Cristo, diventa il simbolo di questo amore che continua nei sacramenti della Chiesa, che vediamo realizzati soprattutto  per il carisma presbiterale. Non vogliamo per questo trascurare tutto quello che c’è nella Chiesa, ma, data la circostanza, mi pare che sia bello mettere in risalto come attraverso l’opera del sacerdote arriva a noi l’amore concreto, reale e personalizzato del Signore Gesù.

È così fin dal sacramento del Battesimo, con il quale siamo chiamati nella Chiesa (anche se il Battesimo può essere dato da chiunque); pensiamo poi al sacramento del perdono, che il Papa nella sua lettera mette in risalto in modo particolare; pensiamo all’Eucaristia, che è il sacramento dell’amore del Signore Gesù; e così tutta la grazia che viene attraverso il ministero del presbitero.

Questo anno il Papa ce lo dona perché noi poniamo attenzione alla preghiera per la santificazione dei sacerdoti. Ricorda il Papa che il ministero è efficace per la grazia di Cristo; però è anche vero che c’è una efficacia soggettiva legata alla santità personale: come dire che siamo interessati tutti in prima persona ad avere dei sacerdoti santi. Ecco allora l’importanza della preghiera per la santificazione dei nostri sacerdoti.

Un anno questo per conoscere la preziosità del servizio dei saacerdoti; un servizio che è sempre meno considerato dal mondo, che viene screditato, che non sempre è capito; i valori sui quali si fonda non sempre sono condivisi. Ricuperare, almeno da parte del popolo cristiano, la preziosità della presenza del sacerdote in una comunità, per il suo ministero, per il servizio all’unità della comunità stessa, per farla vivere nella carità verso Dio e verso il prossimo, per dare valore ad una vita spesa nella Chiesa per il bene degli uomini.

Un anno sacerdotale per saper discernere i ruoli diversi che ci sono nella Chiesa e trovare la collaborazione. Possiamo ricordare la collaborazione tra presbiteri, diaconi, laici battezzati e cresimati, perché la comunità nella sua varietà sia arricchita di tutti i doni.

Infine un anno per mostrare la gratitudine ai nostri sacerdoti per aver donato la vita al Signore, per poter servire il popolo santo di Dio.

Nelle notizie che vengono date alla gente in questi giorni, non manca l’attenzione alle mancanze, alle miserie che ci sono anche in questi uomini che hanno donato la vita al Signore. Anche nella sua lettera il Papa vi fa un accenno garbatissimo, delicato, che del resto era difficile tacere, ma per dire: ringraziamo allora tutti quelli, e sono la stragrandissima maggioranza, che sono fedeli, che si spendono per il proprio popolo in modo pieno e generoso. Ma siamo anche addolorati e preoccupati per le infedeltà, non per dire che alla fine dei conti anche i preti sono uguali agli altri, conclusione alla quale vuole arrivare il nostro mondo, ma per dire: preghiamo per la loro fedeltà, perché non vengano meno lungo il cammino. Facciamoci carico anche della fatica che si può trovare in un mondo che rema contro.

È un anno da spendere con la grazia del Signore, perché ci sia una ricarica, una ripresa, un accrescimento nel considerare importante la santità dei nostri sacerdoti, senza dei quali non ci sarebbe la Chiesa; ci mancherebbero i sacramenti, la parola di Dio e l’opera della salvezza.

L’amore che veneriamo e adoriamo nel Sacro Cuore di Gesù quest’oggi, ci dia la grazia per vivere un anno intero, affinché l’amore di Cristo trovi dei servitori, che lo portino, con il suo aiuto, a tutti gli uomini.

OMELIA per la SOLENNITA’ del CORPUS DOMINI
Faenza, Chiesa di S.Maria Maddalena 11 giugno 2009
12-06-2009

È sempre con grande emozione che all’inizio dell’estate la nostra Chiesa si accinge a celebrare la solennità del Corpo e Sangue di Cristo, dopo aver concluso le grandi celebrazioni liturgiche pasquali nella solennità della Pentecoste. Sembra quasi che la Chiesa voglia dirci: ‘Ora andate avanti con la domenica, pasqua settimanale, e stringetevi attorno all’Eucaristia per camminare in compagnia del Dio che è rimasto con voi nel Sacrificio dell’altare e nei tabernacoli delle vostre chiese’. Il nostro peregrinare di anno in anno ci ha portato in questa parrocchia per la celebrazione del Corpus Domini cittadino, con la Messa portata in mezzo alle nostre case, a indicare quanto Cristo si è fatto vicino alle nostre famiglie, ai luoghi di lavoro, a quanti faticano e soffrono, ai nostri giovani che lo cercano nel loro desiderio di felicità.

 

La processione eucaristica che prolungherà la celebrazione di questa Messa vuole essere il segno visibile di Dio che cammina con noi lungo le nostre strade e passando benedice, incoraggia, diffonde speranza e fiducia nella vita vera.

 

Nel vangelo di Marco abbiamo sentito il racconto dell’ultima cena di Gesù con i suoi discepoli. ‘Mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: ‘Prendete, questo è il mio corpo’. Poi prese un calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse loro: ‘Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti’. 

 

Quando queste parole vengono narrate dal sacerdote durante la Messa, ridonano a noi il mistero del sacrificio eucaristico e rendono presente a noi il Signore Gesù morto e risorto.

 

Alla vigilia ormai dell’anno sacerdotale indetto dal Papa, che si aprirà il 19 giugno prossimo, solennità del Sacro Cuore di Gesù, vogliamo riflettere brevemente sul sacerdote e l’Eucaristia.

 

Il sacerdote ha la sua ragion d’essere nell’Eucaristia, che non potrebbe esserci senza il suo misterioso intervento ‘in persona Christi‘. Mentre narra con le parole di Gesù i fatti dell’ultima cena, il sacerdote è sacramento di Cristo stesso e ne continua l’efficacia. Per opera dello Spirito santo quelle parole hanno la stessa forza che ebbero sulle labbra di Gesù, quella cioè di trasformare il pane e il vino nel corpo e nel sangue di Cristo. Questo mistero tradizionalmente viene indicato con la parola transustanziazione: il pane e il vino diventano il corpo e il sangue di Cristo.

 

Anche detto così resta un mistero per la nostra mente. Non serve allora cercare di capire, mentre è importante accettare quanto Gesù ha fatto e ha detto, sapendo che a Lui niente è impossibile.

 

Noi sappiamo per fede che Cristo risorto è vivo, che il suo corpo glorioso non è limitato né dal tempo né dallo spazio, e il suo modo di essere per noi è del tutto misterioso. Tutto questo non impedisce che il Cristo glorioso in questo suo stato sia realmente presente nel pane consacrato nella nostra Messa come in tutte le Messe del mondo, e sia vivente nella gloria del cielo. Per darci un segno di amore infinito e rimanere con noi rispettando il nostro bisogno di concretezza, Gesù è realmente nell’Eucaristia, così che noi possiamo dire che Gesù è davvero qui su questo altare.

 

Il dono dell’Eucaristia che Gesù ha lasciato alla sua Chiesa ha unito indissolubilmente l’offerta del suo sacrificio al ministero del sacerdote. Il sacerdote ogni volta che celebra sa di avere tra le mani Cristo realmente presente, e lo riconosce nella sua opera di mediatore tra il Padre e gli uomini, sia mentre offre la sua vita per la nostra salvezza, sia quando ottiene per noi il dono della vita divina.  È durante la Messa che il sacerdote può affidare alla misericordia di Cristo ciò che ha vissuto, le gioie e i dolori del suo ministero. E anche coloro che partecipano alla Messa possono offrire al Padre la loro vita, le preghiere, le gioie e le pene quotidiane, insieme all’unico sacrificio di Cristo per la salvezza del mondo.

 

Quando il sacerdote tiene tra le mani il calice del Sangue di Cristo, sa di avere presente tutta la sofferenza umana che è unita a quella di Cristo nel mistero della croce. E nello stesso tempo in quel calice c’è il sangue che ha lavato tutta la miseria del peccato dell’uomo. Nel sangue della nuova Alleanza il mistero della croce è unito al mistero della misericordia divina.

 

La lettera agli Ebrei ci ha ricordato che Cristo una volta per sempre, con il proprio sangue ha offerto se stesso a Dio per purificare la nostra coscienza dalle opere di morte, perché serviamo al Dio vivente.

 

La grazie dell’Eucaristia celebrata accompagna il sacerdote nel suo ministero, che deve diventare Eucaristia vissuta. La comunità cristiana, attraverso il ministero del sacerdote cresce come Corpo di Cristo. Il presbitero infatti è ministro dell’unità nella comunità cristiana, per continuare con la sua opera in modo visibile quello che l’Eucaristia ha operato in profondità nel cuore dei fedeli. Se la comunione eucaristica vissuta nella Messa è vera, si deve vedere nella vita e nelle opere dei fedeli e delle comunità.

 

Il presbitero è un fratello scelto tra i fratelli mediante l’imposizione delle mani e reso partecipe del ministero di salvezza di Cristo. La sua missione è quella di rinnovare il sacrificio eucaristico e far crescere il popolo cristiano con la parola di Dio e i sacramenti perché viva nell’unità affinché il mondo creda.

 

Di conseguenza, il sacerdote donando la vita per Cristo e per i fratelli, deve sforzarsi di conformarsi all’immagine del Signore Gesù, nella fedeltà alla sua Chiesa. È a questo scopo che il Papa ha proposto un anno nel quale tutti siamo invitati a pregare per i sacerdoti, perché la santità della loro vita renda più fecondo il ministero. Questo dovrà essere un obiettivo per tutti i cristiani, sia per mostrare la riconoscenza per quello che i presbiteri fanno per tutti e per ciascuno, sia perché non venga mai meno in loro la generosità della carità pastorale.

 

Lasciate che ricordi in questa parrocchia di S. Maria Maddalena la figura di don Veraldo Fiorini. Pensando a lui sapete cosa ha voluto dire il sacerdote per i giovani e le famiglie, per i poveri e per gli anziani. Il suo ricordo e il suo esempio ci devono sostenere nel chiedere al Signore santi sacerdoti, che siano modelli per il gregge loro affidato, mentre lo nutrono con la Parola e il Pane della vita.

 

Chiediamo infine al Signore che non ci faccia mai mancare il ministero di santi sacerdoti, perché non venga mai meno il dono dell’Eucaristia, mistero di amore per la vita del mondo

OMELIA per il X ANNIVERSARIO della morte del sindaco ENRICO DE GIOVANNI
Faenza, Basilica Cattedrale, 4 maggio 2009
04-05-2009

Il ricordo di Enrico De Giovanni giustamente ha questo momento di preghiera nell’Eucaristia che celebriamo per lui, perché il Signore lo accolga nella sua pace eterna. È una gratitudine che tutta la città di Faenza gli deve. Con questo vogliamo essere vicino ai familiari che lo ricordano e a quanti con lui hanno lavorato per il bene di questa Città.

La liturgia di questa giornata ci dà qualche suggerimento per la nostra riflessione, così che anche noi possiamo essere aiutati a crescere nel bene nostro e degli altri, sia con la grazia della parola che abbiamo sentito, sia con l’esempio che questa figura di cristiano, amministratore e politico ci ha lasciato.

Abbiamo sentito nella prima lettura il racconto di un episodio nel quale S. Pietro non ha tanto voluto scusarsi di fronte a coloro che lo criticavano per il suo atteggiamento, quanto ha voluto dare una motivazione di ciò che sarebbe stato poi l’impegno prevalente di S. Paolo, cioè l’annuncio della fede cristiana ai gentili.

Potrebbe oggi sembrare una questione secondaria, ma per allora era importante. Poteva sembrare ovvio che il Signore Gesù fosse il compimento dell’attesa e della speranza del popolo di Israele, e quindi fosse lo sbocco evidente di quella fede. Gli Ebrei con l’osservanza della legge e la loro ritualità potevano essere arricchiti dalla fede cristiana. Ma che questa potesse arrivare al di fuori del popolo eletto, non era così,intuitivo. L’avere accettato, capito e vissuto questo è stata la vera novità che ha consentito l’evangelizzazione in tutto il mondo.

Dice S. Pietro: ‘Chi ero io per porre impedimento a Dio?’ Egli aveva manifestato chiaramente la volontà di santificare anche i pagani che fossero ben disposti. Non porre impedimento a Dio, lasciarlo agire, lasciarlo aprire vie nuove, essere pronti ad accogliere le sue sorprese, che non cessano mai di arrivare, a volte servendosi di eventi, altre volte di persone, ma aprendoci sempre strade vere e provvidenziali: questo è l’atteggiamento chiesto a tutti. ‘Anche ai pagani Dio ha concesso che si convertano perché abbiano la vita’ e l’abbiano in abbondanza, dirà il vangelo.

È questo il motivo per cui il Signore è venuto, perché la nostra vita non fosse una lotta a occhi chiusi, senza motivi, senza via d’uscita, ma fosse una realtà che meritava di essere vissuta nella sua fatica, ma anche nella sua bellezza e ricchezza, con la gratificazione di poter fare del bene, amare gli altri, e scoprire che siamo stati fatti per conoscere, amare e servire Dio e i nostri fratelli.

Gesù ha usato delle similitudini per arrivare a dire: ‘Io sono la porta: se uno entra attraverso di me sarà salvo; entrerà, uscirà e troverà pascolo’ Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza’. Gesù ha dato la libertà vera: chi entrerà, troverà sicurezza; chi uscirà troverà alimento per la vita. Gesù ci apre a tutto ciò che sappiamo cogliere nella sua vera realtà. Gesù salvatore di tutti e di tutto non è uno schema, una chiusura, un limite che restringe le possibilità; anzi ci apre a tutte le possibilità buone, ci apre alla fantasia dello Spirito che aiuta a scoprire modi impensati, frutto della generosità e della carità di chi si mette a disposizione dell’intervento di Dio.

De Giovanni ha vissuto la sua fede cristiana alimentata in particolare nel movimento dei Focolari, dove trae la sua ispirazione per l’impegno nella politica, come prima nell’impegno sociale.

Le radici che caratterizzano il Movimento lui le ricorda con questi termini: ‘Vedere Gesù in tutti. Amare tutti. Amare per primi. Amare facendosi uno con la persona amata: soffrire con chi soffre, godere con chi gode, portare i pesi altrui’.

Sono indicazioni che valgono sempre e dappertutto in qualsiasi situazione; non è che uno possa arrivare a vivere così in una situazione precisa come l’amministrazione di una città se non l’ha vissuto prima in casa, con gli amici, nella realtà di Chiesa dove era inserito, nell’impegno sociale, nel lavoro, perché è un modo di investire tutta la propria esistenza, di realizzare l’amore che Gesù dona e alimenta.

E per l’impegno politico ispirato dal movimento diceva: ‘Le sue idee-forza sono: il dialogo con gli avversari per i necessari impegni da prendere insieme per il bene comune; la pace, quale unica risorsa per i rapporti internazionali; la giustizia sociale come garanzia per la dignità della persona e animazione morale della vita pubblica e dell’attività economica’ (da ‘Il Piccolo’ 17/10/1997).

Questi ideali sono stati realizzati o almeno qualcuno ci ha provato, li ha avuto davanti come possibilità vere. E la gente ha capito che andava sostenuto e aiutato in questi suoi ideali.

Poi, siccome le cose di questo mondo sono tutte limitate, anche lui avrà fatto quello che è riuscito, non solo per il poco tempo che ha avuto, ma anche per il limite naturale delle cose. Quelli degli uomini sono sempre progetti imperfetti; ma tra lasciare andare le cose alla deriva o perseguire l’interesse dell’uno o dell’altro e orientare le realtà umane verso il Regno di Dio ci passa l’impegno del laico cristiano.

A me piace questa sera ricordare così Enrico De Giovanni. Questo ricordo diventa una speranza e un incoraggiamento per chi vuole servire il proprio paese nella politica, spendendosi in cose che sembrano passeggere e ristrette a questo mondo, ma che appartengono alla vita delle persone. È per il bene di tutti e di ciascuno che nella politica l’uomo è chiamato a impegnarsi. Noi ringraziamo il Signore che suscita persone che sanno realizzare la propria fede in modo concreto, fino a spendersi per il bene dei propri fratelli.

OMELIA per la MESSA CRISMALE 2009
Faenza, Basilica Cattedrale, 09 aprile 2009
09-04-2009

L’Eucaristia che stiamo celebrando prende nome da ciò che faremo tra poco, la benedizione cioè degli oli santi e in particolare del crisma. Con il sacro crisma vengono consacrati i presbiteri, dai quali viene poi celebrata l’Eucaristia, il mistero centrale di questa giornata che con la Messa ‘in coena Domini’ apre il triduo sacro.

Il sacerdozio ministeriale nasce insieme all’Eucaristia dall’amore di Cristo, che amò i suoi sino alla fine; frutto dell’amore, il nostro ministero è segno dell’amore del Padre che si è manifestato in Cristo e continua ad essere testimoniato nella Chiesa per il bene di tutti gli uomini.

Per ricordarci questa nostra missione, oggi la liturgia ci chiederà di rinnovare le promesse fatte al momento dell’ordinazione presbiterale, non tanto per fare appello alle nostre forze, quanto per affidarci nuovamente alla fedeltà e all’amore di Cristo che ci ha scelti.

Vogliamo farci aiutare nella nostra riflessione dall’apostolo Paolo, incominciando da quello che egli scrisse ad discepolo Timoteo: ‘Ti ricordo di ravvivare il dono di Dio, che è in te mediante l’imposizione delle mie mani. Dio infatti non ci ha dato uno spirito di timidezza, ma di forza, di carità e di prudenza’ (2Tim 1,6s). Il dono di Dio, ricevuto una volta per sempre nel sacramento, deve essere ravvivato per quanto riguarda la parte che spetta a noi, che non dobbiamo lasciarci vincere né dalla paura né dall’abitudine, ma dobbiamo esprimere la forza della carità, insieme alla prudenza che il ministero richiede.

S. Paolo poi ricorda anche alcune virtù necessarie a chi è chiamato al sacro ministero, tenendo presente che quanto sentiremo dire del vescovo si deve intendere riferito anche al presbitero, non essendoci ancora in quel tempo una chiara distinzione tra i due termini.

‘Bisogna che il vescovo sia irreprensibile, non sposato che una sola volta, sobrio, prudente, dignitoso, ospitale, capace di insegnare, non dedito al vino, non violento ma benevolo, non litigioso, non attaccato al denaro. Sappia dirigere bene la propria famiglia e abbia figli sottomessi con ogni dignità, perché se uno non sa dirigere la propria famiglia, come potrà aver cura della Chiesa di Dio? Inoltre non sia un neofita, perché non gli accada di montare in superbia e di cadere nella stessa condanna del diavolo. È necessario che egli goda buona reputazione presso quelli di fuori, per non cadere in discredito e in qualche laccio del diavolo’ (1Tim 3,1-7).

Come si vede sono tutte virtù umane che hanno grande considerazione anche oggi sia presso i fedeli sia presso ‘quelli di fuori’ della comunità. È bene pure notare che quando del presbitero si dice: ‘non sia sposato che una sola volta’ e che ‘sappia dirigere bene la propria famiglia’, non si esclude il celibato dei presbiteri. Infatti  San Paolo stesso non era sposato. E quando dice: ‘Fatevi miei imitatori come io lo sono di Cristo’ (1Cor 11,1), forse non escludeva un riferimento anche a questa sua condizione.

Tra i molti insegnamenti che si potrebbero ricavare dagli scritti di S. Paolo, voglio ricordarne ancora due: ‘Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo, ha affidato a noi il ministero della riconciliazione’. Un compito delicato e prezioso, che ci è chiesto di esercitare con tanta misericordia, sapendo che l’uomo di oggi, quanto più si presenta esteriormente spavaldo e sicuro di sé, tanto più interiormente è insicuro e fragile, bisognoso di sentirsi capito, amato e perdonato da Dio.

L’ultimo riferimento mi piace prenderlo dal saluto che Paolo fa agli anziani di Efeso: ‘Vegliate su voi stessi e su tutto il gregge, in mezzo al quale lo Spirito santo vi ha costituiti come custodi per essere pastori della Chiesa di Dio, che si è acquistata con il sangue del proprio Figlio’ (Atti 20,28). È un coinvolgimento solidale di noi tutti con il nostro popolo, difendendo e santificando il quale difendiamo e santifichiamo noi stessi. Siamo destinati a condividere le sorti della nostra gente, con una viva partecipazione soprattutto nei momenti difficili come sono quelli odierni, sia per la confusione dottrinale in campo etico, sia per le difficoltà economiche di varie nostre famiglie. Siamo chiamati ad essere accanto per aiutare, illuminare e condividere, perché nessuno deve sentirsi abbandonato.

Abbiamo bisogno di essere sempre più all’altezza della nostra missione, per cui ringraziamo il Santo Padre per averci donato l’ ‘Anno sacerdotale’ in occasione dei 150 anni dalla morte del Santo Curato d’Ars, ‘per favorire la tensione dei sacerdoti verso la perfezione spirituale dalla quale soprattutto dipende l’efficacia del loro ministero’ (16/03/09).

In questa Eucaristia, che assume i connotati di una santa convocazione del presbiterio diocesano, vogliamo ricordare tutti i nostri confratelli, cominciando dai missionari, inviati ad annunciare il vangelo in condizioni difficili. La colletta che faremo per loro sia il segno della nostra solidale fraternità.

Ricordiamo i nostri sacerdoti anziani e ammalati, che stanno offrendo il sacrificio di Cristo partecipandovi personalmente con la loro sofferenza, e così adempiono in modo prezioso e misterioso al loro ministero.

Vogliamo pregare per i sacerdoti della nostra Diocesi che in questo anno il Signore ha chiamato a Sé per il premio eterno: Mons. Veraldo Fiorini, Don Luigi Orsoni, Mons. Mario Babini, il Card. Pio Laghi, Don Carlo Marangoni, Mons. Giuseppe Ferretti. Fra tutti, lasciate che ricordi in modo particolare don Mario Babini, la cui scomparsa ha lasciato tanti orfani della sua paternità spirituale. Siamo grati al Signore per averlo donato alla nostra Chiesa, alla quale ha insegnato uno stile di vita e di ministero presbiterale, continuando la tradizione di santi sacerdoti faentini. Infine ricordo il Card. Pio Laghi, le cui spoglie mortali riposano in questa cattedrale. Siamo grati a lui che lasciando questo mondo ha voluto affidarsi alla nostra memoria e alla nostra preghiera.

Oggi poi vogliamo gioire con i confratelli che in questo anno ricordano date significative della loro ordinazione presbiterale: Mons. Angelo Melandri 70 anni, don Oreste Molignoni 65 anni, don Carlo Matulli e P. Albino Varotti 60 anni, Mons. Ivo Guerra e Mons. Romano Ricci 50 anni. Li ringraziamo per la donazione generosa e fedele alla nostra Chiesa e preghiamo il Signore perché li benedica sempre.

Rivolgo un saluto cordiale anche ai ministranti che sono presenti a questa Eucaristia, e li esorto a rendere decorosa la santa liturgia con il loro servizio e una crescente conoscenza dei misteri ai quali partecipano.

Il pensiero rivolto ai giovani mi porta a concludere la mia riflessione con alcune parole di don Primo Mazzolari, a 50 anni dalla morte, di cui il Papa ha additato ‘il profilo sacerdotale limpido e di alta umanità e filiale fedeltà al messaggio cristiano e alla Chiesa’. Ha scritto don Primo ad un seminarista: ‘Un giovane è sempre una promessa e un impegno per un domani che sappiamo durissimo per tutti, ma particolarmente per chi avrà la grazia e la fede di una vocazione come la nostra. Non ci sarà più posto per i ‘piccoli’ cristiani e per i ‘sacerdoti funzionari’. Questo ti rianimi e dia le ali (ali serie, non retoriche) alla tua preparazione. Si avvicina l’ora in cui ci sarà ancora gusto a fare il prete. Il Signore saldi sulla sua Croce il tuo slancio’.

Infine è doveroso un ricordo nella preghiera per i nostri confratelli della terra d’Abruzzo con le loro comunità, uniti in modo così drammatico alla passione del Signore. Insieme alla preghiera esprimeremo nei prossimi giorni la nostra fraterna solidarietà. La fede che li ha sostenuti nella prova li confermi anche nella speranza della risurrezione del loro popolo.

OMELIA nel XII anniversario della MORTE di p.DANIELE BADIALI
Faenza, Basilica Cattedrael - 18 marzo 2009
18-03-2009

‘Ascolta Israele le leggi e le norme che io vi insegno perché le mettiate in pratica perché viviate ed entriate in possesso del paese che il Signore Dio dei vostri padri sta per darvi’.

È un avvio molto solenne quello della lettura che abbiamo sentito. Un invito anzitutto all’ascolto: ascolta Israele. È l’inizio dello ‘shema Israel’, la frase che il pio israelita ripeteva spesso per ricordarsi del comandamento fondamentale della legge, l’amore di Dio.

1 – L’atteggiamento dell’ascolto è del discepolo, di chi sa che ha bisogno di apprendere, che è consapevole della sua piccolezza e desidera che il maestro lo aiuti, lo guidi. Diceva P. Daniele: ‘Fatevi guidare da qualcuno che abbia fatto un po’ più strada di voi’.

Ascolta la parola rivelata di fronte alla quale bisogna aprire gli orecchi e il cuore, perché è una parola che va direttamente all’interno di ciascuno di noi; è una parola fatta per tutti e per ciascuno.

Ascolta gli eventi della storia: storia personale, comunitaria e del mondo; bisogna sapere ascoltare, sapere leggere e decifrare gli eventi.

Ascoltare il bisogno vero che è nel cuore dell’uomo, il vuoto di anima che vediamo anche attorno a noi, il bisogno di Dio; saper ascoltare i segni attraverso i quali il Signore ci raggiunge.

Saper ascoltare il grido dei poveri, la condizione di denuncia e di accusa. Se sapessimo ascoltare, perché Dio parla e siamo noi che facciamo conto di non sentire e siamo frastornati da altri suoni, altri richiami che ci impediscono di ascoltare quelli giusti.

2 – ‘Ascolta le leggi e le norme che io vi insegno perché le mettiate in pratica’. Mettere in pratica; non è quindi soltanto un imparare per sapere ma per vivere, per fare ciò che ha senso, seguendo l’esempio di Cristo e dei santi.

Ci sono tante cose da fare, che vanno scelte oppure vanno rinunciate, per seguire la propria vocazione, che ognuno scopre giorno per giorno seguendo le indicazioni che sente nel vangelo, o ascolta da chi lo guida, ma anche perché corrisponde alla sua propensione che realizza in modo concreto. Mettere in pratica vivendo con amore le occasioni che ogni giorno ci vengono date; è questa la novità portata da Cristo: vivere i comandamenti di Dio con amore. ‘Amare Dio e amare il prossimo’, dirà Gesù, sta tutta qui la legge. E San Paolo sarà ancora più sintetico, perché la ridurrà all’amore del prossimo.

Mettere in pratica e vivere nella Chiesa. Quindi non solo in modo personale, ma nella comunità che è Cristo che continua a vivere nella storia. Se vogliamo quindi che le nostre scelte o le nostre rinunce abbiano senso, è questo il contesto in cui collocarle.

3 – ‘Perché viviate’. Un verbo interessante: vivere, soprattutto quando si è giovani e si cerca la vita, la vita piena. E per vivere si fanno tante cose: si provano tutte. C’è una vita che merita di essere vissuta, ed è quella che è riempita del dono sincero di sé. È questo che ci dà gusto di vivere e dà senso alla nostra esistenza. Poterci donare, trovare qualcuno che ha bisogno di noi, di fronte al quale possiamo fare qualche cosa. La vita ha senso, è importante e ci accorgiamo che ci è stata donata in modo serio, perché ci accorgiamo che può servire. Ciò che delude è la vita che non serve a niente, che si spreca giorno per giorno, la si sciupa.

‘Perché viviate ed entriate in possesso del paese che il Signore, Dio dei nostri padri, sta per darvi’. Nella storia è la terra promessa, ma nella pienezza del Regno è l’eternità. È quella la vita vera che non finisce, nella quale non c’è né morte, né lutto, né sofferenza. E l’eternità si prepara adesso.

Credo che abbia impressionato tutti vedere quante volte P. Daniele insiste e mette in evidenza la realtà della morte, non tanto per vivere con l’incubo di questo evento, ma per prendere da questo lo stimolo per affrontarla  nel modo giusto, cosicché la morte sia il passaggio alla vita e poterla affrontare senza paura.

‘Ai ragazzi vorrei gridare: non perdete tempo, il padrone arriva come un ladro di notte, non andate dietro a cose vane, imparate a guardare il faccia alla morte, solo così capirete quale direzione dare alla vostra vita’. E a cose avvenute, possiamo davvero ritenere che questo suo pensiero l’abbia preparato tantissimo a quell’appuntamento. Se non fosse azzardato potremmo dire che forse l’aver tenuto presente sempre questa eventualità lo ha fatto vivere in modo più intenso, così da arrivare alla misura dell’età piena di Cristo prima di quanto noi avremmo immaginato e desiderato.

Il vangelo ci ha detto che di fronte a quello che la legge ci insegna, c’è un dovere di educazione e trasmissione: ‘Chi li osserverà e li insegnerà agli uomini sarà considerato grande nel regno dei cieli. E questo è un aspetto compreso nel senso della vita, perché la vita è piena e matura quando riesce a trasmettersi; è così nel regno vegetale, nel regno animale e soprattutto nel Regno di Dio, che affida a una generazione un dono perché non lo tenga per sé, ma lo trasmetta e diffonda dovunque e lo passi alle generazioni che verranno.

4 – All’inizio dell’elenco dei dieci comandamenti c’è un’affermazione, che merita di essere ricordata: ‘Io sono il Signore Dio tuo, non avrai altro Dio fuori che me’. Ecco perché può permettersi di dirci qualche cosa, di indicarci la strada, dirci ciò che è bene e ciò che è male, perché è il Signore Dio nostro e non c’è altro Dio fuori che Lui.

È un altro dei pensieri fissi di P. Daniele, pensiero che è ancora attuale. Lo troviamo anche nelle parole di Papa Benedetto XVI: ‘Nel nostro tempo in cui vaste zone della terra la fede è in pericolo di spegnersi come una fiamma che non trova più nutrimento, la priorità (e parlava delle priorità del suo pontificato) che sta al di sopra di tutte è rendere Dio presente in questo mondo e di aprire agli uomini l’accesso a Dio’ (Lettera ai vescovi 12/03/09).

P. Daniele scriveva nel 1994 da S. Luis: ‘Io mi sento ancora più drastico. L’uomo ha eliminato Dio, non gli serve per la sua vita ormai superprogrammata. Cerca di tappare tutte le strade attraverso le quali Dio può parlargli. Solo la morte non riesce a tapparla e la morte è l’ora di Dio che supera tutte le altre”. L’assenza di Dio, il nasconderlo, bloccarlo, eliminarlo dalla nostra vita, è davvero la sciagura più grave che incombe sulla nostra generazione. P. Daniele lo ha avvertito in modo molto sentito, come si vede spessissimo nelle sue lettere, cogliendo in modo efficace il punto più debole della nostra società.

 

La grazia che chiediamo al Signore in questa Messa, pregando insieme a P. Daniele, è questa: vivere alla presenza di Dio, perché ne abbiamo bisogno noi e anche perché riusciamo a testimoniare chi è all’origine della nostra gioia, del nostro amore per gli altri, della nostra umiltà nel portare la croce, un altro dei segni che marca la sequela dei discepoli di Gesù. Avere sempre presente Dio, il Padre che ci vuole bene, che ci guida, che ci dà forza, che ci aspetta e che intanto ci sta indicando la strada con la sua parola, nella Chiesa, mediante i suoi santi.

OMELIA per la GIORNATA MONDIALE della PACE
Basilica Cattedrale di Faenza, 1 gennaio 2009
01-01-2009

Sono sempre tante le motivazioni che ci riuniscono nell’Eucaristia del primo giorno dell’anno civile, anche se fra tutte vogliamo dare rilevanza alla giornata della pace. Ma proprio perché la pace stessa è il risultato di alcuni fondamenti che la precedono, che secondo la Pacem in terris  sono la verità, la giustizia, l’amore e la libertà, anche la celebrazione della giornata della pace può essere vista come il motivo culminante delle altre motivazioni che ci riuniscono in questa Eucaristia.

La liturgia ricorda oggi il mistero della Maternità divina di Maria, che generando nel tempo il Figlio di Dio è diventata a pieno titolo madre di Dio, e come tale è diventata anche madre nostra secondo l’ordine della grazia. Già questa prerogativa di Maria mette in evidenza il progetto divino di ricostituire la famiglia dei figli di Dio, che era stata disgregata a causa del peccato, e apre il nostro cuore alla speranza che questo progetto se anche non si potrà compiere nel tempo, tuttavia è possibile farlo avanzare con la grazia di Dio e la buona volontà degli uomini.

Diventare una sola famiglia è un progetto che dobbiamo cercare di realizzare anche nel nostro tempo. Il primo giorno dell’anno ci scandisce il fluire rapido del tempo, ma anche ci ricorda che ci è data un’altra possibilità. Quello che non è stato fatto finora può essere fatto nel nuovo anno. È più che una speranza; è una nuova opportunità per costruire positivamente qualcosa.

Noi viviamo nella pienezza del tempo, riempito dalla presenza del Signore Gesù, il salvatore del mondo. Il vangelo ci ricorda che nel giorno ottavo dalla nascita ‘gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall’angelo prima di essere concepito nel grembo della madre’.  Gesù, il Dio che salva.

Queste riflessioni suggerite dalla liturgia  arricchiscono la celebrazione della giornata della pace, che noi vogliamo vedere come l’insieme dei beni messianici  per il nuovo popolo di Dio, segno e strumento dell’unità degli uomini con Dio e di tutto il genere umano.

Una tentazione a cui è spesso soggetto il tema della pace è quella di essere verbalmente affermata, più che concretamente costruita; pretesa senza sacrifici, più che pagata di persona; invocata dagli altri, più che donata da noi stessi.

Per aiutarci a superare le tentazioni di retorica e di astrattezza, ogni anno il Papa ci fa dono di un messaggio, che ha il merito di indicarci ogni volta un percorso realistico per fare avanzare di un passo la pace, dono di Dio affidato agli uomini.

Quest’anno papa Benedetto XVI ci dice: ‘Combattere la povertà, costruire la pace’.  Di fatto, precisa, la povertà risulta sovente tra i fattori che favoriscono o aggravano i conflitti, anche armati’ (n. 1). E aggiunge: ‘Le distorsioni di sistemi ingiusti prima o poi presentano il conto a tutti’ (n. 14).

La situazione mondiale viene vissuta ormai di fatto in una globalizzazione a tutti i livelli, non solo per l’informazione che ci porta in casa il mondo intero, ma attraverso l’interdipendenza per quanto riguarda l’economia, la sicurezza dal terrorismo, l’incontro delle culture più diverse. Se non bastassero gli argomenti di carità a indurci a migliorare le condizioni degli altri, dovremmo almeno riflettere che in un modo o nell’altro i disastri mondiali potrebbero riversarsi anche su di noi.

Nel suo messaggio il Papa considera le varie forme di povertà, da quella materiale a quella morale, da quella legata alle malattie alla povertà dei bambini, da quella provocata dalla corsa agli armamenti a quella legata alla crisi alimentare. E ricorda che la realtà dei fatti ha smentito che la povertà sia legata alla sovrapopolazione, quando proprio alcuni paesi molto densamente popolati hanno migliorato le loro condizioni economiche. ‘In altri termini, la popolazione sta confermandosi come una ricchezza e non come un fattore di povertà‘ (n. 4).

Per affrontare la lotta alla povertà nell’ambito dei rapporti tra i paesi ricchi e i paesi poveri, il Papa invoca una forte solidarietà globale, che si fondi su un ‘codice etico comune’ ‘le cui norme non abbiano solo un carattere convenzionale, ma siano radicate nella legge naturale inscritta dal Creatore nella coscienza di ogni essere umano’ (n. 8).

È ovvio che il Papa nel suo messaggio abbia presenti anche le istituzioni nazionali, quando afferma: ‘La globalizzazione va vista come un’occasione propizia per realizzare qualcosa di importante nella lotta alla povertà e per mettere a disposizione della giustizia e della pace risorse finora impensabili‘ (n. 14). Bisogna infatti ‘superare lo scandalo della sproporzione esistente tra i problemi della povertà e le misure che gli uomini predispongono per affrontarli’.

Qui sì che si deve dire che anche il nostro paese potrebbe fare di più, quando non mantiene nemmeno gli impegni presi in sede internazionale per l’aiuto pubblico allo sviluppo.

Ma perché tutto ancora una volta non si risolva a pretendere che gli altri facciano, il Papa al termine del messaggio si rivolge direttamente ai cristiani con queste parole: ‘Fedele all’invito del Signore, la comunità cristiana non mancherà pertanto di assicurare all’intera famiglia umana il proprio sostegno negli slanci di solidarietà creativa non solo per elargire il superfluo (qui si tratta dell’elemosina), ma soprattutto per cambiare gli stili di vita, i modelli di produzione e di consumo (e questi sono cambiamenti sociali più radicali che vanno condivisi), le strutture consolidate di potere che oggi reggono le società (e qui siamo all’impegno politico).

Ad ogni discepolo di Cristo, come anche ad ogni persona di buona volontà, rivolgo pertanto all’inizio di un nuovo anno il caldo invito ad allargare il cuore verso le necessità dei poveri e a fare quanto è concretamente possibile per venire in loro soccorso’ (n. 15).

La Vergine Maria, madre di Dio e madre di tutti gli uomini, ci aiuti a ricordarci che siamo tutti fratelli e a fare quanto è in nostro potere per togliere lo scandalo della povertà, che offende la dignità della persona umana e insidia le fondamenta della pace.

OMELIA della MESSA del GIORNO di NATALE
Basilica Cattedrale di Faenza, 25 dicembre 2008
25-12-2008

‘Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi’. È questa la realtà bella e grande che la festa del Natale ci mette davanti. È una realtà che ci dà speranza perché Dio è in mezzo a noi. Questo vuol dire che l’uomo era capace di accogliere Dio nella sua natura umana. Questo ci dice la grandezza dell’uomo, anche se non sempre egli accolse Dio: ‘Venne tra i suoi e i suoi non lo accolsero’, quando si trattava di una adesione libera e personale. Ma quanti lo hanno accolto e credono nel suo nome li ha fatti diventare figli di Dio.

Ecco la ragione per cui il Figlio di Dio si è fatto uomo, per far sì che anche noi potessimo avere la natura dei figli di Dio, che Cristo morto e risorto ci ha partecipato, e potessimo vivere da figli di Dio. Gesù non è venuto nel mondo per fondare una nuova religione: bastavano quelle che c’erano, né per fare proseliti, ma per darci la vita di figli, per farci scoprire che siamo fratelli e vivere così da poter tornare un giorno presso il Padre, avendo meritato di stare nella sua famiglia vivendo da fratelli, i quali soprattutto nei momenti difficili sanno riconoscersi e aiutarsi.

Ci ha detto la lettera agli Ebrei che Dio ci aveva già parlato per mezzo dei profeti, e anche per mezzo di Mosè. Il vangelo di Giovanni ci ha detto che ‘la legge fu data per mezzo di Mosè‘; ma non bastava sapere che cosa si doveva fare e conoscere le regole del comportamento, anche se questo era già un grande dono fatto da Dio all’uomo. ‘La grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo’.

Era cioè giusto per noi sapere la verità, il senso delle cose, il perché della legge, a che cosa ci portava il rispettare quello che Dio ci aveva rivelato; ma occorreva anche la grazia, cioè la forza per vivere quanto ci era stato rivelato, quanto ci era stato fatto conoscere da parte di Dio per mezzo dei profeti e per mezzo di Gesù. E Cristo ci ha fatto anche questo dono: non solo ci ha detto che cos’è la verità, ma ci ha dato anche la forza e la grazia per poterla raggiungere e vivere.

Il Natale di questo anno arriva in un momento particolarmente delicato della nostra storia recente. Non vogliamo sfuggire dagli interrogativi che ci vengono dall’attualità, perché se è vero che la verità è perenne, cioè andava bene ai tempi di Cristo, deve andare bene anche oggi e deve rispondere ai nuovi problemi.

Io credo che, senza pretendere di cercare nel Vangelo soluzioni ai nostri problemi finanziari o economici, possiamo guardare alle vicende della vita dell’uomo e rivederle nella luce di Dio.

Innanzitutto mi pare che viene da questi fatti un richiamo all’importanza dell’etica, al rispetto delle leggi di natura e della legge morale che l’uomo trova in sé, e che Cristo ha illuminato. Avremmo dovuto scoprirla da soli, ma non ce l’abbiamo fatta e avevamo confuso le creature con il Creatore. Cristo ci ha aiutato a decifrare queste leggi, che regolano la morale naturale per gli uomini e per la società. Già questo è un richiamo forte: se avessimo sempre rispettato i comandamenti di Dio (la legge venuta da Mosè nel senso che Mosè ce l’ha chiarita) probabilmente avremmo avuto meno da piangere.

Il Natale del Signore ci insegna anche a vivere nella sobrietà, con l’essenziale, soprattutto senza spreco. È un insulto alla Provvidenza il fatto che il 20% degli uomini nel mondo consumi l’80% delle risorse, quando l’80% degli uomini vive con il 20%, come lo sanno poi loro; oppure, lo sappiamo anche noi, ma facciamo conto di non saperlo.

Gesù nella sua nascita povera e semplice nella famiglia di Nazareth ci ha insegnato che la nostra vita non deve essere riempita di cose, ma di amore e di affetti; e se Dio provvede agli uccelli del cielo e ai gigli del campo, quanto più a noi, gente di poca fede. Il Natale ci dà anche questo messaggio; credo che in questi giorni dovremmo meditare se ci è necessario tutto ciò che cerchiamo di avere.

Nella sobrietà nasce la solidarietà; appunto perché ci basta di meno dobbiamo essere attenti che chi rischia di non avere nulla o neanche il sufficiente. Soprattutto essere attenti ai più deboli, ai più fragili, che sono i primi a sentire l’effetto per esempio della mancanza di lavoro, o della disponibilità che fino ad oggi poteva dare un aiuto piccolo ma essenziale ai paesi del terzo mondo.

Qualche segnale positivo lo stiamo intravedendo e speriamo che possa essere concretizzato, come per esempio quello di lavorare meno e lavorare tutti. Ma no possiamo aspettarci solo dagli altri la soluzione ai nostri problemi; bisogna essere pronti a fare ognuno la propria parte, privandoci forse anche di qualche cosa, di qualche comodità, di qualche dono di cui eravamo già abituati, perchè nessuno abbia ad abbandonarsi alla disperazione di fronte alle difficoltà della vita.

Questa solidarietà si deve estendere anche ai paesi più poveri, in una solidarietà universale, o aiutandoli a casa loro, o accogliendoli a casa nostra. Non si può pensare che i poveri abbiano pazienza all’infinito. Se è vero che noi siamo contro la guerra, dobbiamo anche essere contro le cause che la provocano o la rendono purtroppo possibile; e queste cause sono le sofferenze dei poveri e l’ingordigia dei ricchi.

Credo che dal Natale queste verità ci possano essere consegnate senza forzare troppo la realtà di questo mistero, che se per un verso ci dice che Dio si è fatto uomo, per altro verso ci dice anche che gli uomini devono imparare a vivere da figli di Dio. E siccome sono tutti figli di Dio è difficile acconsentire che ci siano quelli che lo riconoscono e quelli che non ricevono nemmeno il rispetto della loro dignità di uomini.

L’annuncio della fede resta un impegno per noi cristiani, di diffondere, testimoniare e far conoscere come sia bello sapere chi è il nostro salvatore; ma intanto è bello ricordare che è soprattutto attraverso la vita che diventiamo convincenti. Dobbiamo togliere lo scandalo che siano proprio le popolazioni cristiane quelle che consumano di più, trascurando troppo le popolazioni povere.

Ecco allora che il Natale è sì un mistero bello e grande da celebrare, ma diventa anche un richiamo forte da vivere.