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OMELIA nell’anniversario della morte del Servo di Dio DANIELE BADIALI
Faenza, Basilica Cattedrale - 18 marzo 2012
19-03-2012

L’annuale ricordo dell’uccisione di P. Daniele, di cui ricorre il quindicesimo anniversario, quest’anno ci porta a ricordare anche il 50.mo anniversario della sua nascita, avvenuta il 3 marzo 1962. Queste ricorrenze non aggiungono nulla alle motivazioni che ci hanno portato qui questa sera, se non il fatto che la vita di P. Daniele, ormai circoscritta nel tempo, ‘è nascosta con Cristo in Dio’ (Col 3,3). La domenica ‘laetare’ quest’anno per noi ha una motivazione in più nel sostenere la nostra gioia: il Servo di Dio Daniele Badiali, presbitero della nostra Chiesa, fratello e amico, dono fatto a questo nostro tempo per i giovani, per i presbiteri, per i missionari del Vangelo.

‘Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna’. Come si vede è una storia lunga quella dell’uomo che cerca la vita, e trova sempre qualcuno che gliela promette nel modo sbagliato. Ma abbiamo anche qualcuno che si prende cura di noi, e con un semplice atto di fede in lui ci offre la vita vera: ‘Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui’. Era questo il cruccio più grande di P. Daniele: vedere che Gesù non interessava a nessuno e che Dio veniva allontanato dalla vita dei ragazzi e dei giovani soprattutto, per fare posto a tanti surrogati inutili e dannosi.

La gioia e il valore di vivere può venire solo dall’amore, dal donare qualcosa di nostro e noi stessi per gli altri, e in definitiva per il Signore: avevo fame e mi avete dato da mangiare’

La raccolta di viveri che in questi giorni i nostri giovani hanno fatto in Città è stato un gesto concreto per dire a se stessi che qualcosa è possibile fare, per dare senso alla vita propria e a quella degli altri, e per imparare a non chiudere il proprio cuore di fronte al fratello. In definitiva siamo noi che dobbiamo cambiare, sapendo che non si tratta di abolire la croce ma di abbracciarla, come ha fatto Gesù e di coglierne il valore. Se la povertà di cibo e di medicine si può affrontare raccogliendo l’uno e le altre, la povertà di fede e di amore ha bisogno della vicinanza di chi crede e ama. Dio ci ha dato suo Figlio, cioè ha donato se stesso; anche noi dobbiamo imparare a donare noi stessi (poco o tutto) agli altri. P. Daniele pensava di donare la propria vita in un certo modo e Dio gliela ha chiesta in un altro modo tutta e presto.

Nella sua vicenda umana e cristiana P. Daniele ha avuto la percezione viva di una presenza affettuosa che lo accompagna e lo conforta. È la Madre di Gesù, che a Chacas, nella parrocchia di P. Ugo, viene venerata come Mama Ashu, la Madonna assunta.

Nel VI centenario della devozione alla Madonna delle Grazie è bello vedere come Maria sia stata presente nella vita di questo suo figlio e lo abbia aiutato ad essere accanto al figlio Gesù.

Scrive P. Daniele: ‘La devozione a Maria è nei cuori di ogni persona, e così anche per noi che veniamo da lontano, che lasciamo le nostre famiglie, la nostra mamma, è una grande grazia arrivare qua e incontrare una mamma che ti abbraccia e ti accoglie nella sua casa.

Così stando qua ho sentito tanto il desiderio di voler bene a Maria, di confidarle la mia vita, di esserle devoto, di pregare per lei ogni giorno e chiederle la salvezza della mia anima e di tutte le persone care.

Ma insieme a questo desiderio si è fatta sempre più chiara ed evidente la mia poca fede, soprattutto guardando alla gente, ai bambini. La loro devozione mi colpì sin dal primo giorno che arrivai qua, guardavo le mamme che in ginocchio piangevano davanti a Mama Ashu” (pag.81).

Quando poi si dice di imparare dai poveri’ Gesù direbbe: ‘Ti rendo lode o Padre’ perché hai rivelate queste cose ai piccoli’ (cfr Mt 11,25). Quando si va per dare, si finisce per ricevere, per imparare, per essere aiutati. E in quel momento si capisce che non siamo noi a salvare il mondo, ma che anche noi abbiamo bisogno di essere salvati.

C’è un episodio raccontato da P. Daniele, che dice l’intensità del suo amore e della sua fiducia in Maria. Dopo essere stato ordinato prete in questa Cattedrale, va in Perù e per qualche tempo si ferma nella parrocchia di p. Ugo a Chacas, prima di andare nella parrocchia di S. Luis alla quale era stato destinato.

Scrive P. Daniele: ‘Ugo mi accompagnò con tutti i ragazzi e la gente fino alla chiesa di Chacas dove mi attendeva Mama Ashu dall’alto della sua casina’ Entrai in chiesa, mi inginocchiai davanti alla Madonna’ Ricordo bene la commozione, non riuscivo a trattenere le lacrime’ Così iniziai subito la Messa, 600 oratoriani mi stavano attorno cantando a voce alta’ Ho pianto tutta la Messa‘ Così è iniziata la nuova avventura di questo giovane parroco delle Ande” (pag. 145).

E quella nuova avventura andò avanti poco e finì come sappiamo, chissà con quante grazie ottenute per intercessione della Madre di tutte le grazie.

La nostra Chiesa tra le grazie ricevute in questi sei secoli di storia, per le quali deve essere riconoscente deve ricordare certamente i suoi santi, nati in questa terra, cresciuti nella fede delle nostre famiglie, aiutati dai nostri preti, impastati della semplicità della nostra gente. La devozione a Maria, legata a volte a un santuario o all’immagine venerata in parrocchia e alimentata dal Rosario è quasi sempre l’esperienza più diffusa del soprannaturale, potendo rivolgersi alla Madonna come ad una persona viva, presente, che ci ascolta e ci aiuta.

Dice il Concilio: ‘Maria’ per la sua intima partecipazione alla storia della salvezza, in sé compendia e irraggia le principali verità di fede” (L.G., 65). Questa affermazione si può vedere in tutta la sua bellezza, ricordando i quattro dogmi della fede che riguardano Maria: l’Immacolata concezione; la Madre di Dio; Maria sempre Vergine; Maria Assunta in anima e corpo cielo, modello del discepolo di Cristo pienamente riuscito.

L’anno scorso come oggi ero anch’io a celebrare la Messa ad Acorma, il luogo dove fu trovato il corpo esanime di P. Daniele il 18 marzo 1997, vicino al fiume, segnato ora da una croce bianca. Posso immaginare quanti anche oggi si sono trovati in quel luogo, sacerdoti, giovani e parrocchiani.

Noi ricordiamo in questa Cattedrale con la mamma, i suoi cari, i ragazzi dell’O.M.G. e la nostra Chiesa diocesana, sotto lo sguardo materno della Madonna delle Grazie, alla quale chiediamo ancora un altro regalo. Se Dio vorrà chiediamo che P. Daniele possa essere riconosciuto quanto prima dalla Chiesa nell’eroicità delle sue virtù, per essere presentato soprattutto ai giovani del nostro tempo come esempio di vita cristiana e sacerdotale. A gloria di Dio. Amen.

OMELIA per la DEDICAZIONE della chiesa parrocchiale di TRAVERSARA
Traversara - 18 marzo 2012
18-03-2012

Perché si fa la dedicazione di una chiesa, se da sempre viene usata per la celebrazione della Messa e dei sacramenti e per il culto divino? Un tempo il rito era molto complesso, per cui era comprensibile che fosse rinviato. Ma oggi non può essere solo il rito più semplice a motivare questa solenne cerimonia.

‘In quanto costruzione visibile, la chiesa-edificio è segno della Chiesa pellegrina sulla terra e immagine della Chiesa già beata nel cielo. È giusto quindi che questo edificio, destinato in modo esclusivo e permanente a riunire i fedeli e alla celebrazione dei santi misteri, venga dedicato a Dio con rito solenne secondo l’antichissima consuetudine della chiesa’ (Rito, n. 28).

Con la dedicazione la vostra chiesa diventa un simbolo; questo ci ricorda la presenza di Dio tra gli uomini e che la meta della nostra vita è la patria del Cielo.

Il rito comprende la consacrazione dell’altare e delle pareti della chiesa, sulle croci appositamente collocate, con il sacro Crisma. Il Crisma è segno di Cristo Signore, con il quale vengono consacrati, cioè riservati esclusivamente a Dio i luoghi e il loro uso, le persone e la loro vita.

Il rito della dedicazione esprimerà in modo eloquente il significato di quanto stiamo celebrando, mentre la Parola di Dio che abbiamo ascoltato ci aiuta ad entrare nella realtà di questo mistero.

Il mistero si presenta ogni volta che Dio entra in rapporto con l’umanità, e trova il suo culmine nell’incarnazione del Verbo. Dal momento che il Figlio di Dio ha assunto la natura umana nel grembo della Vergine Maria, la possibilità di incontrare Dio qui in terra è diventata concreta per ogni uomo. Questa possibilità non è stata riservata solo alla gente di Palestina al tempo di Gesù, ma agli uomini e alle donne di tutti i tempi e di tutti i luoghi. I sacramenti, a cominciare dall’Eucarestia ne sono l’occasione.

La chiesa-edificio che ci raccoglie nella celebrazione dei santi misteri, in qualche modo partecipa della grazia del segno sacramentale e diventa essa stessa strumento di avvicinamento a Dio, soprattutto quando conserva la presenza dell’Eucaristia, e quando, mediante le immagini sacre, illustra le verità eterne.

Ciò che trasforma un edificio in una chiesa è l’assemblea riunita dalla Parola di Dio per celebrare i divini misteri. In altre parole noi diventiamo cristiani mediante la fede suscitata in noi dalla Parola di Dio e successivamente quando siamo segnati dalla grazia del sacramento del battesimo.

Abbiamo sentito il racconto della lettura dei libri della legge trovati durante la ricostruzione del tempio dopo il ritorno dall’esilio. Con quanta commozione ascoltavano quelle parole, che erano alla radice della loro identità di popolo di Dio. Sarebbe bello se  da oggi in avanti l’ascolto delle letture e del vangelo in questa chiesa suscitasse una commozione simile e trasmettesse la gioia del Signore che ci dà forza nella vita.

Il Signore è presente in questa chiesa per avere un incontro personale con ciascuno di noi. Gesù si è invitato a casa di  Zaccheo, perché Zaccheo lo desiderava ma non aveva il coraggio di dirlo. Gesù vuol venire anche a casa nostra; non gli basta la visita veloce che facciamo a volte in chiesa: ‘Oggi devo fermarmi a casa tua’. Gesù desidera stare con noi, per portare anche a noi la salvezza: ‘Oggi per questa casa è venuta la salvezza’.

E dall’incontro fedele con Lui, noi diventiamo come Lui, cioè pietre vive per costruire il Regno di Dio: ‘Avvicinandovi al Signore, pietra viva’ quali pietre vive siete costruiti anche voi come edificio spirituale’. Tutti, attorno a Cristo cresciamo come una nuova struttura viva, appoggiata su di Lui, ma proiettata in tutto il mondo. È la costruzione della Chiesa popolo di Dio, nazione santa, sacerdozio regale, stirpe eletta, per proclamare le opere ammirevoli di Lui.

Dio è allontanato dal mondo, dalla vita, dal lavoro; tutte le scuse sono buone per eliminare tutto ciò che ce lo farebbe ricordare: immagini, feste, eventi, persone. Eppure ormai abbiamo visto che dove scompare Dio entrano tanti padroni, più intransigenti e prepotenti, che invece di esaltare la nostra libertà di figli, ci assoggettano alle loro pretese di ricchezza, di potere, di dominio, mettendoci gli uni contro gli altri, speculando sulle differenze di razza, di religione, di condizione sociale.

Nella chiesa-edificio, convocati dalla parola di Dio, noi vogliamo crescere come Chiesa-famiglia dei figli di Dio, per essere segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano, a cominciare dalla parrocchia e continuando nel luogo dove siamo chiamati a vivere.

Capite allora l’importanza che assume la vostra chiesa dalla dedicazione, per cui da ora in poi merita rispetto, come luogo consacrato, come simbolo di grandi misteri, come spazio che custodisce la storia della nostra comunità e la memoria delle tappe più significative della nostra vita di cristiani, dal battesimo e agli altri sacramenti, fino all’ultima Eucaristia che ci accompagnerà davanti a Dio. In chiesa si viene per il Signore; per parlare tra di noi abbiamo lo spazio davanti alla chiesa: educhiamo così i nostri bambini dando per primi il buon esempio.

La grazia di questo giorno verrà poi ricordata ogni anno, celebrando l’anniversario della dedicazione della chiesa come festa solenne, festa della comunità cristiana, nella quale ricorderemo la nostra comunione con la Vergine Maria Assunta in cielo, patrona di questa parrocchia. Quando i nostri padri scelsero la Vergine Assunta come titolare della chiesa, vollero dare una indicazione precisa: la nostra chiesa deve servire per farci andare tutti in paradiso, insieme alla Madonna.

Affidiamo a Lei gli impegni e i propositi di questa giornata, insieme alla protezione di tutta la parrocchia di Traversara, dei suoi pastori vivi e defunti, di coloro che partecipano più da vicino alla croce di Cristo, dei bambini che in questa chiesa imparano a conoscere e ad amare Gesù, e dove tutti lo incontriamo per portarlo ai fratelli.

OMELIA per il MERCOLEDI’ delle CENERI
22-02-2012

‘O Dio nostro Padre, concedi al popolo cristiano di iniziare con questo digiuno un cammino di vera conversione”.  Un’altra occasione per fare ancora un passo verso il Signore. Gli aiuti saranno numerosi e forti: la Parola di Dio, i sacramenti e l’aiuto dei fratelli di fede. Il messaggio del Papa per la Quaresima di quest’anno mette in evidenza la condizione privilegiata di quanti sono nella comunione della Chiesa, che hanno un dovere in più verso i fratelli, ma possono godere anche dell’aiuto spirituale degli altri..

‘Prestiamo attenzione gli uni agli altri, per stimolarci a vicenda nella carità e nelle opere buone’. È questo il testo della lettera agli Ebrei che il Papa commenta per ricavare lo stimolo di una reciproca emulazione nel fare il bene. Subito nel versetto successivo leggiamo: ‘Non disertiamo le nostre riunioni, come alcuni hanno l’abitudine di fare’ (Ebr 10, 24s). Mi pare evidente che qui sia indicato da dove si deve cominciare, cioè dalla Messa, il luogo dove la nostra solidarietà è vera, radicata nella presenza del Signore Gesù.

Il primo modo per interessarci degli altri nella Chiesa è vivere in pienezza la Messa festiva, dove incontriamo i fratelli di fede, preghiamo gli uni per gli altri e ci sosteniamo a vicenda con il buon esempio. È il primo modo per prestare attenzione agli altri, per essere informati sulla vita della comunità e conoscere situazioni di bisogno o iniziative di intervento.

Prestare attenzione: è il verbo usato da Gesù per invitarci a ‘osservare gli uccelli del cielo’ (Lc 12,24). È quindi un’attenzione che ci spinge a vedere anche le cose buone, edificanti. Il Signore chiede anche una premura per la vita e la salvezza eterna del fratello. Quando Dio chiede a Caino: dov’è Abele tuo fratello? Caino risponde: ‘Sono forse io il custode di mio fratello?’ Aveva capito bene la domanda di Dio, che gli chiedeva proprio questo, di essere il custode di suo fratello.

Nel nostro tempo siamo più sensibili al tema del rispetto delle risorse naturali, destinate a tutti gli uomini, anche quelli che verranno dopo di noi. Abbiamo meno premura per l’inquinamento morale e spirituale delle nostre comunità. Paolo VI nella Populorum progressio ha detto: ‘Il mondo è malato. Il suo male risiede meno nella dilapidazione delle risorse o nel loro accaparramento da parte di alcuni, che nella mancanza di fraternità tra gli uomini’ (n.66).

Il Papa ci ricorda una opera di misericordia spirituale oggi poco considerata: ammonire i peccatori. Credo sia stato sempre difficile praticare questa correzione fraterna, come l’ha raccomandata Gesù.

Non bisogna tacere di fronte al male, perché non diventi una giustificazione del comportamento sbagliato di qualcuno. Si ha purtroppo l’impressione che il bisogno di scoprire il male nella Comunità cristiana sia finalizzato piuttosto a scusare se stessi. Quando qualcuno chiese a Madre Teresa che cosa ritenesse fosse urgente cambiare nella Chiesa, ella rispose: ‘Io e lei’. Come dire: ‘Non stiamo a guardare le cose che non vanno: ce ne saranno sempre. Cominciamo piuttosto a cambiare noi’. La nostra conversione può prendere motivo anche dal male che si vede, se abbiamo chiaro l’obiettivo della chiamata alla santità, che ci viene proposto dal Signore fin dal nostro battesimo.

Come il peccato ha anche una dimensione sociale, nel senso che indebolisce tutto il corpo ecclesiale, così le pratiche che sostengono la conversione, come la preghiera, l’elemosina e il digiuno hanno anch’esse una rilevanza positiva nella realtà della Chiesa. È vero che il vangelo invita a svolgere queste pratiche nel segreto, per non vanificare il merito davanti a Dio con una esibizione pubblica. Tuttavia l’efficacia di queste opere non raggiunge solo chi le pratica, ma anche  coloro che sono in comunione con Cristo nella Chiesa. La nostra conversione eleva tutta la comunità, così come tutta la comunità è ferita dal nostro peccato.

Il comune impegno di tutta la Chiesa nel tempo quaresimale, dona una particolare grazia ai quaranta giorni che ci portano alla Pasqua. La liturgia chiama la Quaresima ‘segno sacramentale della nostra conversione’, per indicare l’aiuto efficace che ci viene da questo tempo santo e nello stesso tempo per ricordare che c’è una rilevanza positiva nella comunità.

Anche l’austero gesto dell’imposizione delle ceneri che noi celebriamo, ricorda a tutti quanto sia fragile la nostra esistenza e come sia urgente la nostra conversione a Cristo. Siamo invitati quindi a iniziare con slancio il cammino verso la Pasqua, sapendo che di questo rinnovamento abbiamo bisogno noi e tutto il mondo. Non ci devono fermare i nostri peccati e nemmeno i tempi cattivi, perché è adesso il momento favorevole e il giorno della salvezza. Ci accompagni in questo cammino il Signore con la sua misericordia.

OMELIA per la messa a XX della morte del Servo di Dio DOMENICO GALLUZZI
13-01-2012

A venti anni dalla morte del P. Domenico, abbiamo la possibilità di parlare di lui come Servo di Dio; la Chiesa ha cominciato ufficialmente a indagare sull’eroicità della sua vita cristiana e religiosa, come discepolo di Cristo e suo ministro.

La breve riflessione che faremo insieme in questa liturgia eucaristica, in onore della B. Vergine Maria, fonte della salvezza, vuole riallacciarsi all’Anno mariano che stiamo celebrando per il VI centenario del culto alla Madonna delle Grazie, e dare ragione del ruolo determinante della Vergine nella santificazione della vita del presbitero.

Non ho certo la pretesa di mostrare la devozione mariana di P. Domenico, anche se in lui domenicano questa deve essere stata profonda, teologicamente sostenuta, spiritualmente viva.

Tuttavia mi piace avviarmi con una sua osservazione: ‘Come i corpi illuminati dal sole finiscono col riscaldarsi, così il sacerdote continuando a vivere alla presenza di Maria, ne subisce il benefico effetto: un aumento di amore filiale, una profonda interiorità di vita’.

Questo rapporto vivo tra il sacerdote e la Vergine, rimanda al rapporto tra la Vergine e suo Figlio Gesù. Maria è la donna vestita di sole, che risplende di luce riflessa come la luna. Voler separare Maria da Gesù e come voler separare la luce dal sole, che ne è la sorgente. Lasciarsi illuminare dalla luce di Maria, in fondo è risplendere della luce di Cristo.

‘Quanti motivi ha il sacerdote, continua P. Domenico, per dire: ‘Non vedo chiaro, l’aridità mi penetra fino al midollo’. Ha però un motivo capace di neutralizzare gli effetti deleteri del gelo spirituale’: il focolare materno, perennemente acceso, di Maria SS.ma’.

Se l’immagine del sole ci aiuta a comprendere l’efficacia della grazia che viene dal rimanere in Maria e quindi in Cristo, l’immagine dell’acqua ci parla sul dono della vita. Soprattutto nell’ambiente arido dell’oriente si comprende come l’acqua sia fonte di vita.

Il profeta Ezechiele ci ha rivelato da dove nasce l’acqua della vita: dal tempio santo di Dio; e questa acqua dona la vita dovunque arriva. Ma qual è il principio vitale, fuori dell’immagine, ce lo rivela il Vangelo di Giovanni quando parla dei fiumi di acqua viva che sgorgano da chi crede in Gesù: ‘Questo egli disse dello Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui’.

Maria è fonte della salvezza perché ci ha donato il Salvatore e continua ad essere mediatrice materna presso suo Figlio per noi, perché custodiamo la vita divina che ci è stata data nello Spirito santo mediante il battesimo, l’acqua che dà la vita, e l’alimentiamo con il cibo eucaristico.

Il rapporto sacramentale con Cristo è fondamentale; ma anche il rapporto spirituale con Maria, in una intimità assidua e nella condivisione di vita è necessario per non inaridirsi.

La realtà grande della Vergine nei confronti dei sacerdoti e dei cristiani è data dai quattro dogmi che ne definiscono l’immagine: la concezione immacolata, la maternità divina, la verginità perpetua e l’assunzione in cielo. Invece di collocare la Vergine lontano da noi in una posizione irraggiungibile, questi quattro misteri ce l’avvicinano fino a renderla per noi madre nell’ordine della grazia.

Maria concepita senza peccato ha accolto in pienezza l’opera del Redentore, che ha redento anche sua madre non liberandola da un peccato da cui era stata contagiata, ma impedendo che lo fosse. Santa Teresa di Gesù, riflettendo un giorno sull’episodio del vangelo dove Gesù perdona alla peccatrice, dicendo: ‘Molto le è perdonato perché ha molto amato’ dice: ‘Se è segno di amore il perdono, è segno di maggior amore impedire il bisogno di perdono. Se è amore quello di un padre che solleva il figlio caduto, è maggior amore quello di un padre che toglie l’inciampo perché il figlio non cada’.

Maria Immacolata ci fa comprendere l’amore del Salvatore, che vuole riconciliarci con Lui. Dirà S. Paolo: ‘Vi scongiuro in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio’.

Maria, madre di Dio, ha generato secondo la natura umana il Verbo incarnato. Nascendo da donna, Gesù ha messo in rapporto Dio e l’uomo in modo così efficace, che come Dio è diventato uomo, così l’uomo può diventare Dio. Radicalmente siamo già ‘partecipi della natura divina’ (2 Pt 1,4) mediante il battesimo; dobbiamo imparare a vivere da figli di Dio, per opera dello Spirito santo.

Maria sempre vergine. Verità di fede, proprio perché umanamente incomprensibile. Ma quanto è coerente con la realtà del mistero dell’incarnazione. Nel concepire il Figlio di Dio non c’è stata l’opera dell’uomo, ma è intervenuto lo Spirito Santo. Così nella nascita, anch’essa opera di Dio, non c’è stato ciò che solitamente è conseguenza della fecondazione umana. Vergine prima, vergine nel parto, vergine dopo il parto. Del resto che cosa poteva ancora generare la Madre di Dio, dopo aver generato il Figlio di Dio? che cosa poteva aggiungere, che non fosse già compreso nell’Unigenito del Padre? E come poteva generare secondo la carne, Lei che sarebbe stata Madre di tutti gli uomini nell’ordine della grazia?

Il sacerdote trova in Maria il sostegno alla sua verginità, quando, facendo esperienza del limite dei mezzi umani, ricorre all’intervento di Dio nei sacramenti e nella preghiera. È lì che si rende conto che ha bisogno di un rapporto verginale con Dio, per fidarsi fino in fondo dell’intervento dello Spirito Santo, credendoci davvero che è Dio che salva l’uomo, e non le nostre opere. Il prete è vergine, prima ancora che per avere tempo di fare tutto, per poter lasciare entrare totalmente Dio nel suo ministero, lasciandolo agire soprattutto dove l’uomo non può arrivare. Essere tutto di Dio, perché Dio sia tutto nella sua vita.

Maria è assunta in cielo, in anima e corpo, ha voluto precisare il Papa Pio XII nel definire il dogma.

Era sommamente conveniente che colei che ci ha dato l’autore della vita non conoscesse la corruzione del sepolcro, e soprattutto ci ricordasse qual è il nostro destino. La nostra vita infatti non può essere racchiusa in questo mondo, essendo diventati figli di Dio per essere sempre con il Padre del cielo. Nel cammino della vita, la Madre che ci ha preceduto non dimentica il suoi figli ma li segue e li sostiene fino a che non siano arrivati tutti nel Regno di suo Figlio.

Inoltre Maria, condividendo la gloria di Gesù risorto, ne condivide anche le prerogative che rendono possibile una presenza misteriosa e reale. Maria ci è accanto quindi non come gli altri Santi, ma con una vicinanza vera, simile a quella del suo Figlio; e a volte, come particolare dono, si manifesta pure a delle anime prescelte. Ma tutti la possiamo pregare vicina e presente.

‘Un augurio per tutti, ci dice il P. Domenico: vivete sempre per Maria, con Maria e in Maria e Maria vivrà per voi, con voi e in voi, madre e maestra delle vostre anime, dei vostri corpi e della vostra vita missionaria’. Questo vale per i presbiteri, per i fedeli laici e per le persone consacrate nella verginità. Il mistero della sua persona e l’opera della sua intercessione ci mantengono in un rapporto vivo con Cristo, nella Chiesa, per la salvezza del mondo. Maria è fatta così e non può essere diversamente.

OMELIA per il II CENTENARIO della NASCITA della Serva di Dio MADRE TERESA LEGA
13-01-2012

‘Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo,

che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo.

In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo

per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità,

predestinandoci a essere per lui figli adottivi

mediante Gesù Cristo,

secondo il disegno d’amore della sua volontà,

a lode dello splendore della sua grazia,

di cui ci ha gratificati nel Figlio amato’. (Ef 1,3-6).

A 200 anni dalla nascita di Madre Teresa Lega, in questa Eucaristia che celebriamo per rendere grazie al Signore per il dono fatto alla Congregazione, alla Chiesa e al mondo  con questa nascita, vogliamo riflettere su quell’evento alla luce della Parola di Dio.

La verità grande e bella è questa: il Padre ha scelto ognuno di noi in Cristo, prima della fondazione del mondo; noi siamo stati voluti da Dio da sempre. Lo dice il fatto che siamo stati chiamati alla vita. Una volta concepiti alla vita, viviamo per sempre. A che scopo? Per essere santi e immacolati di fronte a Lui nella carità: nati per essere santi.

La conclusione molto semplice è questa: che l’eccezione non sono i santi, ma coloro che non lo diventano. Ringraziamo quindi ancora una volta il Signore per la santità di Madre Teresa Lega, di cui la Chiesa ha riconosciuto l’eroicità delle virtù cristiane, per cui la sua nascita è stata un vero dono per tutti.

La Parola di Dio che la liturgia ci ha offerto in questa giornata, ci ha ricordato come sia difficile raggiungere la santità, a causa delle nostre scelte contrarie al progetto di Dio. ‘Ascolta la voce del popolo qualunque cosa di dicano, perché non hanno rigettato te, ma hanno rigettato me, perché io non regni più su di loro’. È la tentazione di fare come gli altri: ‘Saremo anche noi come tutti i popoli’; sembra che gli altri abbiano di più. Perché non possiamo fare anche noi, come fanno tutti? Nonostante si debba poi riconoscere che la volontà di Dio era la cosa migliore per noi, il conformismo è una tentazione forte, che si estende al parlare politicamente corretto, al fare come fanno tutti, al seguire i modelli proposti e imposti.

La risposta di Dio a Samuele ci può anche stupire, perché sembra dire: ‘Lasciali fare, capiranno da soli il magro interesse che hanno fatto’. In effetti Dio rispetta la nostra libertà, ma non ci abbandona e continua a operare per il nostro bene, perché ritorniamo a Lui.

Gesù è venuto a guarire le nostre malattie, che sembravano incurabili, a cominciare dal nostro orgoglio, le nostre passioni, le nostre debolezze; Lui va alla radice dei nostri mali, cioè ai nostri peccati: ‘Figlio, ti sono perdonati i peccati’. È questa la Parola che ognuno di noi dovrebbe sentire, per avviarsi ad una vita nuova, bella e possibile.

Racconta Madre Lega che quando entrò in convento a Fognano a 12 anni, per la sua formazione di giovane fanciulla, una servente le diceva che sarebbe andata all’inferno, per farla cessare dalle continue impertinenze, soprattutto dalla collera. E questa cosa la faceva arrabbiare ancora di più: stare sempre, sempre in quelle pene e tormenti. Ma poi pensava anche alla eternità beata del Paradiso, e restare sempre nella felicità. Ma anche questo le dava angustia, perché pensava che non vi sarebbe arrivata. E si lamentava con il Signore: ‘Dunque, Signore, mi avete creata per essere infelice, disgraziata?’

La meditazione sulle cose ultime, i novissimi, è sempre stata una via della perfezione cristiana, e Madre Teresa ce lo ricorda con la sua vita orientata tutta verso Dio e nel fare il bene del suo prossimo. Aveva capito che la strada per fare la volontà di Dio e trovare la felicità per lei era la vita consacrata.

Nata il 13 gennaio 1812 e battezzata con il nome di Anna, dopo il periodo di formazione della sua fanciullezza e adolescenza presso il Collegio Emiliani di Fognano, a 21 anni, superata l’opposizione della famiglia, entra in Monastero a Fognano. Fatto il primo periodo di formazione, a 23 anni fa la professione religiosa con il nome di Suor Maria Teresa della Esaltazione della Croce e inizia la sua attività di educatrice.

Educazione e contemplazione sono la sua vita. Ma ben presto il suo orizzonte si amplia e proprio per l’esperienza feconda della sua attività le si aprono prospettive nuove.

Ha scritto nella sua autobiografia raccontando la sua infanzia e la scarsa educazione religiosa ricevuta, nonostante la sua famiglia fosse molto cristiana:

‘Ripensando al poco aiuto e indirizzo al bene dei primi anni, (dalla educazione dei quali dipende ordinariamente la buona o mala riuscita dei figli) dico tante volte: Oh! Santa educazione infantile! perché non è conosciuta la tua importanza da tanti padri e madri? e dal maggior numero dei cristiani? Quanti figli meno perversi angustierebbero il seno di nostra Santa Madre Chiesa! e da quanto maggior numero di Santi verrebbe essa consolata!’

Questo pensiero si deve essere consolidato in lei nell’esperienza diretta con le bambine. Per cui presto sente l’ispirazione del Signore per “la Fondazione di un Istituto per le povere bambine che sono nella strada, abbandonate a se stesse”. La prima sua intuizione viene fatta risalire al 1846, quando ha 32 anni di età e 11 di monastero. Prega, lotta, soffre a lungo, si consiglia per conoscere meglio la volontà di Dio, che la purifica attraverso una lunga storia di silenzi e contraddizioni. Dovrà attendere 25 anni prima di poter realizzare il progetto che la grazia di Dio le aveva messo nel cuore.

Nel 1871 il 6 giugno lascia il Monastero con la benedizione della Madre Rosa Brenti e si reca a Modigliana, per incominciare finalmente quanto aveva per tanti anni coltivato nella preghiera e nel cercare di conoscere la volontà di Dio. Ha ormai 59 anni, e ne vivrà ancora altri 19. Anche qui, come per Giacobbe, si potrebbe parlare del figlio avuto in vecchiaia.

Il prodigio della fecondità della famiglia religiosa che presto Madre Teresa ha raccolto attorno a sé, è stato frutto della sua fede.

La parola del Vangelo ci ha detto: ‘Gesù vedendo la loro fede’. Quando noi ci chiediamo: ‘Come mai non riusciamo a fare come i nostri padri e le nostre madri?’ Gesù potrebbe risponderci: ‘Per la vostra poca fede’, come disse agli apostoli che non erano riusciti a guarire l’epilettico ai piedi del monte Tabor.

Celebriamo il secondo centenario della nascita di Madre Teresa Lega, ringraziamo il Signore per averla donata alla nostra Chiesa e al nostro tempo e ringraziamo ancora per le sue figlie che ne continuano l’opera e la testimonianza. Chiediamo al Signore, se rientra nei suoi disegni, che la Chiesa possa riconoscere pubblicamente la santità di vita di Madre Teresa Lega, per poter additare in modo più ampio il suo esempio.

Chiediamo infine al Signore, per intercessione della Santa famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe., che ottenga anche a noi di poter realizzare lo scopo della nostra vita nella santità attraverso la carità, dovunque il Signore ci ha chiamati a seguirlo.

OMELIA per la SOLENNITA’ della EPIFANIA
Faenza, Basilica Cattedrale - 6 gennaio 2012
06-01-2012

Non è facile entrare nello spirito giusto dell’Epifania, sia perché da sempre prevale la Befana, cioè la festa dei doni per i bambini, sia perché l’Epifania tutte le feste porta via, sia perché quest’anno c’è poco da stare allegri. La fatica che istintivamente verrebbe da proporre, sarebbe proprio quella di superare o demolire queste difficoltà, probabilmente senza riuscirci.

Vediamo allora di lasciarci guidare dalla realtà semplice del mistero della liturgia, che nasce dal racconto del vangelo di Matteo; un racconto che nella sua struttura contiene alcune indicazioni preziose per accogliere il mistero della ‘rivelazione’ di Gesù per noi e per tutti gli uomini.

Anzitutto il segno della stella: ‘Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo’. Era diffusa l’idea che alla nascita di un grande personaggio spuntasse in cielo una nuova stella: lo dice lo storico Svetonio per la nascita di Cesare Augusto. In questa loro affermazione i Magi si presentano come studiosi secondo le scienze del tempo; stanno quindi usando la ragione nella loro ricerca; non sono infatti da confondere con gli astrologi del nostro tempo, costruttori di oroscopi per chi ci crede.

L’uso della ragione, soprattutto nella conoscenza del creato e delle sue leggi, nella contemplazione del mondo piccolissimo e grandissimo rende possibile raggiungere la conoscenza dell’esistenza di Dio. S. Paolo ai Romani scrive: ‘Le sue (di Dio) perfezioni invisibili, ossia la sua eterna potenza e divinità, vengono contemplate e comprese dalla creazione del mondo attraverso le opere da lui compiute’ (Rm 1,20).

Ma siccome, dice ancora lo stesso S. Paolo, gli uomini hanno adorato le creature invece del loro Creatore, Dio si è rivelato loro mediante le Scritture. È quanto hanno trovato anche i Magi, incontrando in Israele i custodi della Rivelazione, i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo. Per la verità non è che la profezia di Michea, riportata anche dal Vangelo di Matteo, sia così chiara. È solo la lettura che la comunità di Israele ne ha fatto, e la tradizione che ha custodito questa interpretazione che ha consentito di avere l’aiuto da parte di Dio nella Scrittura. La Parola di Dio deve essere letta nella Chiesa, perché sia al servizio della verità.

Come ci ricorda spesso il nostro Papa, noi abbiamo bisogno sia della ragione, sia della rivelazione divina. La ragione può svolgere una funzione correttiva per evitare il pericolo del fondamentalismo nella religione, e la religione può a sua volta illuminare e correggere la ragione, perché non corra il rischio, come è già successo, di passare dall’ideologia al totalitarismo. Tra ragione e religione non ci deve essere reciproca esclusione, ma rispetto, dialogo e collaborazione.

Ma ciò che ha portato i Magi a questo punto è stata la loro iniziativa di mettersi in cammino: ‘Udito il re essi partirono. Ed ecco la stella”. Il loro viaggio era iniziato molto prima, ma è evidente la loro volontà di fare la propria parte senza indugio. Il loro cammino dall’oriente ha ripercorso le strade che furono di Abramo, nostro padre nella fede. Anche Abramo ‘partì senza sapere dove andava’, dice la lettera agli Ebrei (11,8). E questo è il cammino di ogni sincero ricercatore di Dio.

Con la combinazione di ragione, rivelazione e fede i Magi arrivano a vedere Gesù: ‘Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre’. Al momento dell’incontro abbiamo scoperto un altro aiuto per quell’incontro: la presenza di Maria nostra madre. Quando c’è bisogno Lei c’è: a Cana di Galilea, sotto la Croce, nella Pentecoste. La prima, che ha creduto nel Cristo, è presente dovunque la fede in Cristo fiorisce. È Maria che ha dato Gesù al mondo, è ancora Maria che fa incontrare Gesù con coloro che lo cercano.

‘Si prostrarono e lo adorarono’. Epifania significa ‘rivelazione’ da parte di Dio, manifestazione della sua realtà di uomo-Dio salvatore a tutte le genti; Epifania significa anche manifestazione della nostra fede in Dio. I Magi adorano il Bambino e manifestano la loro fede nel Re d’Israele. Il loro desiderio è stato esaudito; la loro ricerca, premiata; la loro intuizione  ha avuto il riscontro che speravano.

Anche Erode aveva detto: ‘Quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo’. Ma evidentemente la sua non era l’attesa di un incontro libero con il Salvatore, ma era il potere che si sentiva insidiato, e non trovò la strada dell’incontro con Cristo.

 ‘Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra’. Attraverso i doni i Magi manifestarono la loro fede, come dicono i Padri della Chiesa: ‘con l’incenso riconoscono che Gesù è Dio, con l’oro lo accettano come re, con la mirra esprimono la loro fede in colui che doveva morire’.

Il mistero di salvezza che abbiamo celebrato nel Natale del Signore e che vivremo in modo pieno nella Pasqua di cui abbiamo sentito l’annuncio anche per questo anno, è stato consegnato a noi, uomini di questo tempo, non come un privilegio esclusivo, ma come una responsabilità di fronte a tutta l’umanità. L’impegno missionario, come servizio alla verità e risposta al bisogno profondo che ogni uomo ha, è la risposta più bella a quanto abbiamo anche noi visto, toccato ed esperimentato.

I popoli stanno arrivando nei nostri paesi cristiani: riescono a vedere in mezzo alla nebbia, come dice Isaia, la gloria del Signore e la sua luce? O la tenebra ricopre ancora tutta la terra?

Lasciamoci interrogare. Da una ricerca sincera può iniziare il cammino che ci porta al Salvatore, come è stato per i Magi.

OMELIA per la GIORNATA MONDIALE DELLA PACE
01-01-2012

‘Quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall’angelo prima che fosse concepito nel grembo’.

Gesù, ‘Dio che salva’. Un nome ormai a noi consueto, tanto da non ricordarci più nemmeno il suo significato e quindi nemmeno perché gli fu messo questo nome. Gesù è colui che ci ha salvato dal peccato, dalla menzogna, dall’ignoranza e dalla morte, conseguenze tutte del peccato originale.

La liturgia di questi giorni di Natale è costretta a mettere insieme la celebrazione di alcuni misteri, per ricordarli vicino all’evento principale della nascita del Salvatore. Così oggi ci troviamo a ricordare la circoncisione e l’imposizione del  nome di Gesù; la maternità divina di Maria, che avendo generato il Verbo di Dio secondo la natura umana, a ragione è diventata madre di Dio; infine la Giornata mondiale della pace.

Anche noi vogliamo ricordare la Vergine Madre di Dio, perché ha partecipato con la sua libera adesione al progetto di Dio, che ha così potuto nascere in mezzo a noi. Inoltre Maria può ancora ottenere ai nostri giorni quella pace che Cristo ha meritato per tutti con la sua morte in croce, quando ha fatto dei due, un solo popolo.

Ma soprattutto vogliamo riflettere sul dono della pace, sempre da invocare e da costruire. Abbiamo sentito nella prima lettura: ‘Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace. Così imporranno il mio nome sugli Israeliti e io li benedirò’. In questo modo si mette insieme il dono della pace e la benedizione che viene dall’invocare il nome del Signore.

Ha scritto il Papa nel messaggio per la Giornata della pace di quest’anno: ‘La pace è anzitutto dono di Dio. Noi cristiani crediamo che Cristo è la nostra vera pace: in Lui, nella sua Croce, Dio ha riconciliato a Sé il mondo e ha distrutto le barriere che ci separavano gli uni dagli altri (cfr Ef 2,14-18); in Lui c’è un’unica famiglia riconciliata nell’amore’ (n.5).

Qui si vede l’importanza di quello che ha fatto la Madre di Dio: le radici della pace sono nel fatto che noi siamo tutti fratelli, figli tutti dell’unico Padre che è nei cieli: ‘Dio mandò il suo Figlio, nato da donna’ perché ricevessimo l’adozione a figli’. Di qui si vede come si ingannino coloro che ritengono che si debba eliminare la religione e costruire la pace sul nulla.

La Maternità divina di Maria quindi è la premessa necessaria per riconoscere il fondamento della nostra fraternità, su cui costruire la pace nel mondo, nella società, nelle famiglie e nel cuore degli uomini.

Il contributo del Papa alla riflessione sul cammino di costruzione della pace è l’educazione dei giovani alla giustizia e alla pace, non perché essi ne siano particolarmente responsabili, ma per costruire un futuro dove la pace sia frutto della giustizia.

Anzitutto credo che sia importante ascoltare i giovani nelle loro attese di giustizia e di pace. Essi potranno avere anche delle visioni utopistiche, ma certamente sono autentiche e sincere. Del resto non si può impedire ai giovani di sognare, soprattutto se questo dovesse condurli ad un impegno personale.

Ascoltare i giovani nella loro sensibilità vuol dire creare un rapporto per un processo educativo efficace.

Dice il Papa nel suo messaggio: ‘Educare ‘ dal latino educere ‘ significa condurre fuori da se stessi per introdurre alla realtà, verso una pienezza che fa crescere la persona. Tale processo si nutre dell’incontro di due libertà, quella dell’adulto e quella del giovane. Esso richiede la responsabilità del discepolo, che deve essere aperto a lasciarsi guidare alla conoscenza della realtà, e quella dell’educatore, che deve essere disposto a donare se stesso’ (n. 2).

Nel rapporto educativo sarà pure importante saper leggere nei giovani i desideri veri, a volte nascosti nelle manifestazioni più strane, che chiedono di essere decodificate. A volte certe reazioni sono legate più all’età che alla realtà e bisogna capire che cosa vogliono dire. E l’interpretazione è un compito degli adulti.

Il messaggio del Papa traccia un percorso che tiene conto dei valori fondamentali per la costruzione della pace, che richiede l’impegno di tutti, a cominciare dalla famiglia, dalla scuola e dalla Chiesa fino a tutte le componenti della società. Educare alla giustizia e alla pace infatti comporta la crescita di valori che sono fondamentali per la formazione della personalità umana in ogni ambito della vita. Verità, libertà, amore e giustizia sono le coordinate indispensabili per chiunque voglia vivere in pienezza.

Educare i giovani a ricercare la pace nella costruzione della giustizia, presenta il vantaggio della concretezza e della fattibilità. La pace infatti è frutto della giustizia, e per la giustizia ognuno può fare qualche cosa. ‘Invito in particolare i giovani, scrive il Papa, che hanno sempre viva la tensione verso gli ideali, ad avere la pazienza e la tenacia di ricercare la giustizia e la pace, di coltivare il gusto per ciò che è giusto e vero, anche quando ciò può comportare sacrificio e andare controcorrente’ (n. 5).

Nel compiere questo esercizio esigente e impegnativo, si scopre anche la necessità di integrare la giustizia con la carità e la solidarietà

‘Nel nostro mondo, leggiamo nel messaggio, in cui il valore della persona, della sua dignità e dei suoi diritti, al di là delle proclamazioni di intenti, è seriamente minacciato dalla diffusa tendenza a ricorrere esclusivamente ai criteri dell’utilità, del profitto e dell’avere, è importante non separare il concetto di giustizia dalle sue radici trascendenti. La giustizia, infatti, non è una semplice convenzione umana, poiché ciò che è giusto non è originariamente determinato dalla legge positiva, ma dall’identità profonda dell’essere umano’ (n. 4).

« La ‘città dell’uomo’ non è promossa solo da rapporti di diritti e di doveri, ma ancor più e ancor prima da relazioni di gratuità, di misericordia e di comunione. La carità manifesta sempre anche nelle relazioni umane l’amore di Dio, essa dà valore teologale e salvifico a ogni impegno di giustizia nel mondo. « Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati » (Mt 5,6). Saranno saziati perché hanno fame e sete di relazioni rette con Dio, con se stessi, con i loro fratelli e sorelle, e con l’intero creato’ (n.4).

Cari giovani, conclude il Papa, voi siete un dono prezioso per la società. Non lasciatevi prendere dallo scoraggiamento ‘. Non abbiate paura di impegnarvi’Vivete con fiducia la vostra giovinezza’ Vivete intensamente questa stagione della vita così ricca e piena di entusiasmo. Siate coscienti di essere voi stessi di esempio e di stimolo per gli adulti’Siate consapevoli delle vostre potenzialità e non chiudetevi mai in voi stessi, ma sappiate lavorare per un futuro più luminoso per tutti. Non siete mai soli. La Chiesa ha fiducia in voi, vi segue, vi incoraggia e desidera offrirvi quanto ha di più prezioso: la possibilità di alzare gli occhi a Dio, di incontrare Gesù Cristo, Colui che è la giustizia e la pace’ (n.6).

E nel rivolgere lo sguardo al Principe della pace, lasciamoci guidare dalla Madre di Dio, la Regina della pace, che per prima ha creduto in suo figlio, lo ha seguito e ascoltato e ha meditato nel suo cuore le sue parole.

OMELIA della MESSA di NATALE 2011
Faenza, Basilica Cattedrale - 25 dicembre 2011
25-12-2011

Celebrare il Natale in tempo di emergenza non significa evadere dalla realtà, ma affrontarla con un realismo più vero. Non vogliamo infatti sottrarci dal tenere presenti le difficoltà delle famiglie soprattutto dove è venuto a mancare il lavoro, è diminuita la disponibilità finanziaria per i pensionati, per i giovani si allontana la prospettiva di una occupazione, e le categorie svantaggiate sono private di alcuni contributi vitali.

Non vogliamo nemmeno tacere di fronte alle potenti lobby finanziarie responsabili della crisi mondiale e ora incaricate di rimediarvi, che accusando in blocco la Chiesa ritengono di avere trovato il capro espiatorio e pensano in questo modo di averla delegittimata dall’offrire il suo messaggio di speranza.

Il Natale invece diventa l’occasione opportuna per riflettere seriamente sui fatti, cercando di leggerli  in profondità.

Ha detto Isaia nella prima lettura della Messa di mezzanotte: ‘Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse’.

Non si può certo negare che oggi ci troviamo nella confusione e nel buio e che abbiamo bisogno di luce, per non smarrirci nelle scelte importanti della vita. Questo significa ripartire dal Natale come un punto fermo, un’ancora di salvezza che ci viene offerta dall’alto.

Anzitutto vogliamo prendere atto di ciò che è avvenuto oltre duemila anni fa. Dio si è fatto uomo non per risolvere al nostro posto i nostri problemi, ma per darci alcune coordinate con le quali affrontare con l’uso della retta ragione nella nostra libera responsabilità, la vita delle persone, delle famiglie e della società.

Purtroppo non abbiamo sempre fatto tesoro della luce e degli insegnamenti di Cristo e ci siamo lasciati attrarre da quanti ci promettevano di raggiungere la felicità nel benessere, nei consumi e nella ricchezza, provocando grandi differenze tra i paesi del mondo.

Il Signore Gesù invece, dice S. Paolo, ‘ci insegna a rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà, nell’attesa della beata speranza’. Questo non è il discorso moralista che volentieri qualcuno vorrebbe attribuire alla Chiesa, ma è un diverso modo di impostare i rapporti tra gli uomini, nella solidarietà, nella condivisione, nella comune partecipazione alle risorse della terra e al loro uso equilibrato.

Questo può sembrare un lavoro lungo e difficile soprattutto perché chiede ai popoli ricchi di fare qualche sacrificio; ma se lo si guarda dalla parte della giustizia da costruire nel mondo, si può vedere come questo sia il primo passo per mettere le fondamenta ad una convivenza pacifica.

Il Salvatore del mondo non è nato per insegnarci una devozione o una pia pratica di pietà, ma per farci scoprire la nostra natura di figli di Dio, cioè di fratelli, destinati alla vita eterna. Ed è in questo mondo che iniziamo a vivere la vita divina e a porre i germi del regno di Dio.

Questo insegnamento disturba certamente qualcuno, in particolare coloro che hanno interesse a farci credere che la felicità sta nel possedere le cose che essi hanno da vendere. Può essere che alcune di queste cose siano utili, ma il messaggio che il Natale oggi vuole darci è che si può vivere anche con meno, perché tutti abbiano il necessario.  

Il Natale ci fa pure capire che il problema economico, pur importante, non è l’unico e nemmeno il primo. La famiglia di Gesù in questo evento appare nella sua realtà più vera: pur in una grande povertà c’è l’amore, la pace e la gioia.

Del resto è proprio il mistero di Dio che ha tanto amato il mondo da donare il suo Figlio unigenito, a rivelarci la vera grandezza dell’uomo, che consiste nell’uscire da se stesso, dal proprio individualismo ed egoismo per costruire la vita sull’amore, dall’amore del prossimo all’amore di Dio.  ‘L’uomo non può ritrovarsi pienamente se non attraverso un dono sincero di sé’ (G.S. 24). È questa scoperta che fa saltare tutti gli sfruttamenti dell’uomo sull’uomo, le oppressioni dei più deboli, le ingiustizie che minacciano la pace. Non saranno certo le rivoluzioni a mettere a posto il mondo, ma la forza dell’amore.

E perché questo non sembri un dovere da sostenere solo con la forza della volontà, il Figlio di Dio facendosi uomo, in certo qual modo si è unito ad ogni uomo. E a quanti lo hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio, e nello Spirito Santo di chiamarlo Padre.

Il Natale infatti è anche la conferma che siamo amati da Dio, voluti nella nostra realtà umana, che non deve essere poi così disprezzabile se Dio stesso si è fatto uomo. A volte può essere difficile capirlo, ma si può accettare sulla fiducia, per i tanti segni del suo amore che Dio ci ha dato.

Se i giorni di Natale saranno riempiti di queste verità, ci saranno di aiuto anche nella fatica delle varie emergenze per la salute, per un lutto, per la crisi e per i nostri problemi. Nel Natale il Signore non nasconde le difficoltà, ma le affronta e dà loro un senso, quello stesso che hanno avuto per lui quando ha voluto mostrarci il suo amore facendosi uomo.

OMELIA per l’ORDINAZIONE PRESBITERALE di DON FRANCESCO CAVINA
Faenza, Cattedrale - 1 ottobre 2011
01-10-2011

‘Voglio cantare per il mio diletto il mio cantico d’amore per la sua vigna’ La vigna del Signore degli eserciti è la casa d’Israele’.

Anche noi questa sera eleviamo un cantico d’amore per la vigna del Signore, cioè per la nostra Chiesa diocesana, che è in festa per l’ordinazione presbiterale di don Francesco. È un canto di amore e di gratitudine per quello che il Signore ha fatto e continua a fare, nella sua bontà, per la nostra Chiesa.

In particolare vogliamo ricordare i presbiteri santi e colti che abbiamo avuto, e che hanno reso celebre il nostro clero, che ha messo a disposizione della Chiesa universale insigni personalità e ha arricchito l’albo dei Servi di Dio. La Parola di Dio di questa domenica induce a chiederci che cosa ne abbiamo fatto dei profeti che ci sono stati inviati nel tempo passato e se abbiamo accolto il loro insegnamento o li abbiamo ignorati.

Vignaioli infedeli possiamo essere anche noi oggi, quando in vari modi non ascoltiamo chi ci parla in nome di Dio nel magistero della Chiesa, nelle figure dei santi o negli eventi della storia. In tutti i tempi Dio si manifesta, e tutti siamo invitati ad accogliere i segni del suo amore per noi.

Il padrone della vigna che insiste nell’inviare nuovi servi, è segno della fedeltà di Dio al suo progetto di salvezza, che arriva fino a mandare il suo Figlio: ‘Dio ha tanto amato il mondo da mandare il suo unico Figlio, perché chi crede in lui non perisca, ma abbia la vita eterna’ (Gv 3,16). Dio non si arrende e il suo Figlio, pietra scartata dai costruttori, è diventata la pietra angolare sulla quale tutta la costruzione dell’opera di salvezza trova appoggio.

Di fronte all’infedeltà del suo popolo, Dio ha minacciato interventi punitivi per ricondurlo nell’ambito dell’alleanza. L’abolizione dei recinti e delle difese della vigna e la minaccia di passare la vigna ad altri lavoratori dovevano risvegliare il ricordo di quanto Dio aveva fatto e indurre al cambiamento di vita. Ma anche di fronte alla durezza del cuore Dio ha realizzato il suo progetto di misericordia.

Dio non ha attuato ciò che aveva minacciato di fare; proprio per questo il suo perdono è un motivo in più per vivere da servi fedeli.

Il versetto del Vangelo ci ha ricordato le parole di Gesù ai suoi discepoli: ‘Io ho scelto voi, perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga’ (Gv 15,16).

Caro Francesco anche tu avrai avuto l’impressione di essere dentro ad un grande mistero di amore, dove tutto coopera al bene di coloro che Dio ama. Anche tu sei stato amato da Dio prima della creazione del mondo, chiamato alla vita e alla fede nella tua famiglia e nella tua parrocchia. Poi hai capito che anche tu potevi fare qualcosa per il Signore, e hai cominciato ad aiutare i piccoli a crescere attorno alla Chiesa e a servirlo all’altare. Quando hai capito che potevi fare molto di più, ti sei reso disponibile a fare un cammino di verifica e di preparazione ad un ministero al quale oggi la Chiesa ti chiama.

Con l’Ordinazione presbiterale e il dono dello Spirito santo tu entri a far parte del nostro presbiterio, per diventare collaboratore del vescovo a servizio della nostra Chiesa, per diffondere il Vangelo e celebrare l’Eucaristia.

Nella realtà della Chiesa locale troverai la bellezza della tradizione diocesana, alla quale potrai dare il tuo contributo di giovanile generosità, secondo quanto la Chiesa  ci sta chiedendo in questo tempo.

Ci ha detto il Concilio, nel Decreto sulla vita e il ministero dei presbiteri: ‘Di ben poca utilità saranno le cerimonie più belle o le associazioni più fiorenti, se non sono volte ad educare gli uomini alla maturità cristiana’ E anche se sono tenuti a servire tutti, ai presbiteri sono affidati in modo speciale i poveri e i più deboli’ Anche i giovani vanno seguiti con cura particolare e così pure i coniugi e i genitori’ Ma la funzione di pastore non si limita alla cura dei singoli fedeli: essa va estesa alla formazione dell’autentica comunità cristiana. E per fomentare opportunamente lo spirito comunitario, bisogna che esso miri non solo alla Chiesa locale, ma anche alla Chiesa universale’ (P.O. n.6).

Queste parole traducono con molta efficacia gli insegnamenti e gli esempi degli apostoli, come ci ha ricordato anche San Paolo: ‘Le cose che avete imparato, ricevuto, ascoltato e veduto in me, mettetele in pratica. E il Dio della pace sarà con voi’.

Forse qualcuno potrà chiedersi se è ancora attuale il messaggio del Vangelo e se vale ancora la pena spendere la vita per fare il prete. La storia ormai si sta incaricando di farci vedere la delusione di chi aveva riposto la sua speranza nei beni di questo mondo o nell’ebbrezza del piacere e del potere. Non ci vuole molto per vedere che ciò che dà una gioia vera è fare del bene a chi ha bisogno. E ciò che mostra l’utilità della vita è riuscire a far toccare con mano l’amore che Dio ha per tutti e per ciascuno, diventando strumento dell’amore di Cristo. Ogni cristiano è chiamato a questo, ma soprattutto chi ha lasciato padre, madre, figli e campi si troverà a contatto con chi sta cercando il volto di Dio.

Anche quando non lo dice o lo nega, in fondo l’uomo sta cercando Dio, il suo amore, la sua gioia, e se incontra qualcuno che lo può aiutare cercando insieme con lui, si potrà ravvivare la speranza.

Caro Francesco fare il prete oggi può essere difficile, soprattutto quando ti accorgi che nessuno sembra apprezzare ciò che tu porti in dono; ma può essere anche molto bello quando puoi offrire la parola che consola e dona speranza, quando puoi liberare dal peso del peccato, quando puoi accogliere e presentare a Dio nella Messa la fatica della gente e distribuire il Pane della vita.

Ringraziamo il Signore perché dietro di te altri giovani stanno cercando di vedere se il Signore li chiama, mettendo la nostra Chiesa in condizione di poter guardare con più serenità al suo futuro. Non venga mai meno la nostra preghiera per coloro che il Signore chiama e per coloro che hanno risposto, perché siano trovati fedeli, per il bene loro, della Chiesa e del mondo.

La Vergine Maria, madre di tutte le grazie, ti accompagni sempre e ti mantenga nell’amore del suo Figlio Gesù.

OMELIA per l’ORDINAZIONE DIACONALE di GIULIO DONATI
Faenza, Basilica Cattedrale - 4 settembre 2011
04-09-2011

Siamo molto lieti che nella nostra cattedrale, in attesa di svolgere tra un mese una Ordinazione presbiterale, questa sera possiamo compiere l’Ordinazione al diaconato permanente dell’accolito Giulio Donati, della comunità parrocchiale di Russi.

Il cammino del diaconato permanente nella nostra Chiesa sta avanzando lentamente, ma in modo significativo; non si tratta di una realtà già diffusa in tutta la Diocesi, ma in alcune parrocchie viene accolta come un dono per la comunità, al servizio della liturgia e della carità. Non è giusto considerare la presenza del diacono come una supplenza del presbitero, perché si tratta di un ministero con una propria grazia sacramentale, che arricchisce la presenza della Chiesa con il servizio nella vita del popolo di Dio e nella testimonianza missionaria.

Il diaconato inoltre non è un abbellimento della comunità cristiana, o una scelta pastorale legata al gusto personale di qualcuno. Il diaconato che nasce dal sacramento dell’Ordine fa parte della costituzione gerarchica della Chiesa. Per cui è corretto dire che dove non c’è il diacono, manca qualcosa, anche se nell’ambito del sacramento il grado superiore in qualche modo contiene anche il grado inferiore.

Ringraziamo quindi il Signore per il cammino fatto da Giulio Donati nella sua famiglia, nella sua comunità parrocchiale e nella preparazione di questi anni, che lo ha portato all’ordinazione diaconale di questa sera, a servizio della Chiesa di Faenza-Modigliana. La sua Ordinazione mantiene viva l’attenzione della nostra Chiesa alla diffusione del Diaconato, che continuiamo a chiedere come una grazia,  insieme al dono del presbiterato.

 

Le letture della domenica 23.ma del tempo ordinario ci aiutano a mettere in rilievo alcuni aspetti della vita e del ministero del diacono, con i quali intendiamo arricchire la nostra celebrazione.

Anzitutto le parole del Vangelo ci illuminano sulla vita della comunità ecclesiale, nella quale si possono verificare momenti difficili, che devono comunque essere ricondotti all’armonia e alla comunione, e momenti di particolare efficacia nel riprodurre la presenza misteriosa di Cristo dove sono due o tre riuniti nel suo nome.

Non ci fermeremo a considerare il meccanismo previsto per la correzione fraterna, mentre pare giusto rilevare come si tratti di una comunità ormai strutturata, dove l’assemblea ha una sua dignità, dove si può decidere in un senso o nell’altro, dove ci si riunisce per la preghiera nel nome del Signore. Tutto questo non può accadere senza il ministero riconosciuto di qualcuno che guidi e orienti. E siccome il diacono è colui che nella celebrazione liturgica invita a scambiarsi il segno della pace, può non essere lontano dalla verità pensare che questo compito di ricucire gli strappi e ricomporre la pace nella comunità possa essere frutto del suo ministero.

Essere uomo di pace non significa nascondere il male facendo conto di non vederlo, ma dovendolo denunciare si tratta di distinguere il peccato dal peccatore. ‘Fratelli, dice S. Paolo ai Galati, qualora uno venga sorpreso in qualche colpa, voi che avete lo Spirito correggetelo con dolcezza’ (6,1); e agli Efesini: rivolge l’invito ad ‘agire secondo verità nella carità’ (4,15). Si può dire che il diacono, chiamato a proclamare il Vangelo nella celebrazione eucaristica, e a servire Cristo nei piccoli e nei poveri ha proprio la connotazione di fare la verità nella carità.

Nella seconda lettura della Messa abbiamo sentito con quale forza S. Paolo abbia saputo condensare tutta la legge nell’unico precetto dell’amore del prossimo. E aggiungiamo con S. Giovanni: ‘Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma coi fatti e nella verità’ (1Gv 3,18). Il realismo dell’amore cristiano non dà spazio a confusione, e per questo la Chiesa riconosce un ministero ordinato che primariamente abbia questo compito nelle comunità, affinché non venga meno ciò che deve essere al di sopra di tutto.

Fare la verità nella carità, significa ricordarsi tuttavia che l’uomo ha bisogno della verità come dono di amore. Qualche tempo fa i nostri Vescovi ci hanno ricordato che ‘all’uomo non basta essere amato, né amare. Ha bisogno di sapere e di capire: l’uomo ha bisogno di verità’ (Ev. e test. carità, 1990 n.10).

 

Giulio Donati è impegnato nella nostra Chiesa nell’ambito dell’informazione. La sua situazione personale ricorda che nella Chiesa il servizio della verità è uno dei mezzi di salvezza, che nasce dal battesimo come compito profetico. Questo il nostro Giulio lo ha vissuto fino ad oggi. Cosa cambia ora a questo riguardo?

Credo di poter dire che a questo riguardo d’ora in avanti cambia il coinvolgimento della Chiesa, in quanto sei un ministro ordinato; ma cambia anche la grazia del sacramento nel proclamare la Parola di Dio; cambia il modo di porsi all’interno della comunità per ascoltare la voce dei piccoli e dei poveri, e cambia il dono della comunicazione all’interno della Chiesa di quanto ascoltato nella comunità degli uomini.

Per tutto questo, caro Giulio, la nostra Chiesa ti è grata per il servizio che hai svolto con generosa professionalità, e d’ora in avanti sarà lieta di seguirti con la preghiera perché tu sappia sempre offrire la carità della verità.

In un mondo dove la confusione sembra farla da padrona, e in una comunità cristiana dove si insegue più la novità che la verità, l’umile servizio alla verità attraverso l’informazione può diventare un dono prezioso. Un grande bisognoso di oggi è colui che è povero di verità, a cominciare dai giovani per finire alle famiglie e a chi si impegna nella comunità civile.

Affidiamo alla protezione della Vergine Maria, Madre di tutte le Grazie il tuo ministero e chiediamo per la sua intercessione una particolare benedizione per te, per la tua sposa e i tuoi familiari, per la tua comunità parrocchiale e la nostra Chiesa, perché sappiamo vivere nel nostro tempo attenti ai doni che il Signore continua a fare, e sappiamo metterli a frutto per il bene nostro, della Chiesa e del mondo.