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OMELIA per la SOLENNITA’ del CORPUS DOMINI
Faenza - Basilica Cattedrale, 23 giugno 2011
23-06-2011

Lo spirito scientista era già presente negli ascoltatori del Signore, quando annunciava il vantaggio di mangiare il pane vivo disceso dal cielo. Invece di raccogliere la buona notizia dell’utilità che ne sarebbe venuta per la vera vita di coloro che avrebbero mangiato e per la vita del mondo, i Giudei si misero a discutere su come la cosa poteva essere possibile. Non era bastato aver visto la moltiplicazione dei pani e dei pesci, a fronte della quale non risulta che nessuno abbia chiesto a Gesù: ‘Come è possibile moltiplicare pani e pesci?’

Il problema scientifico sul come poteva accadere un tale evento, ci poteva stare; ma non era tale curiosità a dover interessare. Infatti Gesù non risponde direttamente alla domanda, come a dire: ‘Voi, fate in modo di mangiare la carne del Figlio dell’uomo e di bere il suo sangue, se volete avere in voi la vita; come questo avvenga non è un problema vostro’.

L’errore dello scientismo è voler ridurre la conoscenza nell’unica via dell’esperienza dei sensi, senza ammettere che possano esistere realtà la cui conoscenza è tutta basata  sulla fiducia verso Colui che ne ha parlato. Gesù non si attarda a spiegare come sarebbe stato il suo Corpo glorioso e il suo Sangue vivo, perché non avrebbero capito, e perché Egli chiedeva un rapporto di fiducia con Lui. Ripete invece più volte che cosa nasce dalla relazione vitale del discepolo con la presenza misteriosa e reale di Cristo nell’Eucaristia. Del resto è stato molto più importante per noi sapere che avremmo potuto accogliere Gesù vivo e vero in noi, stare in sua compagnia, averlo come nostro nutrimento, piuttosto che sapere in che modo tutto questo diventava possibile.

L’annuncio del dono straordinario promesso da Gesù, aveva sconcertato molti suoi discepoli, al punto che alcuni cominciavano ad abbandonarlo. Ma Lui non cambiò discorso, e arrivò a dire ai Dodici: ‘Volete andarvene anche voi?’. Fu a quel punto che S. Pietro intervenne dicendo: ‘Signore, da chi andremo?’.

L’interrogativo è il messaggio che il Congresso eucaristico nazionale di Ancona ha rilanciato ai nostri giorni, per farci riflettere sulla nostra situazione.

Non possiamo negare che ci troviamo in un periodo di diffuso smarrimento a tutti i livelli, nel mondo e nella Chiesa. La confusione concettuale sui principi naturali fondamentali, ritenere bene il male e male il bene, considerare giusto un comportamento morale perché fanno tutti così, il moltiplicarsi di delitti, senza dire delle notizie che giungono dal mondo universo’ tutto questo può effettivamente dare una sensazione di sconcerto.

Si può comprendere il disagio diffuso della nostra gente, che a volte deve fare fronte a situazioni difficili senza i necessari sostegni, e senza vedere davanti a sé prospettive rassicuranti.

La risposta che nasce dall’Eucaristia non può essere solo di carattere consolatorio e nemmeno di fuga dalla realtà terrena. L’Eucaristia costruisce  un corpo ecclesiale che vive nel tempo, in cammino verso l’eternità, e deve, soprattutto nella sua componente laicale, impegnarsi per orientare le cose terrene secondo Dio.

La mediazione della comunità cristiana consente di farsi carico dei pesi gli uni degli altri, e nello stesso tempo rispetta ciò che è proprio del messaggio evangelico. Il breve passo della prima lettera di san Paolo ai Corinzi che abbiamo letto ci ha detto: ‘Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo all’unico pane’.

‘Signore, da chi andremo?’ No, i cristiani non se ne andranno lasciando che il paese vada alla deriva né nell’economia, né nella morale sociale, né nella realtà familiare, non perché siano in nostro potere capacità prodigiose di intervento, ma perché sappiamo che di fronte all’emergenza occorre l’impegno di tutti.

I cristiani vogliono fare la loro parte cominciando dal chiedere il rispetto della legge naturale, che è stata data per il bene di tutti. I cristiani possono avere qualche motivazione in più per conoscere e vivere tale legge, e per questa ragione non si possono escludere dal pubblico dibattito. Il bene per la comune utilità si deve accogliere da qualsiasi parte venga offerto, perfino dai cattolici.

L’Eucaristia, sacramento dell’amore di Dio, che ha voluto rimanere in mezzo a noi non per condannarci, ma per salvarci, ci apre il cuore alla speranza. Sapendo che Gesù è rimasto qui, ci dà serenità; se Gesù è presente con la sua Persona, con la sua parola di vita, nella comunità della Chiesa, non siamo più soli.

La solennità del Corpus Domini, che ci chiede di uscire in processione portando l’Eucaristia, non è una manifestazione di forza, ma una rappresentazione del cammino della Chiesa per le vie del mondo in compagnia con il suo Signore, per mostrare Chi è colui che dona ai credenti il motivo e il coraggio della loro testimonianza.

Per noi il Cristo nell’Eucaristia è anche il conforto e il sostegno nelle fatiche della vita, per tutti coloro che sono nella sofferenza. A costoro vogliamo che non venga mai a mancare il cibo della vita eterna, che li mantiene uniti alla loro comunità di salvezza che è la Chiesa.

I Ministri straordinari per la Comunione che tra poco benediremo perché possano portare anche ai fratelli ammalati o impediti il sacramento dell’Eucaristia, sono un segno della vicinanza materna della Chiesa per coloro che soffrono.

‘Signore, da chi andremo?’ Lontani da Te, non andremo lontano. Tienici sempre accanto a te, Signore, nella tua Chiesa, nella tua grazia, nel tuo amore, affinché ci nutriamo del pane vivo, che è la tua carne per la vita del mondo.

OMELIA per la FESTA del LAVORO
Faenza, parrocchia di San Giuseppe Artigiano - 1 maggio 2011
02-05-2011

(omissis) Mentre noi siamo qui a Roma, Papa Benedetto XVI sta dichiarando beato Giovanni Paolo II; di lui voglio ricordare l’enciclica sul lavoro, Laborem exercens, fatta a 90 anni dalla Rerum novarum. In questa enciclica di Giovanni Paolo II sono affermati tre primati, che sono interessanti.

Anzitutto il primato del lavoro sul capitale. Ricordiamo solo l’enunciato, ma sarebbe interessante approfondirne le implicazioni; siccome il lavoro è per l’uomo e non l’uomo per il lavoro, ha più importanza il lavoro umano che il capitale, tant’è vero che c’è tanto lavoro senza capitale, come i servizi.

Un altro primato è quello della persona sul lavoro: ‘Il primo fondamento del valore del lavoro è l’uomo stesso’. Il lavoro infatti completa la persona. Il guaio dei nostri giovani è l’essersi preparati ad un lavoro e non trovarlo. Voi vi chiederete: ‘Ma noi che cosa ci possiamo fare’? Intanto è importante esserne convinti, a cominciare dai giovani stessi. Dover dire che nessuno ha bisogno di me, è terribile. La dignità dell’uomo viene prima del lavoro. Perché la domenica è importante? Perché con la domenica si afferma che c’è qualcosa di più importante del lavoro. Lavorare o tenere i negozi aperti alla domenica, lede questo principio, e non dobbiamo tollerarlo; bisogna combattere per queste cose.

Il terzo principio di Giovanni Paolo II è la destinazione universale dei beni della terra, secondo il diritto naturale, cioè non perché uno lo afferma, cioè per diritto positivo, ma perché è nella natura stessa dei beni e delle risorse della terra essere per il bene di tutti. I tesori che sono nel mondo, sono di tutti gli uomini di oggi, e sono anche di tutti quelli delle future generazioni; non abbiamo il diritto di sciupare le risorse naturali, privandone le generazioni che verranno.

Su questi tre principi Giovanni Paolo II ha impegnato il suo ministero. Tra l’altro diceva anche: ‘Poiché l’uomo è la prima e fondamentale via della Chiesa, occorre ritornare incessantemente su questa via e proseguirla sempre di nuovo, secondo i vari aspetti’. Questi aspetti cambiano. Per esempio quando egli scriveva, non c’era la globalizzazione come la viviamo oggi. Ancora: ‘Il lavoro è uno di questi aspetti, perenne e fondamentale, sempre attuale e tale da esigere sempre una rinnovata attenzione’

Non spetta alla Chiesa analizzare scientificamente le possibili conseguenze di tali cambiamenti’; infatti spetta alle scienze umane, come l’economia, la finanza, la sociologia. ‘La Chiesa ha il compito di richiamare sempre la dignità e i diritti degli uomini del lavoro e di stigmatizzare le situazioni in cui essi vengono violati’.

La festa di S. Giuseppe artigiano ci dà l’occasione almeno una volta all’anno per richiamare questi e altri principi. Se salviamo la dignità del lavoro, salviamo la dignità dell’uomo e il rispetto per coloro che lavorano, per coloro che non lavorano ma ne hanno diritto, per coloro che non sono capaci di fare certi lavori, ma ne sanno fare solo alcuni, per coloro che vengono a cercare il lavoro da noi, che ne abbiamo bisogno. Dobbiamo trovare la soluzione per queste cose, e chi deve occuparsi di questo lo deve fare.

La Chiesa deve segnalare le cose giuste, i diritti, il rispetto delle persone: non possiamo buttare a mare nessuno. Ecco che la festa di S. Giuseppe assume un significato più ampio; la celebriamo nella vostra parrocchia dedicata a questo Santo, ma con attenzione ai problemi del lavoro, secondo la sensibilità che avevano i primi cristiani, che vivevano in pienezza la fede in Cristo risorto.                                                                                              + Claudio Stagni, vescovo

Sintesi dell’OMELIA di PASQUA 2011
Faenza, Basilica Cattedrale - 24 aprile 2011
24-04-2011

La Pasqua è un mistero. Se della risurrezione di Cristo possiamo avere tanti indizi, per cui esiste un fondamento ragionevole, accettare e riconoscere che Cristo è risorto e vivo è un dono di Dio che chiamiamo fede. E la fede diventa capace di rinnovare la nostra vita conforme a quella di Cristo, che abbiamo ricevuto nel Battesimo, sacramento nel quale noi siamo morti con Cristo per rinascere con Lui a vita nuova.

Queste cose le conosciamo da sempre, eppure ogni anno a Pasqua avvertiamo che questo evento è una cosa grande e bella, che risponde anche ad un desiderio del cuore, perché sentiamo che la vita non può finire nel nulla: questo sì sarebbe assurdo; e ciò che ci riempie di gioia non sono le cose materiali, che ci stancano subito, ma sono le soddisfazioni spirituali: fare il bene, perdonare chi ci ha offeso, aiutare chi è nel bisogno, sentire una parola che ci dà coraggio, sapere che i nostri morti vivono in Cristo’

La Pasqua è un mistero perché ci mette in contatto con Cristo risorto, che ha vinto il mondo, cioè il peccato e la morte, e ci ha donato lo Spirito santo; questo vuol dire che se rimaniamo uniti a Lui nell’amore, possiamo fare le cose che ha fatto lui, e così dare speranza al mondo, che sembra camminare rapidamente verso la catastrofe.

Il nostro pericolo non sono il terremoto, lo tsunami, le radiazioni atomiche o l’inquinamento atmosferico; ciò che dobbiamo temere è la cattiveria, la mancanza di amore, la violenza, la superbia, l’egoismo sfrenato, l’illusione del benessere. Da tutto questo Cristo ci ha liberato; e non diciamo che questo vale solo per coloro che ci credono, perché vale per tutti. Con una differenza: coloro che credono in Cristo sanno il perché e come si fa, e sanno di essere il sale della terra e la luce del mondo, perché Cristo è morto ed è risorto per tutti.

I cristiani nel mondo non sono presenti per essere i perenni scocciatori della quiete di quanti vorrebbero sistemarsi in questa vita, ma per indicare la strada della vita vera, quella che vale la pena di essere vissuta. Non possiamo fare l’abitudine al gesto di coloro che giunti ad un vicolo cieco ammazzano tutti e poi ammazzano se stessi: questo è l’esito di una cultura di morte, che non possiamo accettare né per noi né per gli altri.

I cristiani uniti nella Chiesa si pongono di fronte al mondo come una luce, che, per quanto tenue, può aiutare a indicare la via giusta. I cristiani sanno benissimo di essere inadeguati, perché dovrebbero essere più santi di quello che sono, e sanno benissimo che il mondo ha bisogno di esempi. Ma i cristiani sanno anche che non possono fare a meno di offrire ciò che hanno ricevuto in dono per il bene di tutta l’umanità.

Non possiamo fare a meno di offrire la nostra esperienza, per quando incompleta, ma sicuramente nella via giusta:

– l’esperienza di umanità vera, nel rispetto della persona umana e della sua dignità;

– l’esperienza del rispetto della vita umana sempre e in tutte le situazioni;

– l’amore ai piccoli, ai poveri, agli incapaci;

– la grazia del perdono accolto e donato, per offrire riconciliazione e pace;

– la fatica della solidarietà, del servizio volontario e dell’accoglienza;

– la gioia di consacrare tutta la vita per servire Dio e i fratelli;

– la bellezza della ricerca della verità, della libertà e della giustizia’

In tutto questo c’è il riflesso della vita del Figlio di Dio, che risorgendo l’ha partecipata anche a noi, perché il mondo tutto potesse vivere e sperare.

Il cuore dell’uomo è aperto al desiderio di infinito; non illudiamoci di accontentarlo con dei miseri surrogati. Cristo è la risposta, la Chiesa sta cercando di realizzarla per mostrare che è possibile; ogni credente deve offrirla al mondo con l’esempio di una vita veramente risorta.

OMELIA per la MESSA CRISMALE 2011
Faenza, Basilica Cattedrale - 21 aprile 2011
21-04-2011

‘O Padre, che hai consacrato il tuo unico Figlio con l’unzione dello Spirito Santo e lo hai costituito Messia e Signore, concedi a noi, partecipi della sua consacrazione”. Vogliamo considerare in particolare la partecipazione di noi presbiteri alla consacrazione del Cristo nello Spirito Santo, che ci inserisce in modo misterioso nel cuore di questa Messa crismale. Il Crisma che consacriamo oggi verrà usato, a Dio piacendo, per una ordinazione presbiterale nella nostra Chiesa; tutti i presbiteri sanno di essere diventati tali per l’efficacia del segno sacramentale del crisma, che li ha uniti a Cristo capo e pastore.

Durante la Messa crismale ogni anno i presbiteri sono invitati a rinnovare le promesse che al momento dell’ordinazione furono fatte davanti al vescovo e al popolo santo di Dio. Rinnovazione che non significa: ‘Stiamo ai patti, perché avete fatto delle promesse e ora siete tenuti a rispettarle’; non è necessario ricordare una volta all’anno ciò per cui ogni giorno si dona la vita. Le promesse sacerdotali non scadono ogni anno, perché sono definitive.

Ma ogni anno è bello rinnovare la grazia dell’alleanza che Dio ha stipulato con ciascuno di noi con il sacramento dell’Ordine, e che noi siamo lieti di ricordare come l’inizio della nostra vita a servizio di Cristo nella Chiesa.

Verrà chiesto tra poco a tutti noi qui presenti se vogliamo unirci intimamente al Signore Gesù confermando i sacri impegni che spinti dall’amore di Cristo abbiamo assunto liberamente verso la Chiesa. Sappiamo benissimo che ripetendo il nostro sì non aggiungiamo niente al nostro impegno. Piuttosto rinnoviamo la richiesta dell’aiuto di Dio per mantenere questo impegno; diciamo al Signore che siamo ancora disposti a donare le nostre energie, pur conoscendo per esperienza i nostri limiti, ma sapendo pure che lui è fedele e sa portare a compimento ciò che ha iniziato in noi.

Una seconda domanda ci verrà fatta e ci chiederà a che punto siamo nell’amore per i fratelli verso i quali la Chiesa ci ha mandato perché dispensiamo loro i misteri di Dio con i sacramenti e la parola di salvezza. Forse abbiamo perso lo stupore delle prime celebrazioni Eucaristiche, ma certamente siamo arricchiti dall’avere potuto tante volte presentare sull’altare i sacrifici nostri e della nostra gente, le attese, le pene e le speranze di un mondo tanto bisognoso di Dio, quanto più cerca di farne a meno. Per non dire della pace che il sacramento del perdono offre quando viene chiesta; anche se ci dispiace della sua rarefazione.

Infine verrà chiesto al nostro popolo di pregare per i suoi sacerdoti, perché siano fedeli ministri di Cristo. Credo che tocchi a noi preti educare i fedeli a pregare per i sacerdoti, per quelli presenti e per quelli che il Signore vorrà mandare. Siamo noi infatti alla guida delle comunità e siamo responsabili anche della preghiera della comunità. Creare occasioni di preghiera prolungata per la Chiesa, per le persone consacrate, per le vocazioni, per chi ha compiti educativi’ Pregare gli uni per gli altri è segno di un vero amore reciproco, aiuta a portare i pesi gli uni degli altri, previene le divisioni, e, nella consapevolezza della nostra povertà, ci sostiene nella fatica di ogni giorno.

Ogni anno nella Messa crismale vogliamo ricordare con particolare affetto i confratelli che celebrano una ricorrenza significativa della loro Ordinazione presbiterale. Intendiamo in questo modo unirci a loro nel ringraziare il Signore e condividere la loro festa.

In questa Messa crismale preghiamo per don Giacomo Guidi, che ricorda i 70 anni di Messa; per Mons. Guglielmo Patuelli, Mons. Luigi Fabbri, Mons. Bruno Maglioni che ricordano i 65 anni di Messa, insieme al Card. Achille Silvestrini, il quale manda il suo saluto a tutti i presbiteri e a quanti siete qui riuniti; per don Alfio Alpi, don Leonardo Poggiolini, don Giuseppe Dal Pozzo, Mons. Pietro Magnanini, che celebrano i 60 anni della loro Ordinazione presbiterale; per Mons. Mario Piazza e don Domenico Buldrini nel 50.mo anniversario. Infine vi ringrazio perché avete voluto ricordare anche il 20.mo della mia Ordinazione episcopale.

Come è facile notare, quest’anno mancano presbiteri con ricorrenze recenti, segno evidente del rarefarsi delle classi più giovani nel nostro presbiterio.

Una considerazione ovvia, alla quale non sempre si pensa, è che anche i presbiteri che ricordano quest’anno molti anni di Messa

sono stati anch’essi giovani, e nella loro giovinezza hanno detto di sì al Signore che li chiamava, rimanendo fedeli, per grazia di Dio, fino ad oggi.

Quando si vede un prete vecchio è difficile ricordarsi che quando si trattava di fare le scelte definitive per la vita egli ha puntato tutto su Cristo e la sua Chiesa. Si è trattato indubbiamente della risposta ad una chiamata, ma si è trattato anche di ascoltare, con l’aiuto di Dio, tale chiamata e di lasciare tutto il resto per seguirla.

La storia personale di ognuno potrebbe rendere ragione delle fatiche e delle soddisfazioni che la vita sacerdotale ha riservato in tanti anni, nelle più diverse situazioni. Parafrasando un celebre testo potremmo dire anche di loro: ‘Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei nostri preti, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore’.

Facciamo bene a pregare per i nostri presbiteri in occasione dei loro giubilei sacerdotali, ma non aspettiamo solo tali ricorrenze per pregare per loro.

Ricordiamo nel nostro affetto e nella preghiera i confratelli, che ci hanno lasciato, in particolare quelli di quest’anno: don Stelo Fenati, Mons. Renato Bruni, don Dante Lusa, Mons. Antonio Gamberini, don Giuseppe Rotondi, ai quali dobbiamo aggiungere il diacono Giovanni Tagliaferri.

Vogliamo che siano con noi in spirito i nostri missionari, per i quali daremo oggi la nostra offerta; sono le punte avanzate della nostra Chiesa che vogliamo sostenere con la preghiera e l’aiuto fraterno.

Infine tra gli assenti ci sono anche gli ammalati e gli inabili, che sono i più vicini alla croce di Cristo, e stanno mostrando la fedeltà alla loro missione con una preziosa partecipazione al mistero della redenzione; preghiamo il Signore perché, accogliendo il loro sacrificio, dia loro pazienza e conforto; infatti non deve essere facile giunti al termine della giornata dire: ‘Siamo servi inutili’ (cfr Lc 17,10).

Vedo sempre con favore la presenza dei Ministranti alla Messa Crismale, che rendendo evidente la giovinezza della Chiesa, possono guardare avanti e rendersi disponibili ad un servizio pieno nel popolo di Dio.

Per concludere mi piace ricordare l’ultima lettera che il Papa Giovanni Paolo II inviò per il giovedì santo del 2005. Riprendo i titoli dei capitoletti in cui era suddivisa, di per sé molto significativi. Commentando le parole dell’istituzione dell’Eucaristia, il Papa vi riconosceva una formula di vita presbiterale, e precisamente: un’esistenza profondamente grata; un’esistenza donata; un’esistenza salvata per salvare; un’esistenza memore; un’esistenza consacrata; un’esistenza protesa verso Cristo; un’esistenza eucaristica alla scuola di Maria.

Oltre a questo suo ultimo insegnamento, tra non molti giorni potremo invocare anche l’intercessione del prossimo Beato, perché la nostra vita di preti sia come lui ci ha insegnato e soprattutto secondo l’esempio che ci ha lasciato

OMELIA per la MESSA celebrata nel LUOGO dell’UCCISIONE di PADRE DANIELE BADIALI
Acorma (Perù), 18 marzo 2011
18-03-2011

Sono grato al Signore che seguendo le sue vie mi ha portato oggi a celebrare l’Eucaristia in questo luogo, dove si è manifestata la grazia del sacrificio della vita di P. Daniele.

Il primo contatto che ebbi con la figura di P. Daniele fu nel Giovedì santo del 1997,  pochi giorni dopo la sua uccisione. La Diocesi di Faenza era senza vescovo ormai da un anno e fui chiamato per la celebrazione della Messa crismale. In quell’occasione ricordai le parole del Card. Biffi, che aveva detto: ‘Ero molto ammirato di un prete così giovane, che aveva conservato questa idea così chiara e precisa della donazione a Cristo e della necessità di far conoscere l’unico salvatore ai suoi fratelli. È una notizia che ci addolora moltissimo; ma questa è la stoffa dei martiri’.

Chi è Gesù per P. Daniele? È la domanda che nasce spontanea a leggere le sue lettere. Gesù è presente dappertutto. Si può dire che non vi sia lettera nella quale, in un modo o nell’altro, P. Daniele non arrivi a parlare di Gesù.

P. Ugo, nel ricordo che ha fatto dell’uccisione di P. Daniele, immagina la sua fine in questo modo: ‘P. Daniele aveva le mani legate dietro la schiena. Lo misero in ginocchio. Avrà pianto’ però dopo avrà pregato: Signore Gesù non mi abbandonare. Alla fine P. Daniele in ginocchio, legato, chiama e invoca: Gesù’ Gesù’ Gesù” (pag.39).

‘Da piccolo ho imparato questo nome ‘Gesù” Ora qui Ugo me lo insegna con più dolcezza, è l’unico nome che può salvare’ Se ti spaventi della morte, dell’inferno, grida’ grida chi ti può salvare? Se gridi mamma, non verrà. Se gridi papà, non verrà’ Se gridi Gesù? Se gridi Gesù, lui verrà nella morte e ti darà le ali per andare in cielo e non cadere nell’abisso dell’inferno’ (1992  pag. 155). ‘Ho paura di essere addormentato quando verrà il ladrone di notte a rubarmi la vita. Come vorrei essere in piedi (lavorando, aspettando come la sposa che aspetta lo sposo) e strappargli il suo nome prima di dare l’ultimo respiro: ‘Gesù”’ (1992  pag. 156).

Queste parole ci dicono che le cose devono essere andate proprio così e ci dicono anche che il Signore ascolta i desideri dei suoi amici.

Gesù è stato sempre al centro dei pensieri di P. Daniele: ” è il desiderio più profondo che mi porto nel cuore, cercare Gesù’ Sento di aver perduto le sue tracce, mi ritrovo a cercarlo attraverso il cammino della carità, del dare via tutto’ se non fosse per Gesù non sarei qui. Questa scommessa di cercare Gesù vale più di qualsiasi altra cosa nella vita’ (1992  pag.125).

Non era una preoccupazione, ma un desiderio vivo, sapendo che era il tesoro più prezioso che potesse avere per sé e per tutti, era la ragione per cui si era fatto prete, il motivo per cui era andato in Perù: Gesù è l’unico vero salvatore. E quando vede che Gesù è dimenticato e messo da parte, o non è preso sul serio, ci soffre personalmente.

‘Diventando sacerdoti, scrive ai suoi amici, dovrete prepararvi a soffrire, la missione a cui siete chiamati ha un nome ben chiaro legato alla vita di Gesù: la croce. Soffrirete nel vedere Gesù così buttato via, oggi come duemila anni fa, la stessa cosa. Più avvicinerete il vostro cuore a Gesù e più sentirete in voi questa pena grande. Gesù non interessa a nessuno” (1992, pag. 157).

Oltre alla sofferenza di vedere Gesù dimenticato e trascurato, c’è il desiderio di incontrarlo, e quasi il bisogno di affrettare quel momento.

‘Sono venuto qui in Perù per questo, solo per cercare Dio. Ed è per questo Dio che io e i miei amici tentiamo di lasciarci conquistare dalla carità. Ogni passo è fatto solo nel nome di Gesù, perché Lui entri nel nostro cuore, Lui ne sia il padrone’ Sento che solo così posso sperare di incontrarlo alla fine della mia vita! Quanto lo desidero, non vorrei vivere a lungo per non tradirlo più di quanto stia facendo già e per poterlo incontrare presto. Vorrei essere in piedi, vigilante a questo incontro’ Ma ci sarà Dio ad attenderci?’ (1994 pag. 176).

La sincerità con cui P. Daniele parla della ricerca di Dio, che dice di non sentire vicino, ma che spera solo di poterlo incontrare, è davvero disarmante: se era così lui, noi che cosa dovremmo dire? ‘Veramente, tu sei un Dio nascosto, Dio di Israele salvatore’, direbbe il profeta Isaia (45,15).

Il suo timore è quello di potersi sbagliare, di scambiare il Dio vero con un Dio fatto su misura nostra, o di ridurre Gesù non a quello della Croce, ma un Gesù addomesticato.

‘Ho l’impressione che parliamo facilmente di gioia, felicità, così come anche il mondo ci promette gioia, felicità e benessere’ Gesù ai suoi discepoli parlava diversamente: ‘Se vuoi essere mio discepolo prendi la tua croce e seguimi’ ” (1995 pag. 134). Questo problema lo preoccupa moltissimo, perché vede che nella pastorale, in Italia come in Perù, si resta superficiali e si presenta la fede senza impegno.

Presentare un cristianesimo senza la croce di Gesù o abbandonarlo per le alternative che ci offre il mondo, sono le tentazioni più forti da affrontare con coraggio.

Questa tentazione rischia di raggiungere tutti, anche i preti, perché è l’aria che si respira dovunque. Scrive ad un amico prete: ‘Stai attento, il mondo tenterà in tutti i modi di rubare il tuo cuore a Gesù. Più diventerai grande, se non coltivi in te la devozione e l’umiltà a Gesù, ti farai prendere dalle tentazioni del nostro mondo camuffato sotto varie forme: la filosofia, la moda, la musica, la televisione, la moto’ e ti accorgerai che tutto questo ha una forza straordinaria sull’animo dell’uomo, più dello stesso Gesù. Ti sembrerà che l’amore a Gesù rimpicciolisca sempre più o addirittura potrà sembrarti ridicolo, fuori moda’ Ti dico questo perché sono passato da tutte queste tentazioni, le ho viste tutte chiare dentro di me’ (1992 pag. 159).

Se anche P. Daniele ha conosciuto queste tentazioni, come ha potuto superarle? La strada maestra della Croce prende una identità ben precisa: la Carità. È attraverso la Carità, vissuta concretamente aiutando i poveri, che l’amore a Gesù prende corpo.

‘Coraggio, avete preso la strada giusta, la Carità è il cammino che ci porterà a Gesù. Anch’io ai miei ragazzi poveri insegno la Carità, insegno a dare via tutto’ Nel dirlo già mi trovo nei pasticci perché sono io il primo a dover vivere la Carità, a dare ogni giorno con la mia vita la prova che Dio ama, guarisce e perdona” ( 1993 pag. 164). ‘Questa per me è la vita cristiana pura e cruda, accettare la tua croce ogni giorno che è fatta di gesti concretissimi, accettarla fino al giorno della tua morte che verrà all’improvviso come un ladro di notte’ (1994  pag. 173).

Allontanare Dio dalla vita, vivere come se Dio non esistesse, non è una grande conquista per l’uomo di oggi. Per far fronte a questa situazione è ancora più necessario presentare il Vangelo come un annuncio esigente; e per farlo accogliere oltre alla via della carità ci vuole anche il segno del martirio: ‘L’uomo si crede di aver raggiunto chissà quali mete nell’aver tolto Dio da tutta la vita civile e sociale’ e sempre più capisco che senza testimonianza fino al Martirio non c’è nessuna trasmissione del messaggio cristiano” (1994 pag. 178).

Il martirio è una prospettiva contenuta nello stesso messaggio cristiano, tornata fortemente attuale. Giovanni Paolo II scriveva in preparazione al grande Giubileo del 2000: ‘Al termine del secondo millennio, la Chiesa è diventata nuovamente Chiesa dei martiri. Le persecuzioni nei riguardi dei credenti ‘ sacerdoti, religiosi e laici ‘ hanno operato una grande semina do martiri in varie parti del mondo’ Nel nostro secolo sono ritornati i martiri, spesso sconosciuti, quasi militi ignoti della grande causa di Dio. per quanto è possibile non devono andare perdute nella Chiesa le loro testimonianze’ (Tertio millennio ineunte, n.37)

Credo che si possa dire che P. Daniele non escludeva il martirio nella sua vita. Si pone la domanda in modo preciso dopo la morte di Giulio, ucciso perché faceva la carità. Seguire Gesù fino in fondo comporta anche questa possibilità, che non deve essere temuta, perché è un segno di amore di Gesù per i suoi amici. ‘La scommessa è credere che Gesù, alle persone più care, possa dare come regalo la croce’ Ai martiri succede così!!! ‘ (1992 pag. 150).

Nella luce della parola del Signore abbiamo ascoltato la testimonianza di P. Daniele; ora vogliamo lasciar parlare questo luogo e i fatti che qui si ricordano, con l’efficacia della grazia che anche il luogo comunica.

Qui un giorno è avvenuto l’incontro atteso e cercato di P. Daniele con Gesù:

Gesù pregato e invocato,

Gesù amato e servito,

Gesù difeso e annunciato,

Gesù seguito e alla fine incontrato in un abbraccio eterno.

OMELIA per la GIORNATA della VITA CONSACRATA
Fognano, Istituto Emiliani
02-02-2011

Maria e Giuseppe pensavano di rispettare una tradizione e una norma di legge e non sapevano certamente ciò che sarebbe accaduto nel tempio al momento di presentare il loro Figlio al Signore al compiersi dei quaranta giorni dalla sua nascita.

Non è la sorpresa il fatto singolare nel mistero che la liturgia ci fa incontrare, ma il progredire dell’opera salvifica di Cristo dentro un gesto del tutto ordinario. Quanti bambini saranno stati portati al tempio in quel giorno; eppure solo attorno a Gesù avviene ciò che sappiamo. Non siamo noi a dover operare il prodigio, ma è Dio che lo compie nei gesti che noi pensiamo siano normali, cioè secondo la legge.

È proprio la legge di Dio che diventa nuova, perché fondata sull’amore. Maria viene subito aggregata all’opera del Figlio, in forza di questa legge: ‘E anche a te una spada trafiggerà l’anima’. È il segreto della vita consacrata a Cristo per amore, perché Lui se ne serva come a Lui piace.

I nostri Vescovi nel messaggio di quest’anno per questa giornata ci invitano a guardare alla consacrazione nella prospettiva dell’educazione, rapporto di amore verso coloro che intendiamo orientare verso Cristo, e dicono: ‘La natura stessa della vita consacrata ci ricorda che il metodo fondamentale dell’educazione è caratterizzato dall’incontro con Cristo e dalla sua sequela.

Non ci si educa alla vita buona del Vangelo in astratto, ma coinvolgendosi con Cristo, lasciandosi attrarre dalla sua persona, seguendo la sua dolce presenza attraverso l’ascolto orante della Sacra Scrittura, la celebrazione dei sacramenti e la vita fraterna nella comunità ecclesiale’.

Se noi oggi andiamo al tempio con la fedeltà del vecchio Simeone e della profetessa Anna, possiamo incontrare ancora il Signore nel segni misteriosi ma reali della parola di Dio, dei sacramenti e della comunità ecclesiale. Tutto questo, se viene percepito da noi come una realtà viva, può diventare un contagio anche per coloro che forse per distrazione o perché si aspettano chissà quali prodigi non si accorgerebbero della presenza del Cristo vivo nemmeno nel tempio.

Ma noi siamo segno di Cristo sempre, in particolare nella vita fraterna delle nostre comunità. Continuano infatti i Vescovi: ‘È proprio la vita fraterna, tratto caratterizzante la consacrazione, a mostrarci l’antidoto a quell’individualismo che affligge la società e che costituisce spesso la resistenza più forte a ogni proposta educativa’. La fraternità non si spiega, ma si vive; e quanto più è sincera e cordiale, tanto più impressiona e manifesta la sua radice soprannaturale.  La gente che frequenta le nostre comunità si accorge se ci vogliamo bene o se ci sopportiamo, se portiamo gli uni i pesi degli altri o se ognuno si arrangia, se perdoniamo tutto o ci critichiamo volentieri gli uni gli altri. Questo clima diventa contagioso nel bene e nel male.

Leggiamo ancora nel messaggio dei Vescovi: ‘Anche i consigli evangelici, vissuti da Gesù e proposti ai suoi discepoli, possiedono un profondo valore educativo per tutto il popolo di Dio e per la stessa società civile. Come ha affermato il venerabile Giovanni Paolo II, essi rappresentano una sfida profetica e sono una vera e propria ‘terapia spirituale’ per il nostro tempo’.

La vita consacrata, sfida profetica per il nostro tempo, è un gesto di amore e di aiuto, non certo di condanna. Siamo infatti convinti che c’è bisogno di vita consacrata per indicare la via della vera gioia per tutti. In mezzo agli inganni organizzati del nostro mondo, per attirare nella rete quanta più gente possibile, non può venir meno il ruolo guida dei cristiani sale della terra e luce del mondo.  

I consigli evangelici diventano lo scandalo di cui il mondo ha bisogno, per essere richiamato sulla via di Cristo. ‘L’uomo, dicono i Vescovi, che ha un bisogno insopprimibile di essere amato e di amare, trova nella testimonianza gioiosa della castità un riferimento sicuro per imparare a ordinare gli affetti alla verità dell’amore, liberandosi dall’idolatria dell’istinto;

nella povertà evangelica, egli si educa a riconoscere in Dio la nostra vera ricchezza, che ci libera dal materialismo avido di possesso e ci fa imparare la solidarietà con chi è nel bisogno;

nell’obbedienza, la libertà viene educata a riconoscere che il proprio autentico sviluppo sta solo nell’uscire da se stessi, nella ricerca costante della verità e della volontà di Dio, che è ‘una volontà amica, benevola, che vuole la nostra realizzazione’.

 

Non vogliamo fare confronti troppo facili con eventi dei nostri giorni, che fanno tuttavia riflettere sulla confusione che colpisce soprattutto i giovani al riguardo di ciò che è il loro vero bene, cercato nelle vie più sbagliate delle aberrazioni sessuali, del benessere inseguito a tutti i costi e della libertà diventata libertinaggio.

Invece di continuare ad illudere i nostri giovani, quanto più saggio sarebbe educarli a saper fare le scelte giuste della gioia più grande nel dare che nel ricevere, del vendere tutto per acquistare il Regno e del costruire la civiltà dell’amore.

Pensando  a questo vogliamo vivere anche il nostro impegno per l’animazione vocazionale non come il tentativo di riempire i vuoti che si creano nelle nostre comunità per motivi anagrafici, ma per il desiderio di condividere la gioia da noi vissuta per il senso grande che ha avuto la nostra vita.

‘Oggi più che mai, abbiamo bisogno di educarci a comprendere la vita stessa come vocazione e come dono di Dio, così da poter discernere e orientare la chiamata di ciascuno al proprio stato di vita’. Infatti la vita è una risposta a Dio che ci ha chiamato all’esistenza e ci chiama all’amore, al servizio, all’offerta, perché ‘è dando che si riceve, perdonando che si è perdonati, morendo che si risuscita a vita eterna’.

OMELIA per la celebrazione del XX di EPISCOPATO
Faenza, Basilica Cattedrale - 16 gennaio 2011
16-01-2011

Desidero anzitutto salutare il Sig. Sindaco di Faenza e i Sindaci dei Comuni del territorio della Diocesi. Li ringrazio molto per la loro presenza, che rappresenta le rispettive comunità ed è un segno della loro attenzione alla vita della nostra Chiesa. La nostra festa in questo modo è più piena. Grazie, e che il Signore vi protegga sempre nel vostro prezioso servizio.

Dopo la Festa del Battesimo del Signore, la liturgia si distacca gradualmente dal mistero nel quale si è manifestata la missione di Cristo nel mondo. Oggi viene richiesta la nostra attenzione sull’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo, presentato da Giovanni nel battesimo al fiume Giordano.

Il ‘peccato del mondo’ non è solo un modo sintetico per indicare tutti i peccati personali degli uomini, ma rievoca la condizione di peccato in cui si trova il mondo. Si tratta di quello che viene chiamato ‘peccato originale’ dal quale tutti siamo contaminati, di cui portiamo le conseguenze. L’Agnello di Dio è venuto per liberarci da questo peccato mediante il battesimo nello Spirito Santo. È sempre bello essere liberati da un peso, soprattutto quando questo ostacola il nostro movimento. Ma perché questo avvenga è necessario volerlo. Così, per ottenere la liberazione dal peccato, l’uomo deve essere convinto di averne bisogno.

È diffusa infatti una mentalità per la quale siamo tutti fondamentalmente innocenti. La responsabilità del male, anche quello fatto da noi, ma a maggior ragione quello che accade attorno a noi, viene attribuita a tutto fuorché alla nostra libertà personale. Facilmente ci si scagiona dicendo: ‘Sono fatto così’; si dà la colpa alla famiglia, al sistema, all’influsso delle stelle, al ‘fanno tutti così’ ‘ tutto serve per trovare una scusa per il male che comunque non deve essere attribuito ad una nostra colpa.

L’uomo rimane quindi una creatura innocente che non ha bisogno di redenzione, rendendo inutile ogni annuncio di salvezza.

Il Figlio di Dio, venendo nel mondo per salvarci dal peccato, non ha addossato la colpa del male ad altri (e avrebbe potuto farlo), ma si è fatto solidale con tutto il genere umano e, prendendo su di sé il peccato del mondo, come agnello pasquale si è offerto in un atto di amore infinito al Padre per noi. In questo modo Gesù ci ha mostrato che è soltanto l’amore che vince il peccato e, comunicandoci il suo Spirito, ci ha dato la possibilità di amare Dio e il prossimo come ha amato lui. È questo il ‘battesimo nello Spirito Santo’ ricordato da S. Giovanni Battista: ‘Io non lo conoscevo; ma chi mi ha inviato a battezzare con acqua mi aveva detto: L’uomo sul quale vedrai scendere e rimanere lo Spirito è colui che battezza in Spirito Santo’.

Giovanni si rende perfettamente conto che non è sufficiente invitare l’uomo alla conversione, insegnando le cose da fare e da non fare; cioè non basta la legge, ma è necessaria anche la potenza dello Spirito Santo per vincere il Maligno che opera nel mondo e in ciascuno di noi. La Parola di Dio richiede anche la grazia dei Sacramenti, dei quali il Battesimo è l’inizio.

L’Agnello di Dio richiama la figura del Servo sofferente di cui parla Isaia. Il Servo di Jahvè è chiamato fin dal seno materno per restaurare non solo le tribù di Giacobbe, ma per diventare luce delle nazioni e portare la salvezza fino all’estremità della terra.

In questa missione universale Cristo ha bisogno anche di noi. Ne è testimone S. Paolo, chiamato ad essere apostolo di Gesù Cristo per volontà di Dio, e inviato a coloro che sono stati santificati in Cristo Gesù mediante il Battesimo nello Spirito Santo. Siamo anche noi chiamati ad essere santi insieme a tutti quelli che in ogni luogo invocano il nome del Signore nostro Gesù Cristo, Signore nostro e loro. È questo il cuore della missione della Chiesa, inviata a tutto il mondo, nella quale ognuno ha una vocazione particolare per partecipare alla missione sacerdotale, profetica e regale di Cristo.

‘Egli ha dato ad alcuni di essere apostoli, ad altri di essere profeti, ad altri ancora di essere evangelisti, ad altri di essere pastori e maestri, per preparare i fratelli a compiere il ministero, allo scopo di edificare il corpo di Cristo’ (Ef 3,11s).

 

Sono grato a quanti hanno voluto in questa giornata ricordare la ricorrenza del 20.mo anniversario della mia Ordinazione episcopale, avvenuta nella Cattedrale Metropolitana di S. Pietro a Bologna per le mani del Card. Giacomo Biffi il 13 gennaio 1991, Festa del Battesimo del Signore.

Ringrazio soprattutto quanti si uniscono per ringraziare con me il Signore per il dono grande che mi ha fatto sia nel chiamarmi a servirlo nel ministero episcopale, sia a svolgerlo prima nell’Arcidiocesi di Bologna accanto alla grande figura del Card. Biffi, poi in questa amata Chiesa di Faenza-Modigliana.

Anche dopo 20 anni talvolta mi sorprendo nel sentire il mio nome quando nella Preghiera eucaristica si fa il ricordo del vescovo: non si fa l’abitudine facilmente ad una realtà che resta sempre singolare e richiede una continua presa di coscienza.

Gli anniversari, che arrivano senza merito  alcuno da parte dell’interessato, basta aspettare un po’, sono anche una opportunità per fare dei bilanci, operazioni sempre delicate. A questo riguardo, però, mi ha sempre fatto riflettere quanto dice S. Paolo: ‘Io non giudico neppure me stesso, perché, anche se non sono consapevole di alcuna colpa, non per questo sono giustificato. Il mio giudice è il Signore!’ (1Cor 4,3s).

Non vuole essere questa la scusa per non fare un esame di coscienza, sempre necessario di fronte alle vicende che continuamente interpellano anche noi insieme alle nostre Chiese. Mi pare che affidarci al Signore possa essere di incoraggiamento per ricordarci che il primo a cui preme la Chiesa è il Signore stesso.

Insieme alla preghiera di ringraziamento,  questa deve essere l’occasione per una domanda di aiuto, per intercessione della Madre di tutte le grazie, perché il servizio che ancora mi è chiesto sia svolto secondo la volontà di Dio per il bene di tutto il popolo. Sono consapevole della mia povertà, ma ho fatto l’esperienza della collaborazione dei presbiteri, dei religiosi e dei laici di questa Chiesa, che hanno saputo rimediare ai miei limiti. Voglio quindi esprimere a tutti la mia gratitudine più sincera e dare atto del grande amore alla Chiesa che ho trovato, insieme alla comprensione verso il Vescovo. Sono pertanto fiducioso che il Signore non farà mancare i doni necessari per proseguire insieme nella costruzione del suo Regno, in continuità con la nostra bella tradizione ecclesiale.

Mi piacerebbe che la vostra preghiera si potesse ispirare a quella suggerita dal Card. Biffi nel giorno della mia Ordinazione:

‘Signore Gesù, donagli il tuo cuore,

per amare Dio nostro Padre come lo ami tu.

Donagli il tuo cuore,

per amare Maria nostra Madre, come l’ami tu.

Donagli il tuo cuore,

per amare i tuoi fratelli,

che sono anche i nostri, come li ami tu.

Fa’ che ami quelli che s’aprono docili al suo invito,

e ami ancora più quelli che si chiudono alla sua parola,

per poter piegare con l’amore

quando i ragionamenti non servono più.

Fa’ che quelli che non si arrenderanno, abbiano almeno a riconoscere

di essere stati amati.

Il solco che divide resterà,

ma su di esso passerà il ponte dell’amore’. Amen.

OMELIA di NATALE 2010 (sintesi)
Faenza, Basilica Cattedrale - 25 dicembre
25-12-2010

Quando per un qualsiasi motivo le cose non vanno come noi avremmo voluto, rischiamo di perdere la fiducia su tutto. Le presenti difficoltà economiche, che riguardano soprattutto chi ha particolari difficoltà di lavoro, ci rendono più tristi. Manifestiamo in questo modo che per noi è facile lasciarci condurre da un andamento generale che tutti coinvolge, ma facciamo fatica ad affrontare le difficoltà reagendo personalmente con coraggio.

Non è stato sempre così. In tempi anche più complessi la nostra gente ha saputo superare situazioni difficili, senza smarrimenti. Oggi si ha l’impressione che aspettiamo una risposta che deve venire dagli altri, senza sapere esattamente da chi. Non sarà che ci manchi proprio la forza dello spirito? Non sarà che abbiamo perso i riferimenti fondamentali tipici della fede e di una cultura arricchita dalla fede?

Credo che si possa dire che non tutto è perduto, se nella confusione non ci lasciamo smarrire e non ci lasciamo ingannare da chi vuole proporre facili soluzioni a problemi difficili.

Il Signore non è venuto al mondo inutilmente. Nel Natale non celebriamo un Dio che non c’è più. Nonostante tutti i tentativi di nasconderlo, di dimenticarlo, di vivere come se non esistesse, Dio non scompare dalla nostra vita, e insiste perché ci accorgiamo della sua presenza e della sua luce.

Si legge in Gaudium et spes n.22: ‘Cristo’ rivelando il mistero del Padre e del suo amore, svela pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione’ Con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito in un certo modo ad ogni uomo’.

Queste due affermazioni ci dicono che il mistero del Natale rende evidente un disegno che Dio ha avuto da sempre per ciascun uomo, e ha incominciato a realizzarlo, anzitutto proponendo una vita nuova, da figli di Dio, a quanti lo hanno accolto. Ma anche in coloro che non lo hanno conosciuto, proprio perché in un certo modo Cristo si è unito ad ogni uomo si trovano dei ‘germi del Verbo’, che fanno ben sperare nella capacità dell’uomo di rispondere alla chiamata di Dio.

Germi del Verbo sono il bisogno di Dio sempre più diffuso, al quale forse si risponde ricorrendo piuttosto agli idoli. Ma, come diceva Giovanni Paolo II, è Gesù che cerchiamo quando cerchiamo la felicità, l’amore, la pace. In un mondo sempre più secolarizzato il desiderio del sacro cresce e la ricerca di Dio non è venuta meno, e l’uomo vuole sapere se Dio lo ama.

Germi del Verbo sono il desiderio di vivere, con la ricerca di prolungare la vita sempre di più. La proposta di Dio non sono i 120 anni, ma l’eternità. Perché accontentarsi di meno? La cultura che vuole risolvere con la morte le situazioni considerate non meritevoli di essere vissute, rivela paradossalmente il desiderio di una vita vera, quella eterna, che Cristo propone a tutti.

Germi del Verbo sono l’attenzione agli altri uomini, ai piccoli, ai bisognosi. Ma come è possibile affermare questo in un mondo pieno di violenza, di egoismo, di soprusi? È vero, però sempre più è condivisa la condanna di tutto questo. In altre parole sappiamo come dovremmo fare, anche se non lo mettiamo in pratica. Si tratta di qualcosa di nuovo, che sta nascendo e che trova le sue radici nel messaggio di amore portato da Cristo.

Tutto questo per dire che la nascita di Gesù non è stata inutile. Gli effetti della sua presenza sono più diffusi di quanto non ci sia dato di vedere. Riporre la fede in Dio salvatore, sperare in una vita vera e amarci come fratelli, figli dell’unico Padre è un percorso già iniziato, che possiamo far progredire per il bene di tutti. Chi vuole eliminare Gesù bambino dal Natale non sa il danno che rischia di provocare per tutta l’umanità.

OMELIA per l’ORDINAZIONE DIACONALE di DON FRANCESCO CAVINA
Faenza, Basilica Cattedrale - 11 dicembre 2010
11-12-2010

‘Si rallegrino il deserto e la terra arida, esulti e fiorisca la steppa’.

Davvero abbiamo motivo di rallegrarci anche oggi in questa domenica ‘Gaudete’, con tutto ciò che vediamo succedere nel mondo e nella Chiesa?

Vogliamo credere a questa parola di Isaia, al di là delle nostre impressioni, perché la parola di Dio vede più in profondità di quello che vedono i nostri occhi. Insiste il profeta:  ‘Dite agli smarriti di cuore: «Coraggio, non temete! Ecco il vostro Dio… Egli viene a salvarvi»’.

Quest’oggi abbiamo un motivo particolare per essere nella gioia nella nostra Chiesa di Faenza-Modigliana, per l’ordinazione diaconale di Francesco. Egli in questi anni ha mantenuta accesa la speranza del futuro per il ministero ordinato nella nostra Chiesa, senza del quale difficilmente può fiorire il deserto.

Ci lasciamo guidare anche noi dalla domanda che Giovanni Battista dal carcere ha fatto pervenire a Gesù per chiedergli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?» In altre parole: ‘Sei tu che puoi rispondere alle nostre attese, alle nostre domande di senso, al bisogno di certezze che abbiamo per noi e per gli altri? Sei tu per il quale vale la pena di vivere? Sei tu che darai forza e coraggio alle nostre imprese, in un mondo distratto o interessato a tutt’altro da ciò che tu ci insegni?’

Anche a noi Gesù risponde come a Giovanni: ‘Ascoltate e vedete quello che succede ai piccoli e ai sofferenti, oggetto dell’amore di chi è stato raggiunto dal mio amore. Da quella volta che la mia Chiesa si è introdotta nel mondo continua la cura dei piccoli e dei sofferenti; e ai poveri è annunciato il Vangelo’.

Caro Francesco, l’ordine sacro con il quale oggi sarai costituito nel Ministero ordinato del diacono, farà anche di te un continuatore del servizio ai sofferenti e dell’annuncio ai poveri. Recitando su di te la preghiera consacratoria, il Vescovo chiederà tra l’altro:

‘Sia pieno di ogni virtù: sincero nella carità, premuroso verso i poveri e i deboli, umile nel suo servizio, retto e puro di cuore, vigilante e fedele nello spirito.

L’esempio della sua vita, generosa e casta, sia un richiamo costante al Vangelo e susciti imitatori nel tuo popolo santo’.

La gioia di questa domenica, che intravede l’avvicinarsi del Signore che viene, sia per te quella di chi trova più gioia nel dare che nel ricevere e di colui che il Signore ama perché dona con gioia.

Il diaconato ti prepara e ti avvicina al ministero del presbiterato verso il quale sei incamminato. Ma questa prerogativa dell’amore dei poveri e dell’annuncio del Vangelo non solo non dovranno mai venir meno, ma dovranno trovare ulteriore motivazione. Il tempo del diaconato ti serva per vedere che è possibile amare gli altri con l’amore di Cristo e per provare la gioia della donazione generosa.

Mentre Gesù rispondeva alla domanda sulla sua identità, invitando a guardare alle sue opere, ha precisato anche l’identità dello stesso Giovanni, mettendo in evidenza la sua vita penitente, sobria e virtuosa: ‘che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta’. Scoprire l’identità di Gesù aiuta anche a riconoscere la propria identità, come avvenne per Simone quando disse: ‘Tu sei il Cristo, il figlio del Dio vivente’ e si sentì rispondere: ‘E tu sei Pietro”.

Riconoscere Gesù rende più decisi anche noi; stare con Lui o contro di Lui fa la differenza; seguire il suo progetto su di noi vuol dire raggiungere la pienezza della vita.

Giovanni ha preparato un popolo ben disposto ad accogliere la salvezza. Ha aperto le strade ed è scomparso, senza chiedere nulla, solo la certezza di aver lavorato per Lui. Per certi occhi che si fermano al valore umano delle cose, questo può sembrare un fallimento; eppure Gesù dice: ‘In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui’. Sì, perché è cambiato il criterio per questa misura. Gesù l’ha indicata in un altro passo del vangelo di Matteo: ‘In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque diventerà piccolo come questo bambino, costui è il più grande nel regno dei cieli’ (Mt 18, 4).

 Infine raccogliamo l’invito di S. Giacomo: ‘Siate costanti, fratelli miei, fino alla venuta del Signore. Guardate l’agricoltore: egli aspetta con costanza il prezioso frutto della terra finché abbia ricevuto le prime e le ultime piogge. Siate costanti anche voi, rinfrancate i vostri cuori, perché la venuta del Signore è vicina’. Saper attendere i tempi di Dio, senza la nostra fretta, perché è Lui che irriga e fa crescere.

Dio ha trovato il terreno fertile per la tua vocazione nella grazia cresciuta in te con la collaborazione anche della tua famiglia e della parrocchia. È lì che hai ricevuto il dono della fede e il primo gusto di servire il Signore nei ragazzi, nella Liturgia e nell’aiutare il tuo parroco, che oggi ti può guardare soddisfatto.

Chiediamo anche per te, Francesco, la costanza nel servire il Dio fedele; la costanza nella preghiera, senza stancarsi mai; la costanza nel ministero sacro, senza mettere scadenze all’opera di Dio. E alla fine della tua giornata lavorativa possa ripetere anche tu come ha insegnato Gesù: ‘Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare’ (Lc 17,10).

La Vergine santa ti renda partecipe della sua anima per glorificare il Signore e ti doni il suo cuore per gioire in Dio, nostro salvatore.

OMELIA per la APERTURA del PROCESSO di BEATIFICAZIONE di padre DOMENICO GALLUZZI
Faenza, Monastero Ara Crucis - 30 ottobre 2010
30-10-2010

La fama di santità che la Chiesa riconosce nei discepoli di Cristo, è sempre motivo di gioia e di speranza, perché ci fa toccare con mano che davvero il Signore non solo chiama, ma sa portare a compimento con la sua potenza, la volontà di bene e l’opera della fede dei suoi figli. La Chiesa di Faenza-Modigliana ha aperto con fiducia la Causa di Beatificazione del Servo di Dio Domenico Galluzzi, dell’Ordine dei Frati predicatori, ‘perché in lui sia glorificato il nome del Signore nostro Gesù’.

Con questa Celebrazione eucaristica rendiamo grazie a Dio per quello che ha operato nei suoi Santi, e chiediamo la protezione divina per il buon andamento del processo che è stato avviato; chiediamo pure, se questa è la volontà di Dio, che il suo Servo P. Domenico possa essere glorificato dalla Chiesa, per essere indicato come esempio e modello di santità ai presbiteri del nostro tempo.

Chi è questo religioso presbitero attorno al quale si sta concentrando l’attenzione della nostra Chiesa, e dopo diciotto anni dalla sua morte viene fatto rivivere nel racconto dei testimoni, nella raccolta dei suoi scritti, nella memoria delle sue figlie spirituali e di quanti ha accompagnato nella via della santità?

Non è mio intento anticipare il pronunciamento sulla eroicità delle virtù cristiane, religiose e sacerdotali di P. Domenico, ma solo richiamare qualche aspetto significativo della sua figura.

Nato nella nostra Regione a Cattolica, a ventidue anni chiede di essere accolto tra i Frati predicatori a Bologna. Quando sta per partire per il convento la madre gli dice: ‘Se vai per farti santo, bene; se no rimani a casa tua’. Troviamo in questa mamma la sapienza di una donna, che manifesta in quale contesto di grazia questo figlio era cresciuto. Aveva in questo modo già davanti a sé il progetto di tutta la sua vita: santificarsi per santificare.

Coinvolto presto nella responsabilità verso gli studenti prima e i novizi poi, entra progressivamente nel carisma dell’Ordine che ha abbracciato, cercando un obiettivo per la sua vita religiosa: ‘Ripetevo continuamente: nonostante le mie limitatezze: Ci sarà un traguardo anche per me, che io non conosco, ma che tu, Signore, mi hai preparato’.

L’aver trascorso gran parte della sua formazione presso l’Arca di S. Domenico a Bologna, gli facilita il continuo ricorso al suo Fondatore, di cui aveva assunto il nome: ‘Imploro, per intercessione di San Domenico, la grazia inestimabile di onorare in me stesso il Sacerdozio di Cristo, come egli lo onorò in sé angelicamente, con coscienza pura, con la parola apostolica, con le opere sante, immagine perfetta del Sacerdote eterno’.

E così il giorno della sua ordinazione presbiterale, avrà il primo pensiero su quella che sarà la sua opera: ‘È stato il 23 luglio 1936 che ho interiormente percepito e stretto al mio cuore l’idea e l’immagine dell’Ara Crucis’. Ovviamente non avrà immaginato l’opera come poi si è andata configurando nel tempo, ma ne aveva percepito la finalità e il senso: ‘Il Sacerdozio senza un ideale più grande della vita, quale santificarsi per santificare, è un Sacerdozio incompleto, un Sacerdozio che non può soddisfare e, in tal caso, il sacerdote è uno che vive senza scopo’.

Dalla prima ispirazione all’inizio di quella che sarà l’Ara Crucis passerà molto tempo, con alcune vicende che risulteranno assai significative.

Dopo qualche anno ci fu l’incontro con Matilde Gentile, e successivamente con le due sue sorelle e altre figlie spirituali, con le quali il Padre inizia un cammino di preghiera e di offerta della vita per la riparazione sacerdotale. Osservo soltanto che questo pensiero viene riportato con forza dal Papa Benedetto XVI ai nostri giorni, con l’invito a pregare e fare penitenza per riparare i peccati dei presbiteri.

Arriva anche per P. Domenico il momento della croce, con la malattia che lo tiene fermo per molti mesi: ‘Eppure questo fu il periodo più fecondo di celesti benedizioni’.

 

Finalmente nel 1948 la volontà dei superiori manda P. Domenico a Faenza, dove incontra il Vescovo Mons. Battaglia, che apprezza subito le sue doti di guida spirituale per i presbiteri e i seminaristi, e coglie la grazia del suo progetto apostolico. Dalla sinergia di queste due anime nasce il rapporto dell’Ara Crucis con la Chiesa diocesana, nella quale il Monastero rimane inserito. Questo rapporto vitale si manifesterà nella partecipazione orante del Monastero a tutti i momenti belli e tristi della vita della Diocesi, e di riscontro da parte dei fedeli e delle comunità, nel ricorrere alle preghiere delle Monache e nell’aderire alle loro proposte formative.

L’ingresso delle prime monache nel Monastero dell’Ara Crucis avvenne l’otto settembre 1955, festa della Natività di Maria, data che sottolineava l’anima mariana di quella comunità. P. Galluzzi si era ispirato a quanto aveva fatto il Santo Padre Domenico all’inizio della sua missione, il quale a sua volta aveva voluto seguire il piano di Dio nel mistero dell’Incarnazione, realizzato per mezzo della Vergine di Nazareth.

San Domenico, dice il nostro Padre, ‘colloca in una posizione di massimo rilievo la donna consacrata e la ama con una stima che trova riscontro nel mistero dell’Incarnazione. Egli vede e benedice la religiosa a fianco della Madonna e vede e benedice Maria di Nazaret, Madre e Maestra di questa nuova Maria, con sentimenti di gratitudine quali pochi hanno posseduto. Le prime religiose a Prouille si presentano in questa cornice: così le ha concepite Dio, così il Santo Padre Domenico le ha raccolte e consacrate al servizio di Dio e della Chiesa’.

Inserire le monache dell’Ara Crucis nella missione apostolica della santificazione dei presbiteri, come San Domenico aveva coinvolto le sorelle domenicane consacrate al sostegno della missione evangelizzatrice dei Frati predicatori, significava imitare la Vergine di Nazaret nel donare al mondo il Salvatore.

Santificarsi per santificare, oltre che attingere al paolino: ‘Diventate miei imitatori, come io lo sono di Cristo’ (1 Cor 11,1), risente anche del ‘contemplata aliis tradere’ proprio del carisma domenicano. Il Padre è consapevole di questa opera di Dio, e dice: ‘Perché non siamo noi a dare Dio agli altri, ma è Dio che si dona agli altri attraverso di noi’. E questo P. Domenico lo vive per le sue monache e per i presbiteri, religiosi e laici che continua a confessare e guidare spiritualmente.

La Parola di Dio e l’Eucaristia celebrata e vissuta, saranno la fonte della sua vita sacerdotale e del suo ministero; da questo rapporto vivo con il suo Signore verrà la grazia di essere un segno efficace della misericordia del Padre non solo mediante il sacramento del perdono, ma anche per la sua parola ‘decisa e penetrante, a volte messaggera di verità impegnative, ‘(ma che, come dice un testimone) non produceva piaghe’.

L’apertura del processo per la causa di beatificazione di P. Domenico arriva dopo la chiusura dell’Anno sacerdotale, voluto dal Papa Benedetto XVI in occasione del 150.mo anniversario della morte del Santo Curato d’Ars, per richiamare l’attenzione di tutto il popolo cristiano sulla santificazione dei presbiteri.

Scriveva il Papa nella lettera di indizione: ‘Non si tratta certo di dimenticare che la efficacia sostanziale del ministero resta indipendente dalla santità del ministro; ma non si può neppure trascurare la straordinaria fruttuosità generata dall’incontro tra la santità oggettiva del ministero e quella soggettiva del ministro’ (Papa Benedetto XVI, 16 giugno 2009).

Si sa che ogni efficace riforma nella Chiesa ha sempre coinvolto in modo determinante il clero. Possiamo ricordare il nostro San Pier Damiani, che all’inizio del secondo millennio cristiano ebbe molto da operare, tra l’altro, per la purificazione dei costumi dei monaci e dei presbiteri, avviando quella che sarà la riforma gregoriana che tanto influsso ebbe sulla Chiesa nei secoli successivi.

Anche oggi la Chiesa non ha bisogno di tanti presbiteri, ma di presbiteri santi. P. Domenico ha messo il dito sulla piaga, e ha dato inizio ad una via per una cura efficace. Vogliamo pregare perché la sua glorificazione qui in terra, se sarà nei disegni di Dio, possa richiamare l’importanza di questa impresa e testimoniare che è possibile per i presbiteri diventare santi nel loro ministero, con l’esempio e l’intercessione dei loro santi confratelli.

Qualche giorno fa il Signore ha chiamato accanto a Sé Madre Teresa Casali, che tanto aveva atteso il giorno che stiamo vivendo, e che tanto aveva lavorato nel raccogliere materiale documentario per la causa di P. Domenico. Vogliamo pensare che nei disegni di Dio tutto questo abbia voluto essere un segno di benevolenza per la Madre, che dal suo letto di dolore non avrebbe potuto assistere a questa celebrazione, come speriamo abbia potuto fare da dove ora si trova presso Dio.

Infine, pensando proprio a tutta la procedura della causa, ci piace riferire anche a lei quello che S. Domenico diceva di se stesso ai suoi confratelli: ‘Vi sarò di aiuto più dopo la morte, che fintanto che sono qui in terra’.