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OMELIA nel X ANNIVERSARIO della morte di DON GINO MONTANARI
18-10-2010

Non ho avuto modo di conoscere personalmente don Gino, ma da chiunque ne sento parlare, ne sento parlare bene. Allora mi chiedo: da chi veniva a don Gino la forza e la sapienza per fare il bene? Abbiamo sentito una parola, nella prima lettura, che diceva: ‘Il Padre della gloria vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una più profonda conoscenza di lui’.

La sapienza è un dono dello Spirito santo. Vuol dire saper scegliere il bene ed evitare il male, capire le cose importanti da chiedere o da suggerire, fare le scelte giuste, avere il coraggio dei propri gesti. Quello che don Gino ha fatto, lo ha fatto per un dono di Dio, con l’aiuto della grazia, alla quale egli certamente ha saputo collaborare, facendo la sua parte, con sacrificio e con generosità.

Tutto questo noi lo ricordiamo perché è sempre bello ricordare il bene, che si è ricevuto, ma anche per dire che è possibile ancora oggi fare il bene. Se l’hanno fatto gli altri, lo possiamo fare anche noi; se ha fatto così don Gino, lo possiamo fare anche noi. Lo prendiamo come un esempio e un incoraggiamento.

Le cose che egli ha fatto, sono davvero tante, oltre ad essere stato per tanti anni in questa casa che egli ha cercato di animare, di rendere la più umana possibile, di aprire alla città, di mettere in collegamento con quelli che sono fuori, creando iniziative per animare la vita degli ospiti. A un certo punto egli si era immedesimato, da diventare uno degli ospiti, tanto che si firmava: don Gino, cronic; per dire che anche lui era uno dei cronici, senza vergognarsi di questa parola, che aveva fatta sua.

Confessore: quanta gente andava a confessarsi da lui. Direttore delle anime: si trovano delle persone che dicono: fu don Gino ad aiutarmi e a sostenermi. Consolatore: quante pene ha consolato, quante lacrime ha asciugato. Pensiamo al coraggio che egli ha dato a P. Gorini per la scuola che ha fatto nella sua missione, per la quale ha trovato anche i soldi, invitando quanti potevano ad aiutare quell’opera. Questa continua ancora, certo perché c’è il P. Gorini, ma anche perché fu don Gino a coinvolgere tanta gente.

Pensiamo ai pellegrinaggi a Roma dal Papa e in Terra santa, dove sosteneva anche delle opere di carità. Sono rimasto stupito la prima volta che andai in Terra santa da Faenza, che alcuni mi dissero: Andate in Terra santa? Possiamo dare qualche cosa per le opere di don Gino? Qualcuno ancora conserva questa memoria e sostiene quelle opere.

Fu sua l’iniziativa del Teatro, sorto come attività per la casa, poi diventato aperto a tutta la città. Poi ho trovato che all’origine delle Acli, del Csi, dell’Unitalsi, di certe opere di Azione cattolica c’era don Gino. Un prete generoso che si è speso per tutto ciò che vedeva essere bene. Questo spiega il ricordo e la riconoscenza che ancora oggi don Gino riscuote.

Abbiamo sentito nel Vangelo una parola che forse ci è sembrata dura. Ma c’è anche la parte positiva: ‘Chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anche il Figlio dell’uomo lo riconoscerà davanti agli angeli di Dio’. Qui certamente c’è un riferimento alla fine, quando si faranno i conti, quando il Signore verrà nella sua gloria.

Riconoscere Gesù nei piccoli e nei sofferenti, vuol dire quello che egli un’altra volta disse: ‘Ogni volta che avete fatto questo al più piccolo dei miei fratelli lo avete fatto a me’. È una frase che conosciamo molto bene, che ha una sua concretezza molto forte. Qualcuno mi ha raccontato che don Gino una volta qui, vedendo un uomo un po’ malmesso camminare, disse: ‘E chi lo direbbe che in quell’uomo lì c’è Gesù?’ E lo diceva non per modo di dire, ma perché lui ci credeva, e trattava gli altri come fossero il suo Signore.

Riconoscere Gesù davanti agli uomini, nei sofferenti, nei bisognosi, nelle persone sole, che hanno bisogno di conforto, che hanno qualche necessità. Riconoscere e fare quello che si può, almeno un gesto di amore e di benevolenza, che a volte conta più di altre cose materiali.

Vorrei che la celebrazione di oggi ci lasciasse questo invito: anche noi possiamo fare come ha fatto don Gino. Certo, ognuno a modo suo, nella sua misura, nella condizione in cui è; quello che lui ha fatto in modo esemplare, può diventare una occasione anche per noi. Impariamo a vivere così, perché se tutti quanti facciamo qualche cosa in questa direzione, riusciremo a cambiare il mondo.

A volte pensiamo che lo debbano cambiare gli altri dall’alto: se facessero, se cambiassero’ E’ vero, qualcosa conterebbe. Però tutti abbiamo un mezzo a disposizione: riempire la nostra vita di gesti di bontà e di amore come ha fatto questo prete. Qualcuno dice: era un prete, prete. Ed è bella questa definizione, perché vuol dire che si riconosce che c’è una missione importante del prete; e quando qualcuno la vive, fa impressione e tutti l’apprezzano. Di fronte a don Gino non c’era distinzione per appartenenza politica, religiosa o sociale: tutti lo hanno apprezzato, perché si è speso per gli altri.

Oggi don Gino lo ricordiamo anche nella preghiera, perché è il Signore che manda la gente in Paradiso, e noi dobbiamo andare piano a dire che uno è in Paradiso. Lo speriamo, ce lo auguriamo, ma guai se non facciamo ciò che ci è chiesto, come pregare e fare sacrifici di suffragio per una persona alla quale dobbiamo tanta gratitudine. Non dimentichiamoci mai di pregare per i nostri morti.

Don Gino è certamente una bella figura; anch’io spero che sia già con il Signore; però intanto preghiamo. Questa Messa la diciamo in suffragio della sua anima, e i sacrifici che ognuno di noi incontra nella vita offriamoli almeno quest’oggi perché il Signore accolga accanto a Sé il nostro don Gino, e gli dia in Cielo quella gloria che con il sacrificio della sua vita generosa ha meritato sulla terra.

OMELIA per la SOLENNITA’ del CORPUS DOMINI
Faenza, Chiesa del Paradiso - 3 giugno 2010
05-06-2010

‘Io ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso’. S. Paolo è consapevole di avere ricevuto un dono, che come tale deve essere diffuso e trasmesso. È la logica dell’amore, che sta all’origine del mistero dell’incarnazione e della salvezza operata da Cristo.

La breve introduzione che S. Paolo ha messo al racconto dell’istituzione dell’Eucaristia nella notte in cui Gesù veniva tradito, ci aiuta a cogliere un aspetto prezioso del rito che anche noi celebriamo, e dal quale vogliamo raccogliere tutta la grazia che contiene. Il dono ricevuto deve essere a sua volta distribuito; riceviamo amore, dobbiamo diffondere amore.

Vogliamo entrare nella realtà viva del mistero eucaristico, nel quale Cristo ha voluto coinvolgere anche noi, per prenderci l’impegno che ci viene chiesto. Gesù non ha mai voluto fare tutto da solo: nella moltiplicazione dei pani e dei pesci chiama i suoi apostoli ad aiutarlo; nelle guarigioni chiede la fede in Lui; nella sua missione di salvezza manda gli apostoli, come il Padre ha mandato Lui.

Nell’istituire l’Eucaristia unisce a Sé i suoi discepoli, cosicché essi non possono più fare nulla senza di Lui. S. Paolo, racconta con fedeltà gli eventi ed è consapevole della ricchezza di quel gesto: ‘Questo è il mio corpo che è per voi’ questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; ogni volta che ne bevete, fate questo in memoria di me’.

Noi giustamente chiamiamo ‘comunione’ il nutrirci del corpo e del sangue del Signore, perché è il modo più forte che abbiamo per unirci a Lui qui sulla terra, prima che Egli ritorni alla fine dei tempi, quando Egli sarà tutto in tutti.

Mediante l’Eucaristia gli apostoli vengono uniti a Cristo nella sua morte e risurrezione: loro non lo sapevano ancora, ma Gesù ha voluto che fossero partecipi con Lui da subito nella nuova alleanza.

I doni di Dio sono sempre imprevedibili. Nel racconto del vangelo la gente seguiva Gesù per ascoltare la sua parola, e Gesù dona loro, oltre all’annuncio del Regno, la guarigione dalle malattie e il pane per la loro fame. Questo era il segno di ciò che avrebbe poi fatto, donando Sé stesso, per rispondere alla nostra fame e sete di infinito e di eternità. L’Eucaristia è per noi nello stesso tempo annuncio, guarigione e pane della vita.

Agli apostoli e a quanti saranno scelti per il sacerdozio ministeriale Gesù chiede di perpetuare in sua memoria l’offerta del suo corpo e del suo sangue. A quanti partecipano del suo sacerdozio regale, chiede di offrire sé stessi al Padre e ai fratelli, nel gesto umile e amorevole del servizio.

Nel mistero dell’Incarnazione Cristo ci ha resi partecipi della sua natura divina, e ci ha messi a parte della sua missione sacerdotale, profetica e regale. L’Eucaristia unisce la nostra vita a quella di Cristo nell’offerta sacerdotale al Padre, ci dà coraggio per annunciare la salvezza a tutto il mondo, e ci aiuta ad operare nelle realtà terrene per orientarle verso il Regno. È questo il primo servizio che impariamo dall’Eucaristia.

Nel ricordare la bellezza e la singolarità del ministero presbiterale, vogliamo riconoscere il dono dell’Eucaristia che si ravviva nella Chiesa solo mediante il presbitero. Non è un privilegio che voglia escludere qualcuno. Infatti, mentre il presbitero offre il sacrificio di Cristo, unisce in esso tutti coloro che vi partecipano con l’offerta di sé stessi; e mentre chiede perdono per i propri peccati, lo chiede anche per i peccati di tutto il mondo.

Anche il presbitero, come Cristo, è sacerdote alla maniera di Melchisedech, non tanto perché offre in sacrificio pane e vino, quanto piuttosto perché invoca la benedizione del Dio altissimo su Abramo, e benedice il Dio altissimo ringraziandolo per la vittoria di Abramo, facendosi così mediatore tra Dio e gli uomini. Il sacerdote è colui che offre e intercede, come Cristo, perché sempre ce ne sarà bisogno.

Agli apostoli che pensavano di aver fatto abbastanza a chiedere a Gesù di smettere di predicare perché la gente potesse provvedere alla propria fame, Gesù rivolge invece un invito: ‘Voi stessi date loro da mangiare’. È quello che ripete anche a noi ogni volta che preghiamo che il Signore provveda il cibo a chi ha fame, facendoci capire che ce ne sarebbe abbastanza per tutti se non ci fosse chi lo spreca e chi pensa di accumulare per sé.

‘Il sacerdote ci dona l’Eucaristia; l’Eucaristia ci porta al servizio’. Nella processione che faremo prolungando la celebrazione eucaristica, vogliamo ricordare a noi stessi e a tutti che è questa la forza del nostro impegno, il fondamento della nostra speranza, e la fonte del nostro servizio. Non ci interessa la gratitudine per il risultato, né ci spaventa la pochezza delle nostre risorse: ci basta sapere che il Signore ci chiede di dare a Lui i nostri cinque pani e due pesci per amore, perché è l’amore che salva il mondo.

OMELIA per l’ORDINAZIONE DIACONALE di FABRIZIO LIVERANI
Faenza, Basilica Cattedrale - 5 giugno 2010
05-06-2010

L’ordinazione diaconale nella solennità del Corpo e Sangue di Cristo ci suggerisce di riflettere sul profondo legame che unisce il ministero del diacono all’Eucaristia. Sorto per iniziativa degli apostoli per servire alle mense dei poveri assistiti dalla prima comunità cristiana, il servizio di carità del diacono è diventato in modo sempre più chiaro la dilatazione del servizio all’altare, dal quale il diacono non solo prendeva i doni da distribuire ai poveri, ma attingeva anche la grazia per testimoniare la carità di tutta la comunità.

Nel racconto della moltiplicazione dei pani ascoltato nel vangelo gli apostoli hanno compiuto, su invito di Gesù un tipico gesto diaconale, prestando le loro mani a Cristo nel compiere il suo miracolo; essi distribuivano, ma era l’amore di Cristo che moltiplicava i pani e i pesci. La moltiplicazione dei pani è arrivata al termine di una giornata nella quale era stato diffuso con abbondanza l’annuncio del Regno, insieme alla guarigione di quanti avevano bisogno di cure. Nei segni che anticipavano la realtà della Chiesa troviamo tutto ciò che sarà attenzione propria del ministero diaconale: l’annuncio del Vangelo, la cura dei malati e dei sofferenti, la distribuzione dell’Eucaristia.

Nella preghiera di ordinazione che tra poco il vescovo pronuncerà sentiremo queste parole: ‘Ora, Padre, ascolta la nostra preghiera: guarda con bontà questo tuo figlio, che noi consacriamo come diacono, perché serva al tuo altare nella santa Chiesa’.

Nel servizio all’altare il diacono sarà in particolare colui che al termine della preghiera eucaristica solleva il calice, mentre il celebrante proclama la solenne dossologia: ‘Per Cristo, con Cristo e in Cristo a te Dio Padre onnipotente, nell’unità dello Spirito Santo ogni onore e gloria, per tutti i secoli dei secoli’. E il popolo acclama: ‘Amen’. Il rapporto con l’Eucaristia, diventa un rapporto ancora più particolare con il Calice del Sangue di Cristo.

S. Paolo ci ha ricordato a questo riguardo le parole di Cristo nell’ultima Cena: ‘Questo calice è la Nuova Alleanza nel mio sangue; fate questo ogni volta che ne bevete in memoria di me’. L’offerta del sacrificio di Cristo riguarda ovviamente tutta la sua realtà umana e divina, ma è soprattutto il suo sangue versato che ci fa cogliere l’offerta della vita e la misura del suo amore infinito per ottenerci il perdono dei peccati dalla misericordia del Padre.

Nel calice che viene sollevato a gloria del Padre per Cristo, con Cristo e in Cristo c’è il sangue che raccoglie tutta la sofferenza del mondo insieme a quella di Gesù, e c’è il sangue che ha meritato il perdono di tutte le colpe degli uomini. Quando il diacono tiene tra le sue mani il calice della Messa, si unisce misteriosamente nel gesto liturgico alla Nuova Alleanza dove Cristo ci rappresenta tutti davanti al Padre. Anche per questo il diacono sarà il primo, dopo i celebranti, a comunicarsi al Corpo e al Sangue di Cristo.

Ciò che si celebra nel mistero si vive nel ministero. Il gesto di portare sull’altare nel calice della Messa la sofferenza di Cristo e del mondo, dona la grazia per essere accanto a tutta la sofferenza degli uomini e delle donne per unirla nell’amore a quella di Cristo, perché diventi dono di salvezza. Quante volte di fronte alla sofferenza fisica e morale delle persone e delle famiglie non si sa che cosa dire, perché il dolore è sempre un mistero. In questi casi il solo atteggiamento vero è quello tenuto da Maria sotto la croce, nella fedeltà di una condivisione fatta di presenza, di partecipazione e di offerta. Per fortuna che si può mettere tutto nel calice eucaristico, a nome anche di chi non sa o non ci pensa, perché niente vada perduto di un vissuto umano così prezioso per la salvezza del mondo.

Per il diacono essere accanto ai sofferenti diventa l’occasione per mostrare con un gesto di carità l’attenzione riconoscente di tutta la comunità verso coloro che stanno portando la croce, e ‘danno compimento a ciò che dei patimenti di Cristo, manca nella (loro) carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa‘ (cfr Col 1, 24).

Insieme alla sofferenza, nel calice troviamo anche il perdono, meritato dal sangue di Cristo. È il fondamento della nostra speranza. Se non sapessimo di essere perdonati, rimarremmo schiacciati dal peso delle nostre colpe, in una disperazione senza esito. Il perdono dei peccati è frutto dell’amore che Cristo ha mostrato nel sacrificio di croce. Essere perdonati è avere la certezza di essere amati dal Padre fino ad accoglierci nuovamente come figli, in un amore mai venuto meno anche quando noi ci eravamo allontanati. Il gesto di elevare il calice del sangue di Cristo vuol dire mettere tra noi e il Padre il suo Figlio sacrificato per noi. ‘In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati’ (1Gv 4,10).

Nel servizio all’altare c’è anche la distribuzione dell’Eucaristia, perché la comunità cresca come corpo mistico di Cristo, nell’unità di un solo corpo, quanti mangiamo di quest’unico pane (cfr 1Cor 10,17). Per questo il diacono nella sua comunità è un uomo di comunione, insieme al presbitero ministro dell’unità, per essere una cosa sola perché il mondo creda.

Carità e comunione sono frutto della grazia del sacramento dell’Ordine, anche nel grado del diaconato, che mediante il ministero del Vescovo la Chiesa questa sera conferisce al nostro fratello Fabrizio. Siamo grati anche alla sua famiglia che in qualche modo sarà coinvolta nel suo ministero ecclesiale. Preghiamo perché lo Spirito Santo sia largo di benedizioni per tutti coloro che hanno accompagnato Fabrizio nel suo cammino fino alla consacrazione diaconale, e per coloro che mediante la vita e il ministero di questo nostro fratello incontreranno un segno vivo dell’amore del Padre per ciascuno dei suoi figli, soprattutto i piccoli e i sofferenti.

OMELIA nel 700 ANNIVERSARIO della MORTE di S. UMILTA’
Faenza, Basilica Cattedrale - 22 maggio 2010
23-05-2010

Che cosa ha da dire oggi, a noi uomini e donne del terzo millennio, una suora morta sette secoli fa in pieno Medio evo?

Per chi non conosce S. Umiltà di Faenza, non ritengo impossibile un atteggiamento simile, che finisce per essere uno dei tanti pregiudizi che ci impediscono di conoscere i tesori nascosti della nostra storia di famiglia.

Intanto questa Santa è ancora presente in mezzo a noi con le sue figlie spirituali, che hanno continuato la sua opera educativa attraverso l’esempio della loro vita monastica e la scuola. La loro comunità monastica è stata uno strumento di crescita per molte persone che hanno voluto far tesoro della propria vita in questo mondo, tenendo presente nello stesso tempo il proprio destino eterno. È questa infatti la risposta vera al profondo desiderio del cuore di ogni uomo.

Ci orienta in questo pensiero la prima lettura dal libro del Siracide: ‘Avvicinatevi, voi che siete senza istruzione, prendete dimora nella mia scuola. Fino a quando volete rimanerne privi, mentre la vostra anima ne è tanto assetata?’

La vicenda umana di Rosanese Negusanti ha l’esperienza sufficiente per essere maestra per varie situazioni umane, essendo stata una donna di mondo, sposata con figli, consacrata nella vita eremitica e infine fondatrice di due monasteri.

La sapienza della sua dottrina non ha origine umana, ma deriva soprattutto dalla sua unione con Dio, e dalle ispirazioni misteriose che ha ricevuto, come ella stessa riconosce: ‘Quanto sono debitrice al mio Signore Gesù Cristo e alla mia beata Signora, che mi hanno scelto dal mondo, mi hanno colmata di grazie, mi hanno accolto come serva e chiamata alla vita religiosa’E se vi annunzio e vi narro la salvezza, o pronunzio parole sante, non è mio merito. Non rendete onore a me, perché parlo con la lingua, ma queste parole non sono mie. Infatti non sono una maestra: in che modo potrei insegnare a voi? Date lode alla regina perché sua è la benevolenza: lei infatti è la maestra di tutte le genti che da lei vogliono imparare‘ (Sermoni IX,17-19).

Ciascuno di noi ha a disposizione la propria vita come unica opportunità, che deve essere vissuta senza sbagliare l’obiettivo e il modo di raggiungerlo. L’obiettivo è quello di arrivare oltre a questa vita che finisce, per entrare nella vita eterna. La vita vera non può finire, ed è chiaro che non può essere quella che viviamo quaggiù; sono troppe infatti qui le differenze e le ingiustizie, per cui ci deve essere la vita alla quale ci sentiamo di aspirare.

Il modo per arrivarci è la via che ci ha tracciato il Signore, venuto nel mondo apposta, visto che da soli non riuscivamo a trovarla. Come dice San Pietro: ‘voi foste liberati dalla vostra vuota condotta ereditata dai vostri padri, con il sangue prezioso di Cristo’, per cui ‘comportatevi con timore nel tempo del vostro pellegrinaggio‘.

Chissà perché la prima reazione che ci viene in mente di fronte a queste considerazioni è che con questi discorsi qualcuno ci voglia rendere la vita triste, togliere il divertimento, farci soffrire; mentre la nostra aspirazione è quella di goderci la vita. Il punto è proprio questo, capire dov’è la vera gioia: se sta nel pensare solo a noi, o non piuttosto nel tenere conto anche degli altri, che ci stanno attorno, tanto più se Colui che ci ha dato la vita alla fine vuole sapere che cosa ne abbiamo fatto.

S. Umiltà è maestra di vita attraverso i Sermoni che ci ha lasciato, indirizzati alle sue monache e attraverso loro a tutto il popolo cristiano. Lo dice lei stessa: ‘Possono chiamarsi religiosi tutti coloro che possiedono le virtù, sebbene non vivano sotto una regola, né siano separati dal mondo, o indossino abiti diversi, perché non sono i vestiti a farli santi’ (VIII,41).

Con il linguaggio immaginoso proprio del tempo la sua dottrina illustra anzitutto i misteri dell’incarnazione del Signore, e quello della sua passione e morte. Poi indica il percorso che l’uomo deve fare per diventare Dio, perché Gesù Cristo è morto e risorto per questo. Modello di questo cammino è la Vergine santa.

All’uomo, per raggiungere questo ideale, viene chiesto di morire a se stesso, per seguire Cristo. È quanto il vangelo ci ha detto, con le due brevi parabole sul Regno dei cieli. Chi trova questo tesoro ‘va, vende tutti i suoi averi’ e compra il campo o la perla preziosa che ha scoperto. In questo percorso anche i santi incontrano la prova, la ‘notte dell’anima’, quando tutto diventa difficile e anche Dio si nasconde.

Ma l’anima che ha intuito per la grazia dello Spirito santo qual è il segreto per la vera vita arriva a dire più volte nel Sermone XI: ‘Io ti chiedo solo amore’. Questo insegnamento è valido per tutti i tempi.

È l’insegnamento del Salmo: ‘Ricordati, Signore del tuo amore, della tua fedeltà che è da sempre’. È ciò che impara lo scriba del vangelo, diventato discepolo del Regno: saper far tesoro delle cose nuove e delle cose antiche, purché siano vere.

È quello che ha saputo fare S. Umiltà sette secoli fa. È quello che viene proposto anche a noi oggi, alla scuola del vangelo e sull’esempio dei santi: è possibile vivere letteralmente da Dio in questa vita, se non ci lasciamo ingannare a questo riguardo come Adamo, dal Maligno, ma ci lasciamo condurre dall’insegnamento di Gesù e dall’esempio dei santi. È questo che vuole Dio stesso per la nostra gioia eterna, che se non fosse eterna non sarebbe nemmeno gioia.

Nel fare memoria di questa nostra santa patrona a settecento anni dalla sua nascita al Cielo, oltre ai sentimenti di riconoscenza da parte di tutta la città per quello che ha continuato a fare per Faenza in questi secoli attraverso le sue Monache, vogliamo fare tesoro del suo perenne insegnamento di vita evangelica. Anche il nostro tempo ha necessità di riscoprire l’importanza della santità in tutte le situazioni della vita, per la serenità delle persone e per la pace della società. Per una comunità il ricordo vivo dei propri Santi è motivo di conforto per il presente e di speranza per il futuro, perché a nulla varrebbe il progresso tecnologico ed economico senza una crescita ancora maggiore nelle virtù. I nostri Santi sono il vero nostro vanto, e la promessa di tempi migliori.

OMELIA per la SOLENNITA’ della MADONNA DELLE GRAZIE
Faenza, Basilica Cattedrale - 8 maggio 2010
09-05-2010

È sempre molto significativa questa celebrazione davanti all’immagine della B. Vergine delle Grazie, perché con un gesto di particolare rilevanza si riconosce la Patrona della nostra Città con l’offerta simbolica di alcuni ceri, presentati dai rappresentanti dei Rioni, per indicare la partecipazione di tutta la Città a questo omaggio.

È una tradizione che ci piace mantenere, anche se sappiamo bene che non si può pensare ad una totalità di adesione da parte dei Faentini, in un gesto di fede e di amore. Eppure è bello che siano tutti qui ricordati e presentati, sia coloro che partecipano e sono contenti di  condividere il gesto di devozione, sia coloro che sono ugualmente amati, seguiti e ben voluti dalla Madre di tutti. Noi pensiamo in questo modo di non fare torto a nessuno se compiamo un gesto senza la pretesa di una adesione totale, ma con la convinzione di essere comunque di aiuto per tutti.

Oggi è sempre più difficile per una comunità civile che vi sia una adesione compatta nella fede. Ciò non toglie però che per quanti hanno il dono della fede e vivono il loro impegno pubblico come una testimonianza coerente, questo sia un dono, una grazia e una opportunità  a beneficio di tutti. Non è quindi soltanto un modo di fare o un gesto folcloristico, come a qualcuno potrebbe sembrare, ma è un modo esterno e pubblico di dire la nostra devozione alla Vergine e di chiedere la protezione per l’impegno di quanti nella fede trovano motivo di servire il proprio paese.

La coscienza della Chiesa di essere guidata dallo Spirito Santo, come abbiamo sentito nella prima lettura, aiuta a vedere l’importanza del bene comune nella comunità. Abbiamo sentito come fu risolto il problema del dissidio tra coloro che volevano sottomettere alla legge di Mosè i nuovi credenti in Cristo e gli Apostoli che invece riuscirono, nel primo concilio di Gerusalemme, a trovare una soluzione. Questo problema allora era rimasto all’interno della Chiesa.

Però questo gesto ci aiuta a capire come si possono affrontare le cose per il bene di tutti. Gli Apostoli hanno scritto: ‘Abbiamo deciso lo Spirito santo e noi, di non imporvi nessun altro obbligo al di fuori di queste cose necessarie’. Si trattava di richieste molto semplici, legate alla storia, tant’è vero che oggi non ne parla più nessuno. L’importanza dell’intervento degli Apostoli non sta tanto nella soluzione trovata in quel momento storico, quanto piuttosto nell’avere messo in evidenza la dinamica che nella Chiesa si può instaurare quando c’è la coscienza che lo Spirito santo indichi qualche cosa per il bene di tutti.

Questo credo che si possa applicare, fatte le dovute proporzioni, anche all’impegno che i cattolici ritengono di poter avere nella comunità civile, quando sostengono delle scelte per il bene di tutti non in base alla loro fede, ma con gli argomenti di ragione che si rifanno alla legge morale naturale. Poi che loro abbiano un motivo in più per sostenere questo, perché lo trovano coerente all’insegnamento del Vangelo e della Chiesa è un fatto che può essere loro di conforto, ma non deve diventare né argomento per proporre queste cose agli altri, né motivo per gli altri per non poterle accettare perché coloro che le propongono sono i cattolici. Cose che stanno avvenendo, di cui non ci stupiamo più di tanto nel nostro paese; però mi pare che in questo modo non favoriamo una collaborazione che sia per il vero bene della nostra comunità civile.

La lettura dell’Apocalisse ci ha presentato la descrizione della Chiesa gloriosa nel cielo con l’immagine di una città, la nuova Gerusalemme, la Chiesa celeste verso la quale siamo incamminati. Non siamo fatti per stare sempre quaggiù. La città dell’uomo nella sua realtà deve anticipare in qualche modo quella del cielo, nel senso che, se noi siamo fatti per arrivare in questa città perfetta che l’Apocalisse ci ha descritto, vuol dire che siamo fatti per vivere anche qui in una città se non perfetta, almeno vicina a quella perfezione.

Per esempio vengono indicate nelle mura della città delle porte aperte in tutte le direzioni sia per entrare sia per uscire, segno della libertà che ci deve essere in questa convivenza. Certo in Paradiso su questo non ci saranno discussioni; ma da questo particolare si può comprendere come sia prezioso anche per noi questo valore umano per la nostra vita associata. Se l’uomo è destinato a queste condizioni nell’eternità, quanto più anche su questa terra la vita si avvicina a quelle condizioni, tanto più sarà felice perché conforme alla natura dell’uomo. Per esempio riconoscere che siamo tutti uguali per natura, riconoscere a tutti gli stessi diritti fondamentali come quello della vita, della libertà, del lavoro, ecc; in modo che tutto sia costruito anche nella città terrena tenendo presente il bene di tutti.

Infine la pagina del vangelo, che contiene molti spunti di riflessione secondo la fede. Ma in questa occasione mi piace fermarmi sull’accenno che Gesù fa alla pace: ‘Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo io la do a voi’. Come dà il mondo la pace? Costruendo un equilibrio di forze, fondato sulla paura, perché non ci si fida di nessuno. Comprendiamo certo che è benedetta anche la pace costruita così; però capiamo anche come sia disumano questo modo di muoversi. Gesù invece fonda la pace su fondamenti più consistenti: la giustizia, la verità, la libertà e l’amore. Sono questi i pilastri sui quali si può costruire una pace duratura, sostenibili con argomenti umani e secondo ragione che si possono condividere da parte di tutti. Questo non toglie che vi sia una marcia in più da parte di chi sa che dietro questi fondamenti c’è anche la grazia di Dio.

Pensiamo cosa vuol dire per la pace sociale nel nostro paese salvare la verità per esempio nelle conoscenze storiche, circa gli eventi che ci hanno messi insieme; pensiamo come sarà importante ricercare la verità autentica sull’origine dello Stato unitario che ci apprestiamo a celebrare. Questo perché la pace è un bene che preme a tutti, e non vogliamo che sia costruita sul tacere e non dire alcune cose, ma nel ricuperare la verità, la libertà, la giustizia e l’amore.

Ringrazio e saluto i Rioni per la loro partecipazione; saluto il Sig. Sindaco che è presente in questa bella circostanza. Chiediamo alla Vergine l’aiuto per la serenità delle famiglie della nostra città e diocesi, per quelle soprattutto che sono provate dalla malattia, dal dolore, dalla perdita del lavoro che cominciano ad esserci anche tra noi con problemi seri. Preghiamo perché anche in queste situazioni la nostra carità sia un segno di vicinanza e di conforto, e diventi lo strumento attraverso il quale la Vergine santa mostra di avere ascoltato le nostre preghiere.

                                                                                                             

OMELIA per la FESTA DEL LAVORO
Faenza, S.Giuseppe Artigiano - 1 maggio 2010
01-05-2010

La festa di S. Giuseppe, patrono dei lavoratori, ci aiuta ad avere presenti molti aspetti della nostra vita, legati al disegno che Dio ha per ogni uomo.

Nella prima lettura il racconto della creazione si ha ricordato che Dio ha posto l’uomo come la creatura più alta nel mondo. ‘Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo’. Questo linguaggio dice la preminenza dell’uomo nel creato e ci rivela che al di sopra dell’uomo c’è soltanto Dio.

Più precisamente Dio ha voluto nel progetto della creazione la presenza di suo Figlio fatto uomo; per cui l’uomo attinge dignità anche da questa ulteriore finalità che Dio ha avuto nella creazione: ‘Per mezzo di lui e in vista di lui tutto è stato fatto’.

Al di là di queste considerazioni molto belle, che ci dicono la grandezza che Dio ha posto nell’uomo, vogliamo vedere che cosa ancora oggi a noi dice il disegno di Dio, perché dopo l’inizio così bello voluto da Dio ci fu il peccato. Il peccato non cambiò il progetto di Dio, ma cambiò il rapporto dell’uomo verso il creato, oltre che verso Dio. L’uomo cominciò a guardare il creato con atteggiamento egoistico pensando di sfruttarlo. Vediamo anche oggi, con i disastri di questi giorni, cosa sta producendo una visione errata del rapporto tra l’uomo e il creato. L’uomo con una certa ingordigia sta sfruttando le risorse e le energie del creato. Dio invece aveva voluto che l’uomo collaborasse con Lui a perfezionare la creazione, come ha detto anche la preghiera all’inizio della Messa. Dio non ha voluto fare tutto, ma ha lasciato qualche cosa anche a noi, perché completassimo e perfezionassimo il creato, e non soltanto ne capissimo le dinamiche per approfittarne.

Il testo della Genesi poi ci ha detto che Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò. È il giorno del riposo, il giorno che Dio si riserva dopo avere compiuto l’opera della creazione. Questo ci dice che il tempo è di Dio, il tempo ci è donato, è una opportunità. E come tutti i doni  vanno valorizzati, accolti e investiti. Il tempo Dio ce lo dà gratuitamente, ma poi ce ne chiede conto. Il tempo della festa è prezioso perché è quello che dà senso a tutto il resto.

Quando diciamo che il lavoro è per l’uomo, forse non comprendiamo subito cosa significa e come si fa a metterlo in pratica. Pensiamo allora cosa vuol dire salvare il valore della famiglia nel lavoro; come viviamo il riposo, senza scambiarlo con il tempo libero impegnato in ulteriori stress, come qualcuno fa, soprattutto tra i più giovani, che invece di riposare alla notte cercano lo sballo. Il riposo è importante per distendersi, ricuperare le energie, avere del tempo per se stessi e per la famiglia. Pensiamo l’importanza di mantenere e coltivare le amicizie, le opere di carità; l’avere un tempo per la cultura, per la preghiera. Non c’è solo il lavoro. Il lavoro se non è arricchito da tutti questi altri aspetti della vita, rischia di perdere la sua vera dignità.

S. Paolo ci ha detto: ‘Al di sopra di tutto vi sia la carità’. Il Papa nella sua ultima enciclica di carattere sociale Caritas in veritate, ci ha dato un suggerimento al riguardo. Ha detto: ‘La dottrina sociale della Chiesa ritiene che possono essere vissuti rapporti autenticamente umani di amicizia e di socialità, di solidarietà e di reciprocità, anche all’interno dell’attività economica e non soltanto fuori di essa o dopo di essa’ (n.36).

Il Papa vuol dire che noi sappiamo che la carità, l’aiuto, la solidarietà si possono fare in tante occasioni. Noi però diciamo: intanto pensiamo a lavorare, poi faremo anche questo. No, dice il Papa, anche all’interno dell’attività economica, quindi dell’impresa, della produzione del reddito, anche lì dobbiamo trovare il modo di non dimenticarci che al di sopra di tutto ci deve essere la carità.

Nell’impresa non c’è solo il perseguimento del massimo profitto, ma va tenuto presente anche il bene comune, per esempio nel rapporto con i paesi in via di sviluppo, se si vuole guardare al mondo in modo più ampio; si deve tenere conto del capitale umano di esperienza, di cultura, di interesse per tutti; così pure si devono tenere presenti le situazioni particolari dei singoli lavoratori e delle loro famiglie. Ci sono quindi degli aspetti che ci possono suggerire come tenere presente la carità dappertutto. Questo per dire che c’è ancora qualcosa da fare per umanizzare il lavoro.

Nel vangelo si è parlato del Signore Gesù, e anche di Giuseppe in modo indiretto, quando la gente diceva: ‘Non è egli il figlio del carpentiere?’. Lo conoscevano e sapevano che era figlio di un lavoratore e lavoratore lui stesso. Noi sappiamo che in cielo il Signore Gesù, oltre alle piaghe della sua passione, porta nelle sue mani il segno dei calli di lavoratore. Poi come siano le cose in cielo non ci è stato ancora rivelato, ma la sua umanità è stata segnata anche dalla fatica del lavoro. Benedici Signore l’opera delle nostre mani, abbiamo ripetuto nel ritornello del salmo responsoriale, perché anche sulla fatica delle nostre attività vogliamo ottenere la protezione e l’aiuto del Signore.

Il lavoro è un completamento della persona, nel rispetto della dignità umana e come mezzo di partecipazione allo sviluppo del mondo. Capiamo allora come sia un diritto di tutti avere un lavoro adeguato. Ricordarcelo non vuol dire soltanto pensare a quello che devono fare i governi o i datori di lavoro. Vuol dire anche riflettere su quello che noi possiamo fare. In tempi di difficoltà è più grave avere un secondo lavoro, quando c’è qualcuno che non ha nemmeno il primo; così bisogna riflettere molto sul ritardare la pensione, quando questo può impedire il subentro dei giovani nell’attività lavorativa. Questi temi ci riguardano tutti, e noi cristiani dobbiamo trovare il modo di riflettervi in modo costruttivo.

La gente che ascoltava Gesù si chiedeva: ‘Da dove mai viene a costui questa sapienza e questi miracoli?’ Certo rimaneva stupita di fronte a quello che Gesù compiva, ma ammirava anche la sua sapienza. Questo ci dice come sia importante anche per noi partecipare alla conoscenza dell’insegnamento del Signore, approfondendo quello che Lui ha voluto insegnarci con la sua parola.

Anche per chi lavora è necessaria la formazione. Oltre alla formazione tecnica, è necessaria la conoscenza della Dottrina sociale della Chiesa, sui temi del lavoro, della famiglia, della vita sociale, nazionale e mondiale. Sono tutti aspetti sui quali non possiamo accontentarci che ci sia solo qualcuno che sa qualche cosa. Renderci conto, approfondire, conoscere certi problemi fa parte del rispetto della dignità dell’uomo che lavora.

In particolare il lavoratore cristiano ha un ruolo importante per animare con la fede le realtà temporali, senza subire in modo passivo l’influsso delle ideologie dominanti. Noi abbiamo una grande risorsa nell’insegnamento della Chiesa. Ho citato l’ultima enciclica del Papa. Se oltre a leggerla la approfondiamo insieme nei nostri gruppi, ci accorgiamo che ci sono delle indicazioni che possono fare bene non solo a noi ma anche a coloro, con i quali poi ci troviamo insieme nel lavoro e nella vita sociale, verso i quali abbiamo il dovere di dare il nostro contributo qualificato.

In questa giornata ci ricordiamo che per tutti il lavoro è un diritto, per il mantenimento proprio e della famiglia, per il perfezionamento della propria personalità, per fare la propria parte nella società. Per questo vogliamo pregare perché le difficoltà di questi giorni si possano presto superare. Inoltre cogliamo l’occasione per chiederci che cosa possiamo fare  per arricchirci con una conoscenza migliore, con una formazione più completa, che faccia tesoro di ciò che la Chiesa nella sua sapienza ci sta offrendo.

OMELIA per il 65 ANNIVERSARIO della LIBERAZIONE
25-04-2010

Nell’anniversario della liberazione, celebriamo questa Messa per ricordare coloro che persero la vita nella difesa della nostra libertà, per ringraziare il Signore per il dono della libertà riconquistata e per comprendere la grazia del lungo periodo di pace che ne è seguito nel nostro paese e in Europa.

La ricorrenza annuale di un evento così importante per la nostra storia deve anzitutto farci ricordare il dovere della gratitudine, che per i credenti deve concretizzarsi nella preghiera, in particolare per i defunti, e per tutti coloro che con il loro impegno civile e politico hanno aiutato la ricostruzione materiale e morale del paese. Per tutti c’è l’impegno di valorizzare questa grande opportunità, per il bene non solo della nostra nazione, ma anche della comunità dei popoli.

Fare memoria oggi vuol dire guardare avanti, nella difesa attiva dei valori che i nostri padri seppero ricuperare dalle radici della nostra civiltà, inserendosi nel cammino con gli altri paesi liberati. L’avere raggiunto il traguardo della liberazione con l’aiuto di altre nazioni, ci ha unito in un percorso di ampie dimensioni, che oggi dovrebbe aiutarci a lavorare insieme per il progresso umano di tutti i popoli, con i quali in qualche modo siamo in contatto.

Libertà, democrazia, pace, sviluppo economico e sociale sono conquiste che si raggiungono e si difendono insieme, o si perdono insieme. Non possiamo pensare di poter progredire da soli in un mondo in cui qualcuno debba rimanere indietro.

Forse è questa la sfida più difficile che il nostro tempo potrebbe riservarci, e faremmo un torto a coloro che oggi ricordiamo se il nostro impegno non fosse rivolto ugualmente a tutti.

Nella domenica del Buon Pastore, mentre preghiamo per i pastori che Cristo ha voluto per la sua Chiesa, perché non vengano mai meno e siano trovati fedeli, preghiamo anche per coloro che hanno la responsabilità politica della pace, della libertà e dello sviluppo dei popoli, perché sappiano difendere e far progredire questi beni essenziali per la vita di tutta la famiglia umana.

OMELIA per la PASQUA 2010 (sintesi)
04-04-2010

Finalmente la Pasqua, una notizia bella, che ci fa bene, di cui abbiamo bisogno, tanto più, quanto più è stata buia la notte dell’attesa.

Ogni anno è così, sembra quasi che la Pasqua sia messa apposta in quella data, per aprirci alla speranza, per dirci che non è vero che non c’è più nulla da fare, per offrirci un riferimento sicuro, che è vero sempre, che ha già superato tante sventure, tante cattiverie, tanti ostacoli che sembravano insormontabili. La vittoria pasquale di Cristo viene presentata ogni anno, perché ogni anno ne abbiamo bisogno.

Il racconto della scoperta di Cristo risorto è quanto di più sorprendente possiamo incontrare. Le donne vanno al mattino presto alla tomba e si sentono dire: ‘Perché cercate tra i morti colui che è vivo? È risorto, non è qui’.

Sapere che Gesù è vivo, che è apparso oltre che alle donne anche  a Simone e agli altri apostoli, è la buona notizia che ha cambiato la storia del mondo; e ancora oggi la può cambiare, se quell’evento entra nella nostra vita di credenti.

Il mistero della Pasqua è tutto qui: Gesù è vivo, e ognuno di noi lo può incontrare nella Chiesa, nella sua Parola, nei sacramenti mediante la fede, ed essere una creatura nuova.

Quanto più il male dilaga, tanto più si rende necessaria una risposta forte e vincente; non se ne esce con un compromesso, con lo scendere a patti, con il cambiare le regole. Se Dio è sceso dal cielo ed è morto per mostrarci il suo amore, ed è risorto per comunicarci la sua vita, è segno che noi da soli non ce la potevamo fare a liberarci dal male, dal peccato, dall’ignoranza, dall’insignificanza e dalla morte. Cristo invece con la sua morte e risurrezione e donandoci lo Spirito santo ha fatto tutto questo. Chi nella fede riesce ad accogliere questo dono, che gli è trasmesso nel battesimo, è una fortuna per se stesso e per tutti. C’è sempre bisogno di persone così, che sappiano vivere con questa fede, che sappiano infondere questa speranza e sappiano praticare questa carità.

Ma quando il male lo troviamo anche negli uomini di Chiesa? Certo il turbamento può essere grande e procurare disappunto e dolore. Non vogliamo però anche in questo caso, pensare che tutto sia perso; non vogliamo assecondare coloro che combattono la Chiesa e amplificano i fatti pensando di farla crollare, come una qualsiasi istituzione umana. Se la Chiesa continua nel tempo non è certo merito dei suoi uomini, ma solo dello Spirito santo che la anima, e del Cristo suo capo che la guida. Ecco perché anche in questi casi dobbiamo amare sempre di più la Chiesa, stare vicino con affetto al S. Padre e pregare per tutti i suoi figli peccatori. Non per niente Cristo ha detto che le porte degli inferi non prevarranno contro di essa, compresi coloro che in modo più o meno consapevole agiscono dall’interno.

Il Papa al termine della Via crucis al Colosseo ha detto: ‘Viviamo nell’attesa dell’alba del terzo giorno, l’alba della vittoria dell’amore di Dio, l’alba della luce che permette agli occhi del cuore di vedere in modo nuovo la vita, le difficoltà, la sofferenza. I nostri insuccessi, le nostre delusioni, le nostre amarezze che sembrano segnare il crollo di tutto sono illuminate dalla speranza. L’atto di amore della croce viene confermato dal Padre e la luce sfolgorante della Risurrezione tutto avvolge e trasforma. Dal tradimento può nascere l’amicizia, dal rinnegamento il perdono, dall’odio l’amore. Donaci Signore di portare con amore la nostra croce, le nostre croci quotidiane, nella certezza che esse sono illuminate dal fulgore della tua Pasqua’.

Non meravigliatevi se il vostro vescovo coglie l’occasione della Messa di Pasqua per aiutarvi a vedere alla luce della fede una situazione che merita tutta la nostra partecipazione, sia nell’essere vicini alle vittime degli abusi e delle violenze, sia nel cercare, per quanto dipende da noi, di eliminare il male, sia nel non lasciarci turbare dagli eventi.

Ricordiamo quanto ha detto Gesù: ‘Guai al mondo per gli scandali! È inevitabile che avvengano scandali, ma guai all’uomo per colpa del quale avviene lo scandalo!’ (Mt 18,7).

La Pasqua è vita, è grazia, è santità, è speranza, è amore, è gioia. Se lasciamo agire in noi la forza di Cristo risorto, anche da questo male Dio saprà ricavare un bene, anzitutto per coloro che in queste vicende hanno più sofferto, ma anche per tutti. ‘Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù’ pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra’.

OMELIA per la MESSA CRISMALE 2010
Faenza, Basilica Cattedrale - 1 aprile 2010
01-04-2010

Nell’anno sacerdotale la celebrazione della Messa crismale è il momento culminante di tutto l’anno, sia per il ricordo della istituzione del sacerdozio ministeriale, sia per la santa convocazione che testimonia la comunione di tutto il presbiterio.

Il sacerdozio di Cristo, partecipato a tutti i fedeli nel battesimo e nella cresima, ad alcuni fratelli scelti con affetto di predilezione, mediante l’imposizione delle mani viene partecipato per il ministero di salvezza, come diremo tra poco nel prefazio della Messa.

In questa celebrazione i presbiteri sono invitati a rinnovare le promesse che al momento dell’ordinazione furono fatte davanti al Vescovo, mettendo quindi in evidenza una loro particolare partecipazione a questa Eucaristia. È in questo giorno infatti che la Chiesa ricorda il dono che Gesù ha fatto insieme sia dell’Eucaristia sia del Sacerdozio.

Il Papa, facendo alla Chiesa il dono di questo anno particolare, lo ha legato alla figura del Santo Curato d’Ars, per ricordare il 150.mo anniversario della sua nascita al Cielo, per dare un patrono a tutti presbiteri con l’esempio della sua vita di pastore santo. Vogliamo allora lasciarci edificare da alcune parole, da lui usate nelle catechesi che faceva ai suoi fedeli, per riflettere sulla grazia del sacerdozio ministeriale.

‘Il prete non lo capiremo bene che in cielo. Se lo capissimo sulla terra, moriremmo non di spavento ma di amore. Tutti gli altri benefici di Dio non ci gioverebbero per nulla senza il prete. A che servirebbe una casa colma d’oro se non aveste alcuno che ve ne possa aprire la porta? Il prete possiede la chiave dei tesori celesti e ne disserra la porta; è l’economo del buon Dio, l’amministratore dei suoi beni. Senza di lui la morte e la passione di Nostro Signore non servirebbero a nulla’ Il prete non è prete per se stesso: egli non può darsi l’assoluzione né amministrarsi i sacramenti. Egli non esiste per sé, ma per tutti voi’.

Con un linguaggio molto vicino ai suoi ascoltatori il Santo Curato mette in evidenza quello che il prefazio ci dirà ancora: ‘Tu o Padre vuoi che nel nome di Cristo rinnovino il sacrificio redentore, preparino i tuoi figli alla mensa pasquale, e, servi premurosi del tuo popolo, lo nutrano con la tua parola e lo santifichino con i sacramenti’. È questo l’aspetto del ministero che attinge direttamente al mistero del presbitero che rappresenta in modo sacramentale Cristo pastore e guida del suo popolo. Lo viviamo anche noi con stupore e gratitudine, sapendo che nelle nostre comunità i sacramenti donano la grazia per la potenza divina. Considerando questa efficacia, il Santo Curato definisce il sacerdozio ‘l’amore del Cuore di Gesù’.

Ma tenendo conto del ministero, con una espressione che quasi ci stupisce, il Curato d’Ars usa alcune parole che sono certamente frutto anche della sua esperienza di confessore e di parroco: ‘Il sacerdozio è un incarico così pesante che se il prete non avesse la consolazione e la felicità di celebrare la Santa Messa, non potrebbe sopportarlo. No. Non c’è nessuno al mondo più disgraziato di un prete! Come trascorre la sua vita? A vedere il Buon Dio offeso. Il prete non vede che questo’.

In questi giorni possiamo aggiungere anche la sofferenza per le tristi notizie sul comportamento peccaminoso di alcuni sacerdoti, strumentalizzate dai mezzi di comunicazione, ma non per questo meno dolorose. La reazione giusta da parte nostra non può essere che la preghiera perché il Signore difenda i suoi ministri dal male, e un impegno maggiore nella santità. La Chiesa santa e sempre bisognosa di conversione, ha la forza dal suo Signore di superare i momenti anche più difficili.

È ovvio che al prete faccia dispiacere vedere offeso Dio e la sua Chiesa, e si senta in qualche modo coinvolto. Si potrebbe però ricordare a questo riguardo ciò che Dio disse a Samuele, dispiaciuto perché il popolo chiedeva un re: ‘Non hanno rigettato te, ma hanno rigettato me’ (1Sam 8,7).

Il prete resta necessario nell’economia della mediazione salvifica. Diceva il Santo Curato: ‘Lasciate una parrocchia vent’anni senza sacerdote, e si metteranno ad adorare le bestie’. Forse il nostro tempo è riuscito a peggiorare la situazione, perché ormai si adorano gli animali anche se c’è il prete.

Nelle sue catechesi ci sono indicazioni preziose perché il prete non si lasci soffocare né dagli insuccessi né dai suoi limiti personali: ‘Ciò che impedisce a noi preti di essere santi è la mancanza di riflessione. Non si rientra in  se stessi; non si sa ciò che si fa. La riflessione, la preghiera, l’unione con Dio sono le cose di cui abbiamo bisogno!’. Chiediamo al Santo Curato che ci aiuti a fare tesoro nella nostra vita di questi suggerimenti, per la nostra serenità e per il bene della nostra gente, che più che indaffarati vuole vederci ad attendere alle cose del Padre, come Gesù.

Come ogni anno vogliamo ricordare in questa Eucaristia i confratelli che il Signore ha chiamato a Sé da questa vita per il premio eterno: Mons. Arnaldo Caroli, don Giacomo Ragazzini, Can. Antonio Poletti, Mons. Nello Castellari e in questi ultimi giorni il Vescovo Mons. Franco Gualdrini. Li ricordiamo in questo giorno pensando a quanti fanno già festa in Cielo, e sono uniti a noi nel mistero della Comunione dei Santi. Il nostro ricordo affettuoso sia arricchito dalla nostra preghiera.

Ricordiamo anche i nostri confratelli ammalati o impediti, che stanno unendo le loro personali sofferenze al sacrificio di Cristo, a favore del suo Corpo che è la Chiesa. Il Signore dia loro il suo conforto  e la convinzione di non essere meno utili alla Chiesa ora di quando erano nell’attività pastorale.

Poi vogliamo stringerci fraternamente con coloro che in questo anno celebrano una ricorrenza significativa della loro ordinazione presbiterale: il venticinquesimo di don Anteo Cappelli, di don Maurizio Tagliaferri, di fra Franco Acanfora, di P. Vittorio Bosello, e il sessantacinquesimo di don Stelo Fenati, don Mario Monti, Mons. Giuseppe Piazza. Il Signore benedica le loro fatiche apostoliche e li conservi ancora alla nostra Chiesa e alla nostra amicizia.

Ricordiamo i presbiteri missionari originari della nostra Chiesa, per i quali è pure tradizione destinare la colletta all’offertorio della Messa. Questa estate, a Dio piacendo, farò visita a P. Giuliano Gorini nella sua missione, per testimoniare a lui la vicinanza della nostra Chiesa, che lo aiuta concretamente con la generosità di tanti confratelli e dell’associazione dei suoi amici. Questa visita vuole essere anche un segno di condivisione dell’impegno di tutti i nostri missionari.

Sabato scorso la nostra Chiesa diocesana ha vissuto un momento particolarmente intenso della sua storia, con l’apertura del processo per la causa di beatificazione e canonizzazione di P. Daniele Badiali, prete diocesano ucciso mentre era in missione in Perù nell’ambito dell’Operazione Mato Grosso. Conoscere meglio la sua breve vita, approfondire la sua spiritualità missionaria, cogliere l’esempio generoso del suo ministero potrà essere di incoraggiamento per tanti giovani e per i presbiteri del nostro tempo. Chiediamo al Signore che ce lo voglia ridonare con la grazia del riconoscimento della Chiesa sull’eroicità delle sue virtù.

Viviamo questa Eucaristia con la presenza festosa dei ministranti delle nostre parrocchie, che invitiamo a servire da vicino Gesù non solo attorno all’altare ma anche nelle scelte della vita, pronti a dire di sì ad ogni sua chiamata sull’esempio di P. Daniele, per il servizio e la gioia della nostra Chiesa.

OMELIA per l’APERTURA della fase diocesana del processo di BEATIFICAZIONE e CANONIZZAZIONE del SERVO DI DIO DANIELE BADIALI
Faenza, Basilica Cattedrale, 20 marzo 2010
20-03-2010

La Chiesa di Faenza-Modigliana conserva con particolare affetto la memoria di P. Daniele Badiali, presbitero diocesano fidei donum ucciso tredici anni fa nella prelatura di Huari in Perù, in una circostanza di carità pastorale eroica, da lui vissuta nell’attività missionaria dell’Operazione Mato Grosso.

La liturgia della V domenica di quaresima che stiamo celebrando ci ha ricordato nelle parole del profeta Isaia che Dio sta facendo una cosa nuova: ‘Proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?’. La novità vera che Dio vuole compiere è la conversione del nostro cuore, perché accogliamo l’invito che Gesù fa a tutti noi peccatori: ‘Va’ e d’ora in poi non peccare più’. L’onnipotenza di Dio si manifesta soprattutto nella misericordia e nel perdono, più ancora che nel prodigio della creazione. Direbbe P. Daniele: ‘Ogni giorno siamo sempre all’inizio della conversione ed è una grazia che riceviamo dal Signore poter ricominciare da capo’.

 

Anche quanto S. Paolo ha detto nel brano della lettera ai Filippesi illumina il nostro ricordo di P. Daniele: ‘Ritengo che tutto sia una perdita a motivo della sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore. Per lui ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero spazzatura, per guadagnare Cristo ed essere trovato in lui’.

 

Dio ci sta proponendo dei modelli di santità, per stimolarci a diventare nuove creature per la grazia della sua misericordia, nell’incontro con Gesù e nell’imitazione della sua vita.

 

In P. Daniele non è solo la sua vita che ci mostra una scelta definitiva per Cristo, ma anche le sue riflessioni, che arrivano a costituire un vero e proprio insegnamento, trasmesso nelle tante sue lettere, con una lucidità e una forza che stupiscono in un prete vissuto solo 35 anni.

 

Nell’occasione dell’apertura del processo diocesano per la causa di beatificazione, vogliamo cogliere alcuni spunti tra i più significativi del suo epistolario, che suggeriscono un messaggio quanto mai utile per il nostro tempo, in particolare per i giovani.

 

1 – La preoccupazione prevalente per P. Daniele è l’accorgersi ‘che l’uomo desidera vivere senza Dio e cerca di farsi una propria legge morale’ Si cerca di eliminare Dio’ in maniera a volte sottile e a volte palese, ma il risultato non cambia.

 

Porto dentro di me il dolore di tanti giovani d’oggi che hanno perso Dio, e vivono già su questa terra l’inferno’ Oggi come si dipingerebbe l’inferno? Un gran vuoto, un gran buio, il non senso’ Così in tanti ragazzi e soprattutto in me, il vuoto di Dio, la sua mancanza mi spinge a cercarlo con tutto il cuore attraverso i passi del Vangelo, la gratuità”.

 

La sua dolorosa constatazione non è un’accusa o una condanna, ma è una profonda sofferenza, che lo coinvolge a cominciare per primo a non emarginare mai Dio nella propria vita. Questo pensiero lo accompagna sempre nella sua missione tra i poveri, che sono la strada attraverso la quale Dio arriva a lui.

 

‘Il mondo vuole sostituirsi a Dio’ E si costruisce i suoi idoli’ i poveri non sono diversi dai ricchi, cambiano le situazioni, ma il nocciolo rimane identico: o metti Dio al primo posto della tua vita o lo rifiuti’. Con quanta pena scrive: ‘Gesù non interessa a nessuno’. Questo è per lui un cruccio che emerge in continuazione, e alimenta i vari percorsi che possono riportare Dio al centro della vita.

 

2 – Il primo di questi percorsi è la croce di Cristo. ‘Riconoscere i segni del Signore, è molto difficile, io non sono capace. Però m’accorgo se ciò che vivo va verso la croce o meno. Da questo capisco che Gesù mi chiede di fare sacrifici e di prendere un cammino in salita. Se non c’è la croce di mezzo dubito che sia il cammino di Gesù! E la croce non la scelgo io, sono gli altri che te la danno. È successo a Gesù e succede a chiunque procede verso il cammino del Vangelo. La scommessa è credere che Gesù alle persone più care, possa dare come regalo la croce. Ai martiri succede così!!!’

 

Una constatazione che lo fa molto soffrire è vedere il disimpegno dei preti, la proposta di una pastorale comoda e di un cristianesimo facile, l’accogliere questo mondo, che non è poi così malvagio, mentre lui sa che la via della salvezza passa per la croce, che ‘solo la croce sconfigge il mondo, e solo la croce sconfigge il diavolo che mi porto dentro’.

 

3 ‘ Un secondo percorso per incontrare Dio è dato dai poveri. È stato anche il suo primo percorso in ordine di tempo, quando rimase colpito dall’esperienza fatta con gli amici dell’Operazione Mato Grosso sia nei campi di lavoro, sia soprattutto nell’incontro con loro nella missione in Perù, accanto a P. Ugo.

 

‘Vi supplico di lasciarvi sempre commuovere dai poveri! È Gesù che tenta di aprire una breccia nel vostro cuore ormai divenuto di pietra’ la povertà distrugge la facile presunzione di aver messo la coscienza a posto.

 

Dio arriva al cuore dell’uomo solo attraverso l’amore, il dare tutto ciò che hai, il prenderti a cuore la vita intera di una persona’ Mi pare che nel mondo attuale la breccia aperta sia quella della Carità, del dare via ciò che si ha, demolendo così l’egoismo di questo mondo che sta in piedi solo per se stesso e non di certo per illuminare Dio. I nostri ragazzi ai quali chiediamo di fare la Carità, prima o poi arrivano al problema di Dio; non c’è nulla di umano che spieghi il perché della Carità. Oggi più che mai sento che la vita si gioca o a favore di Dio o contro di Lui. E siamo noi cristiani con la nostra vita che dobbiamo saper morire per ‘salvare Dio’ ‘.

 

4 ‘ La terza via per la quale secondo P. Daniele si arriva a Dio è il pensiero della morte. ‘L’uomo ha eliminato Dio, non gli serve per la sua vita oramai superprogrammata. Cerca di tappare tutte le strade attraverso le quali Dio può parlargli. Solo la morte non riesce a tapparla, e la morte è l’ora di Dio che supera tutte le altre’

 

Ciò che dovete constatare è la vita vuota di ognuno di noi, il mondo pieno di tutto, e sempre più vuoto di Dio’ Questo è il mondo che ci siamo creati, un mondo per vivere sempre qui, e lo riempiamo di anestetici per dimenticarci che dobbiamo morire’ Sto male al vedere distrazione di fronte all’unico dramma della vita dell’uomo; che viviamo senza preoccuparci di Dio e della salvezza della nostra anima’.

 

‘Ai ragazzi vorrei urlare: Non perdete tempo, il padrone arriva come un ladro di notte, non andate dietro a cose vane, imparate a guardare in faccia alla morte, solo così capirete quale direzione dare alla vostra vita’.

 

5 ‘ Oltre ai percorsi per arrivare ad accettare Dio nella propria vita, vi sono altre attenzioni nella vita di P. Daniele, tra le quali metteremo in evidenza le seguenti.

 

Anzitutto i giovani. Anche da parroco, saranno i bambini, i ragazzi e i giovani la sua maggiore premura, pur senza dimenticare gli anziani e le famiglie. Il carisma salesiano, arrivato attraverso il P. Ugo, trova ampio spazio nel suo ministero.  ‘Scopro che devo solo voler bene, i ragazzi mi ascolteranno solo se gli ho voluto bene, se si sono sentiti accolti e ascoltati da me’. Il suo anelito più profondo è fare incontrare Gesù ai bambini e ai ragazzi che prepara ai sacramenti, che accoglie a Messa, che sfama con un piatto di minestra. ‘Solo se voglio bene’ posso far entrare nell’anima dei ragazzi questa sete di Dio’.

 

‘Tocco con mano come i miei ragazzi si lascino vincere dal mondo facile e dal progresso’ chiamarli ad un cammino distinto, dove al primo posto ci sia Dio, è un affare che ti costa parecchio’.

 

Scrive il giorno prima di essere sequestrato: ‘Mi dispiace che in Italia non si guardi alla cosa più importante, la devozione, il timor di Dio. Senza questo è tutto ridicolo, una pagliacciata’.

 

6 ‘ L’amore alla Chiesa lo si trova affermato in continuazione, anche quando rileva la sua pena nel constatare il poco impegno per la nuova evangelizzazione promossa dal Papa. 

 

Scriveva al vescovo Mons. Bertozzi, il padre del suo sacerdozio che ha tanto amato: ‘So che non sono solo, e soprattutto in questi anni sto scoprendo la gioia di avere una Chiesa per madre che ti accompagna’. E qualche mese dopo: ‘Desidero e voglio, con l’aiuto del Signore, mettere tutta la mia vita a servizio della Chiesa di Faenza-Modigliana con piena obbedienza al vescovo che ora la guida e ai suoi successori e di conseguenza andare dove Lei e i suoi successori riterranno opportuno’.

 

Il suo pensiero è di essere sempre con la Chiesa, di servire la Chiesa e di portare tutti al Signore attraverso la mediazione della Chiesa.

 

7 ‘ Assai significativo è il suo affetto per la Madonna, nel nome della quale conclude molte delle sue lettere, e che ama di un amore tenerissimo. Colpisce il racconto della Messa che celebra, appena rientrato in Perù dopo l’ordinazione presbiterale, nella chiesa di Chacas dedicata alla Madonna Assunta: ‘Entrai in chiesa, mi inginocchiai davanti alla Madonna’ Ricordo bene la commozione, non riuscivo a trattenere le lacrime’ Ho pianto per tutta la Messa‘.

 

8 ‘ Un ultimo pensiero lo riserviamo ai suoi canti, che per lui erano un modo per pregare e far pregare. Ad un gruppo di ragazzi che avevano fatto un recital per far conoscere la sua missione scrive: ‘Vorrei venirvi accanto, ad ognuno, per suonare e cantare con voi questa musica affinché possa giungere al cuore di ogni uomo e farlo sciogliere, farlo piangere e commuovere’ Coraggio ragazzi, vi accompagno con la chitarra assieme a tutti i miei ragazzi oratoriani, suonate e cantate con la vostra vita questa dolce musica i cui echi riecheggiano in Paradiso’.

 

9 ‘ Da oggi sentiremo parlare del Servo di Dio Daniele Badiali, anche se per noi sarà sempre P. Daniele. ‘La gente mi chiama padre, questo nome tante volte mi fa paura, solo Dio sa essere padre’ la gente ti fa padre e sono obbligato ad accettare questa parte’. Potremo rivolgerci a lui nella preghiera personale e invocare la sua intercessione.

 

10 ‘ Iniziando la causa per la beatificazione e canonizzazione di P. Daniele noi chiediamo alla Chiesa di riconoscere l’eroicità delle virtù e la santità della sua vita. Se il Signore nei suoi disegni vorrà concedere la glorificazione qui in terra del suo servo, egli potrà diventare un esempio di vita santa e il suo messaggio un forte richiamo a mettere Dio come primo scopo della nostra vita, perché Lui sia la nostra gioia qui in terra e la beatitudine eterna nel Cielo