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OMELIA per la solennità del CORPUS DOMINI 2013
Faenza - S.Domenico, 30 maggio 2013
30-05-2013

‘Fratelli, io ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso’. La solennità del Corpo e del Sangue di Cristo è una perfetta esperienza di Chiesa, nella fedeltà a quanto Cristo ha consegnato ai suoi apostoli perché fosse perpetuato nei secoli in sua memoria. Anche questo fa parte della realtà dell’Eucaristia, mistero dell’amore di Cristo e della sua presenza, cuore e fonte della vita della comunità dei fedeli sino alla fine del mondo. La Chiesa è comunione con tutti i credenti in Cristo ora nel mondo, ed è anche comunione con tutti coloro che da Cristo fino ad oggi hanno creduto in Lui.

Anche noi questa sera stiamo celebrando quello che abbiamo ricevuto dal Signore attraverso la consegna da Lui fatta agli apostoli, perché lo celebrassimo in sua memoria: memoria del sacrificio al Padre per la nuova ed eterna alleanza.

Mediante l’Eucaristia per noi è possibile entrare in comunione con il Padre celeste, attraverso il contatto che stabiliamo con la realtà misteriosa di Cristo nel sacramento. Per noi poteva essere già molto sapere che Dio ci amava, sapere che il suo Figlio era morto e risorto per noi perché potessimo vivere da figli di Dio; ma per Lui tutto questo non è bastato: ha voluto servirsi del nostro modo di conoscere attraverso i sensi, affinché potessimo vedere e gustare quanto è buono il Signore. Con gli occhi ci è dato di vedere il segno del Pane e del Vino consacrati, che sono il Corpo e il Sangue di Cristo, e con il gusto ci è dato di assaporare quella presenza dentro noi stessi. È vero che non vediamo ancora Gesù come lo vedremo un giorno quando saremo nella gloria del suo Regno, ma sappiamo che nel Pane e nel Vino dell’Eucaristia la sua presenza è reale e la sua vicinanza con noi è la più stretta possibile su questa terra.

La celebrazione della solennità del Corpus Domini ci invita anche a mostrare pubblicamente la nostra fede nel Cristo risorto e vivo, con il segno della processione eucaristica lungo le vie della nostra città. È un modo concreto per dire a noi, più che alla gente di fuori, che la Messa ci è data per uscire rinnovati per rinnovare il mondo. È un gesto che contiene una realtà più ampia di quella che si vede, in quanto ci ricorda che nell’Eucaristia trova il fondamento tutta la vita della Chiesa.

Per riflettere un momento sull’ampiezza dell’efficacia della Messa, mi piace ricordare alcune delle parole che cinquant’anni fa il Card. Giacomo Lercaro pronunciò nell’omelia della Messa per la mia Ordinazione presbiterale nella Metropolitana di Bologna.

‘Come dovete essere riconoscenti al Signore, figlioli miei, che vi ha posto nelle mani questo tesoro! E non per voi soli, che pur potrete goderne senza misura e non ne godrete mai abbastanza e non darete mai a fondo a questo tesoro!

Ma ve l’ha posto nelle mani anche per i vostri fratelli, per la Chiesa santa di Dio, per quella del Paradiso, perché sia glorificata, per Lui stesso, per Dio stesso, perché sia degnamente glorificato; per la Chiesa dei nostri morti, vivi in Dio, perché raggiungano la Casa del Padre; per la Chiesa che deve dilatarsi perché troppe, troppe anime ancora non hanno udito la Parola dell’Evangelo che è la sola parola di vita eterna, che è la sola parola che salva; per la Chiesa dei poveri che hanno bisogno di questa ricchezza divina, di questo pane che sazia per la vita eterna; per le anime che vi saranno affidate; per questo popolo di Dio che è anche popolo nostro, che ci è più vicino, al quale siamo dati immediatamente per la salvezza sua’.

Nel Vangelo abbiamo sentito che la folla andava da Gesù per essere guarita, e Gesù risponde dando un pane che sazia una fame più profonda di quella del pane terreno, alla quale pure egli intende rimediare. È evidente infatti il significato eucaristico del gesto compiuto: ‘Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai suoi discepoli perché li distribuissero alla folla’.

Quella volontà di Cristo raggiunge pure noi sia nel donarci il Pane eucaristico, sia nell’invito: ‘Voi stessi date loro da mangiare’. Un invito che riguarda sia il dovere di rimediare alla fame causata dalla carestia e dalla cattiva distribuzione delle risorse, sia alla fame di Dio, esigenza a volte inespressa, che tuttavia non deve mai restare delusa.

Anche in questa celebrazione verranno istituiti alcuni Ministri straordinari per la distribuzione della Comunione, i quali, oltre ad essere di aiuto nelle proprie comunità in particolare per portare l’Eucaristia ai fratelli ammalati, sapranno testimoniare la carità della comunità verso i fratelli sofferenti, come frutto vivo dell’Eucaristia celebrata.

L’Eucaristia dunque è davvero la carne di Cristo per la vita del mondo, messa nelle nostre mani. Preghiamo anche noi, in questa chiesa dedicata a S. Domenico, con le parole di S. Tommaso: ‘Tu che tutto sai e puoi, che ci nutri sulla terra, conduci i tuoi fratelli alla tavola del Cielo nella gioia dei tuoi santi. Amen’.

OMELIA per la S.MESSA in occasione del 50° di ORDINAZIONE SACERDOTALE
Basilica Cattedrale di Faenza, 11 maggio 2013
11-05-2013

Ho sempre ritenuto che fosse giusto per i presbiteri accettare la festa per le varie ricorrenze giubilari dell’Ordinazione presbiterale, perché è una occasione propizia per ringraziare il Signore e per consentire alla gente di considerare la preziosità del ministero ordinato. Non c’è infatti nessun merito nell’arrivare a questi traguardi, basta aspettare un po’. È invece importante prendere atto del dono grande del sacerdozio ministeriale.

Mi trovo ora io in questa situazione ed è molto bello che il ringraziamento per i 50 anni  dalla ordinazione presbiterale avvenga nella Festa della Madonna delle Grazie, nostra patrona. Maria infatti non solo ci ottiene le grazie dal suo Figlio, ma ci aiuta anche a ringraziare.

‘L’anima mia magnifica il Signore’: tutte le sere la liturgia del vespro ci suggerisce queste parole, che vengono proclamate a nome dell’intera Chiesa per ringraziare Dio dei doni di natura e di grazia concessi nella giornata a noi e a tutti. Vi sono delle occasioni nelle quali le nostre povere parole sono inadeguate per  rivolgerci a Dio; possono venirci in soccorso allora le parole usate da Maria, quando volle riconoscere il dono della sua maternità divina. In fondo anche il presbitero deve ringraziare Dio perché gli è stato concesso di portare Cristo agli uomini con il Vangelo e i sacramenti, continuando nel tempo il mistero dell’Incarnazione.

S. Ambrogio scrive: ‘In ognuno viva lo spirito di Maria per glorificare il Signore, il cuore di Maria per gioire in Dio’ (Esp. Vang. S. Luca). Le due cose sono collegate, perché non c’è gioia più grande di quella di accorgersi di ciò che Dio ha fatto in noi. E in 50 anni di ministero motivi per stupirsi ce ne sono tanti, a cominciare dalla miseria personale di cui Dio ha voluto servirsi.

Se la Vergine stessa, la piena di grazia, ha riconosciuto che ‘Dio ha guardato l’umiltà della sua serva’, cosa deve dire ciascuno di noi di fronte alla misericordia di Dio, che oltre a darci la vita, a renderci suoi figli nella Chiesa, ci sceglie per un ministero di fronte al quale saremo sempre inadeguati?

Oggi per ringraziare il Signore posso avere l’aiuto della Beata Vergine delle Grazie e della nostra Chiesa diocesana, rappresentata dai presbiteri, dalle persone consacrate e dai fedeli laici qui convenuti per l’occasione: a tutti esprimo la mia gratitudine più sincera, come pure ringrazio i parenti e gli amici qui presenti.

Se penso dove Dio ha guardato per scegliere anche me, devo ricordare anzitutto con gratitudine la mia famiglia nella quale ho ricevuto la prima formazione cristiana; poi penso alla parrocchia di Ganzanigo nella quale sono cresciuto fino all’ingresso in seminario, con il parroco don Vittore Lolli, originario di Fusignano.

Ho pensato molto in questi giorni al percorso che la Chiesa universale ha fatto in questi 50 anni; al cammino delle Chiese particolari di Bologna e di Faenza-Modigliana; ai vari ministeri che ho svolto in questo tempo, ma ritengo che sia bene risparmiarvi riferimenti e ricordi personali.

La mia ordinazione presbiterale avvenne il 25 luglio del 1963 per le mani del Card. Giacomo Lercaro nella Cattedrale di S. Pietro a Bologna. Un mese prima era stato eletto Papa Paolo VI, dopo la santa morte di Papa Giovanni XXIII. Eravamo nel pieno della celebrazione del Concilio Vaticano II, con il grande fermento di novità e di speranza che si percepiva ovunque.  Dopo il breve sorriso di Giovanni Paolo I, c’è stato il lungo pontificato di Giovanni Paolo II e il suo influsso nella storia del mondo; poi il tormentato pontificato di Benedetto XVI e in questi giorni la novità di Papa Francesco, che ha riacceso in tutti una grande speranza.

Lasciatemi dire che essere figli di una Chiesa che sulla scena della storia può presentare figure di pontefici come quelli ricordati dà una grande forza, perché c’è il segno palese dell’opera di Dio. E se a volte dico che dopo tutto restiamo i migliori, non è per dimenticare le nostre miserie, ma per dire che nonostante queste Dio sa fare grandi cose. E il suo nome è santo.

Ringrazio quindi il Signore perché mi ha chiamato ad essere prete, mi ha scelto per fare il vescovo e mi ha fatto vivere in questo tempo storico bello, anche se difficile.

Nella festa liturgica della Beata Vergine delle grazie chiediamo la protezione della Vergine Maria, che il Concilio ci ha insegnato a vedere nel mistero di Cristo e della Chiesa: Maria è Madre della Chiesa perché Madre di Cristo; per ciascuno di noi quindi  Ella è Madre nell’ordine della grazia.

Nella preghiera della Messa abbiamo ricordato che Cristo ‘ha associato Maria al mistero dell’umana redenzione’ e questo è avvenuto non solo nel meraviglioso disegno del Padre, ma anche nella realtà dei singoli privilegi della Vergine.

Fin dalla sua Immacolata Concezione, Maria è stata raggiunta dalla redenzione di Cristo; nel concepire il suo Figlio Gesù e nel darlo alla luce per opera dello Spirito Santo, la verginità di Maria è stata consacrata per sempre; la sua assunzione nella gloria è stata una singolare partecipazione alla risurrezione del suo Figlio.

Questi privilegi non hanno allontanato Maria dalla sua mediazione materna verso di noi, ma l’hanno resa ancora più efficace. Anche oggi, come a Cana, Maria è attenta alle necessità dei suoi figli e ‘si pone tra suo Figlio e gli uomini nella realtà delle loro privazioni, indigenze e sofferenze’ (R.M., 21).

Maria ha avanzato nel cammino della fede e ha perseverato nella sua unione col Figlio fino alla croce, accanto alla quale sta in piedi, unendosi con piena consapevolezza al sacrificio di Lui.

Nel cantico del Magnificat Maria ha iniziato la preghiera che, continuata nel Cenacolo con la Chiesa nascente, verrà poi da questa perpetuata nei secoli.

La Madre di Cristo, sommo ed eterno sacerdote, è la madre anche dei presbiteri che sono ‘nella Chiesa e per la Chiesa, una ripresentazione sacramentale di Gesù Cristo Capo e Pastore’. 

Ringraziamo la bontà del Padre per il dono del ministero presbiterale; facciamo tesoro della grazia dei sacramenti offerti a noi attraverso il servizio dei presbiteri; preghiamo perché non manchino mai coloro che annunciano il Vangelo e offrono l’Eucaristia; chiediamo per i nostri preti la grazia di servire sempre la nostra santa Chiesa nella gioia.

OMELIA per la DONAZIONE DEI CERI 2013
Basilica Cattedrale di Faenza, 11 maggio 2013
11-05-2013

La celebrazione di questa S. Messa si pone come cerniera tra la festa liturgica della B.V. delle Grazie di questa mattina e le celebrazio-ni di domani, solennità dell’ascensione del Signore, ma che popolarmente è vissuta come la festa della Madonna. In questa duplice prospettiva dunque viviamo questa Eucaristia.

Il mistero dell’ascensione del Signore è ancora nel cuore delle celebrazioni pasquali, appartiene cioè al mistero della gloria che Cristo ha meritato dopo la sua passione e morte, secondo quanto afferma S. Paolo nella lettera ai Filippesi: ‘Cristo non ritenne un privilegio l’essere come Dio,’ ma umiliò se stesso… fino alla morte di croce. Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome, perché’ ogni lingua proclami : Gesù Cristo è Signore, a gloria di Dio Padre’.

La glorificazione di  Cristo presso il Padre non riguarda solo Lui, ma interessa anche tutti noi, perché ci ha preceduto in Paradiso e ha detto: ‘Vado a prepararvi un posto’ (Gv 14,2). Questo ci fa capire la dignità che noi abbiamo davanti a Dio come figli suoi e come sia infelice invece considerare la vita racchiusa in un breve spazio di tempo senza prospettiva dell’eternità

Abbiamo sentito nella prima lettura che ci ha raccontato come gli apostoli hanno vissuto il momento dell’ascensione del Signore, che Gesù ha detto: ‘Riceverete la forza dello Spirito Santo che scenderà su di voi e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra’. L’impegno della missione quindi più che una fatica diventa il bisogno di far conoscere ciò che noi abbiamo saputo, anzitutto la nostra realtà di figli di Dio e la nostra destinazione eterna: se noi siamo destinati a questo, dobbiamo vivere di conseguenza. 

Capiamo subito allora come siano in contrasto con questo progetto divino tutte le cattiverie e i soprusi frutto della malvagità umana, che riempiono l’universo, difronte ai quali occorre proprio la forza dello Spirito Santo sia per vincere il male nel cuore dell’uomo, sia per unire gli uomini nella lotta contro le ingiustizie, le violenze, la fame e tutto ciò che degrada la dignità umana.  Con quale coraggio diversamente ci presenteremo davanti a Dio, quando ci chiederà conto di che cosa abbiamo fatto di nostro fratello? Cristo è morto ed è risorto per sradicare il peccato dal cuore dell’uomo e aiutarci a vivere da fratelli.

Attraverso l’Eucaristia noi veniamo in contatto in modo misterioso, ma reale, con il Cristo glorioso, al quale affidiamo le nostre speranze e le nostre difficoltà. Tutto questo supera la nostra ragione, ma non è in contrasto con essa, dal momento che Dio stesso ha voluto rimanere con noi in questo modo. L’unico sacrificio di Cristo, offerto una volta per sempre, viene da noi incontrato nell’offerta del suo Corpo e del suo Sangue, alla quale uniamo  l’offerta della nostra vita, delle gioie e dei dolori di ogni giorno. Sapere che nulla va perduto di ciò che accettiamo dalla volontà di Dio e offriamo a Lui, ci dona la forza di continuare a lottare contro il male in noi e attorno a noi; non ci riusciremo mai in pienezza, ma almeno facciamo capire da che parte stiamo, che cosa ci sta a cuore e per che cosa doniamo la nostra vita.

In questa impresa non siamo soli: oltre alla forza dello Spirito Santo abbiamo l’esempio e la protezione della Vergine Maria. La sua mediazione materna è da noi sentita più vicina alle nostre necessità e ci consente di accostarci alla grazia di Dio più facilmente.

Tra i vari aspetti della devozione alla Madonna, quello che è prevalso nei secoli nella nostra Città e Diocesi è la protezione dal male; le frecce spezzate in mano alla Vergine stanno ad indicare l’intervento a proteggere i suoi figli dalle insidie del diavolo, dalle tentazioni al peccato e dalle sciagure di ogni genere. La Chiesa prega: dal fulmine e dalla tempesta, dal flagello del terremoto, dalla peste, dalla fame e dalla guerra, liberaci Signore. Il male ci può aggredire da tutte le direzioni, e può essere un male morale e materiale. Può essere qualcosa che ci mette contro Dio o ci allontana da Lui, che ci fa perdere la fede e la speranza, che ci ostacola nella carità: da tutto questo liberaci, o Signore.

A questo scopo chiediamo l’intercessione della Vergine Madre, sapendo che Lei è stata preservata da ogni macchia di peccato, che è stata fedele a suo Figlio fin sotto la croce, che anche ora, assunta in Cielo nella gloria non abbandona i suoi figli ancora sulla terra.

Nei tempi passati la nostra gente è ricorsa costantemente alla protezione della Beata Vergine delle Grazie e si è affidata a Lei nei momenti difficili, manifestando la sua devozione con vari gesti anche pubblici, fino ad eleggerla a patrona della Città e della Diocesi.

Siamo quindi molto lieti che per manifestare questa fedeltà la Città di Faenza anche quest’anno compia un omaggio alla propria Patrona con il dono dei ceri da parte dei Rioni della Città; un gesto simbolico che rivela affetto e devozione. Anche in questo modo intendiamo affidarci all’aiuto della Madonna delle Grazie per la nostra comunità e per tutte le famiglie, nelle difficoltà del nostro tempo, sicuri della sua protezione materna.

OMELIA di PASQUA (sintesi)
Basilica Cattedrale di Faenza, 31 marzo 2013
31-03-2013

Celebrare la Pasqua del Signore vuol dire anzitutto ravvivare la nostra fede, vivendo insieme ai nostri fratelli credenti la Liturgia di questi giorni santi. Molti di noi sono attratti dalle tradizioni di questi giorni; altri sono consapevoli di ciò che la Chiesa ricorda in questo mistero; altri forse sono curiosi della risonanza di queste giornate particolari.

Ma il cristiano  sa che il signore Gesù è morto e risorto per tutti e che tutti hanno bisogno della speranza che da questo evento viene a tutto il mondo. È importante per tutti che vi siano alcuni che mantengono acceso questo fuoco, per quanti oggi e in futuro vorranno lasciarsi illuminare e riscaldare. Se venissero meno i testimoni della Risurrezione di Cristo sarebbe un impoverimento per tutti e rimarrebbe spazio solo per la disperazione; la vita e soprattutto la morte non avrebbe più nessun senso, anche se rimane sempre la possibilità per qualcuno di consolarsi in qualche modo.

Il coraggio della Chiesa, proprio quando tutti sono angustiati e preoccupati per tante ragioni, è quello di continuare ad annunciare la speranza, non con parole vuote o consolatorie, ma rifacendosi ad un fatto: Cristo dopo tre giorni dalla sua morte è risorto; e risorgendo ha offerto nuove prospettive per noi, aprendoci alla vita con Lui nell’eternità. Se questo è il nostro destino, allora tutto il resto passa in secondo ordine e riceve nuovo significato; non solo, ma ci vengono offerte nuove vie per affrontare anche le realtà del nostro tempo nella giustizia e nella verità.

Stiamo vivendo in queste settimane momenti straordinari nella Chiesa, che ci fanno toccare con mano la forza del Cristo risorto che l’accompagna. Il messaggio vivo e immediato che Papa Francesco sta offrendo alla Chiesa e al mondo è quello di sempre, annunciato con una freschezza e una testimonianza personale che colpisce tutti. Anche questo è un segno che il Vangelo di Cristo, che dobbiamo portare a tutte le nazioni, non ha perso la sua forza, e risponde ancora alle attese vere dell’umanità.

La festa di Pasqua è una gioia e un impegno, che comincia dal rinnovare la nostra fede e continua nel renderla operosa nella carità. Ognuno saprà trovare i modi concreti per vivere questo secondo le condizioni del suo stato, le necessità che incontra e la grazia che avrà ottenuto dal Signore

OMELIA per la MESSA CRISMALE 2013
Basilica Cattedrale di Faenza, 28 marzo 2013
28-03-2013

La santa convocazione del presbiterio per la Messa crismale del giovedì santo, oltre alla consueta finalità della consacrazione degli Olii, assume quest’anno una particolare nota dagli eventi ecclesiali vissuti recentemente.

Ogni anno ci troviamo insieme in questo giorno per ravvivare la grazia dell’Ordinazione presbiterale, rinnovare le promesse per il ministero al quale il Signore ci ha chiamati e testimoniare la comunione nella nostra Chiesa particolare, nella quale vogliamo vivere nella fede di Cristo.

Quest’anno abbiamo incontrato momenti che ci hanno fatto rivivere il nostro legame nella Chiesa universale, a cominciare dalla ‘Visita ad limina’ compiuta alle tombe degli Apostoli e con l’incontro con Papa Benedetto. In quell’occasione il Vescovo ha presentato una sintesi dell’attività pastorale della diocesi nei suoi aspetti principali, portata alla valutazione degli organismi centrali della Chiesa. Il Papa ci ha ringraziato perché portiamo con lui la fatica del Vangelo e ci ha confermato nella fede. Questa visita, che ogni vescovo è tenuto a compiere ogni cinque anni, è avvenuta pochi giorni prima dell’annuncio della rinuncia di Papa Benedetto, che ci ha accompagnato per otto anni con il suo magistero illuminato .

Il Vescovo ha concluso pochi giorni fa la Visita pastorale alla Diocesi, cominciata nel 2008. Dopo Pasqua verrà inviata una lettera di valutazione sintetica, con una riflessione sulle prospettive che ci attendono. Mi auguro che sia di aiuto e di incoraggiamento.

Anche la Visita pastorale è stata una occasione per rafforzare il vincolo di comunione tra il Vescovo e i presbiteri, tra i presbiteri e i fedeli, dilatando così la comunione con il Vescovo di Roma. Queste profonde realtà ci hanno fatto vivere con particolare partecipazione i recenti avvenimenti dell’elezione di Papa Francesco. Non si è trattato di fatti eclatanti per la loro rarità, ma di eventi che interessavano tutti noi e che abbiamo seguito nella fede con l’apporto della nostra preghiera. Accogliamo come una vera grazia l’inizio di questo pontificato, che ci aiuta a superare gli atteggiamenti ostili verso la Chiesa subiti in questi ultimi tempi.

Ci piace vivere oggi questa Celebrazione eucaristica, portando sull’altare della chiesa cattedrale la nostra gratitudine per il pontificato di Papa Benedetto XVI e la nostra gioia per il dono di Papa Francesco; porteremo poi questa sera, sugli altari delle nostre parrocchie nella Messa in Coena Domini, il segno forte della comunione frutto dell’Eucaristia e della nostra unità nella Chiesa particolare e universale.

Vogliamo cominciare a capire che l’invito alla misericordia, alla carità, alla bontà e alla condivisione rivoltoci dal Papa ha una radice sacramentale nell’Eucaristia e nella Chiesa Corpo mistico di Cristo, e vogliamo, noi sacerdoti, vivere con questo spirito il nostro servizio.

Se ci pensiamo bene la nostra gente percepisce la misericordia della Chiesa e quindi di Dio nell’incontro con il loro prete e con i gesti della sua bontà. È bello che veda nei gesti del Papa l’immagine del Dio buono e misericordioso, ma è ancora più bello che nel rapporto con i ministri del Vangelo lo veda vissuto e quindi predicato.

Nella riflessione sul nostro ministero presbiterale voglio inserire il ricordo dei giubilei sacerdotali che ogni anno accogliamo in questa nostra Eucaristia con particolare affetto. Prima di ricordarli tutti, voglio metterne in evidenza alcuni, cominciando dai 75 anni di ministero di don Giuseppe Minghetti. È un traguardo davvero ragguardevole, che ci dà la misura della fedeltà del presbitero, che ha speso tutta la vita per la sua gente, lasciando il ricordo di una presenza fedele e della preghiera generosa.

Voglio ricordare la Messa d’oro di Mons. Germano Pederzoli, che da qualche anno la sta offrendo nella malattia e nell’inabilità; i suoi giorni possono essere inattivi, ma non sono meno fruttuosi , se è vero che è la Croce lo strumento della nostra salvezza.

Infine voglio sottolineare i 25 anni di ministero di Mons. Pietro Scalini, la maggior parte dei quali passati a S. Pietroburgo, in una missione delicata e preziosa per la Chiesa cattolica di quella terra; lo ricordiamo come un testimone della sensibilità missionaria del nostro presbiterio.

Oggi ricordiamo e preghiamo anche per gli altri anniversari: i sessant’anni di Messa di Mons. Giuseppe Bassetti e del Can. Angelo Bosi; i cinquant’anni di don Antonio Bandini, di Mons. Giuseppe Mingazzini e del sottoscritto; il venticinquesimo di don Ruggero Benericetti e don Ugo Facchini. Le ricorrenze giubilari sono una buona occasione per ringraziare il Signore e per chiedere nuove vocazioni.

Alcuni nostri confratelli sono assenti a causa di malattia: vogliamo invece che siano quanto mai presenti nel nostro ricordo e nella nostra preghiera, uniti a noi nell’offerta del sacrificio eucaristico. Dobbiamo pure pregare per Mons. Silvano Montevecchi, che tutti conosciamo e amiamo, gravemente ammalato.

Vogliamo avere nel nostro cuore i missionari che sono nati nella nostra Diocesi, per i quali anche raccoglieremo l’offerta durante la Messa.

Nella luce della Pasqua che stiamo per celebrare facciamo memoria dei nostri confratelli che ci hanno lasciato nell’ultimo anno. I loro nomi sono riportati nell’immaginetta che viene distribuita perché il loro ricordo resti nelle nostre preghiere anche in futuro.

Prima di concludere voglio salutare i ministranti che sono presenti a questa celebrazione, anche per segnalare la loro importanza per il servizio liturgici. Mi auguro che questo sia sempre più compreso non solo per la dignità della liturgia ma anche come occasione per una riflessione vocazionale, una volta tanto non a parole ma mediante dei gesti precisi.

Cari ministranti abbiate a cuore il servizio liturgico come un modo privilegiato per avvicinarvi al Signore, curate la vostra formazione e siate fedeli al vostro impegno.

Carissimi presbiteri viviamo questi giorni santi nella gioia pasquale, riaccesa anche dal carisma del Papa Francesco; siamo lieti nel Signore, vincitore del peccato e della morte, che non abbandona la sua Chiesa, ma la conduce lungo la storia verso il Regno dei cieli.

OMELIA per l’ANNIVERSARIO della morte del S.d.D. Padre DANIELE BADIALI
17-03-2013

Il ricordo dell’anniversario della morte del Servo di Dio P. Daniele Badiali viene illuminato dalla liturgia della quinta domenica di Quaresima, che essendo assai vicina alla Pasqua ci richiama con forza la grazia di quel mistero.

Il testo di Isaia con l’immagine di un nuovo esodo, annunciato per coloro che sarebbero tornati da Babilonia, ma riferito a tutti coloro che camminano dal peccato alla grazia, ci ha descritto la prospettiva della vera conversione. ‘Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche! Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?’. S. Paolo dirà ‘Se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove (2 Cor 5,17).

È importante riflettere sul significato della novità per il cristiano, che non significa inseguire le cosiddette novità del mondo, ma scoprire Cristo, l’uomo nuovo (cfr Ef 2,15). Il tempo della Quaresima ci accompagna in questo cammino che interesserà di fatto tutta la nostra vita.

Nella seconda lettura abbiamo sentito la chiarezza con cui viene tracciato questo percorso: ‘Tutto ormai io reputo una perdita di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero come spazzatura, al fine di guadagnare Cristo(3,8).

Si tratta di una alternativa chiara, che richiede una lucidità coraggiosa sostenuta dalla fede, cioè dal buon guadagno che si vede nell’incontro con Cristo. Non si può stare a mezza via, nel comodo compromesso tra pratica religiosa e cedimento alla vita mondana. La radicalità evangelica nasce dalla consapevolezza che Cristo è capace di darci più di quanto siamo disposti a lasciare. Il Papa Benedetto XVI lo ha detto fin dall’inizio del suo pontificato con queste parole: ‘Cari giovani non abbiate paura di Cristo! Egli non toglie nulla, dona tutto. Chi si dona a lui riceve il centuplo. Sì, aprite, spalancate le porte a Cristo e troverete la vera vita’.

Non è difficile trovare anche nelle lettere di P. Daniele affermazioni che vadano nella stessa direzione, di chi ha lasciato tutto per trovare Gesù: ‘Se non fosse per Gesù, non sarei qui. Questa scommessa di cercare Gesù vale più di qualsiasi altra cosa nella vita‘ (pag. 125). E ancora: ‘È una grande fatica restare uniti a Gesù, quando tutto intorno a te va per il senso contrario’ Bisogna dare via tutto, ascoltare la voce di Gesù e metterla in pratica’ (pag. 158).

Anche P. Daniele era convinto di essere stato conquistato da Cristo Gesù e quindi di potersi fidare della sua grazia nell’essere fedele. Non è spaventato dalle difficoltà, dai sacrifici; ha paura solo della propria debolezza e della poca fede. Scrive ancora: ‘Se mi lamento è perché non ho la fede per ringraziare Gesù nei momenti di prova. Solo dopo mi accorgo che è una grazia poter partecipare alle sofferenze di Gesù’ Agli amici più cari, per regalo, dà la sua croce” (pag.174).

San Paolo affronta anche il tema della partecipazione profonda alla vita e alla morte di Cristo, per partecipare alla sua giustizia, basata sulla fede, ‘perché io possa conoscere lui, la potenza della sua risurrezione, la comunione alle sue sofferenze, facendomi conforme alla sua morte, nella speranza di giungere alla risurrezione dai morti’ (3,10s).

Alla radice di questo incontro con Cristo che cambia la vita e ci trasforma in creature nuove c’è la fede, a noi donata nel battesimo e accolta nella vita, alimentata dalla parola di Dio e nutrita dall’Eucaristia; fede che esperimenta l’incontro con Cristo nell’accettare il suo perdono.

Tutti abbiamo bisogno del perdono di Cristo, perché tutti siamo peccatori. La nostra vera sciagura non è nemmeno il peccato, quanto il disperare del perdono del Signore o pensare di non averne bisogno.

La donna del vangelo di oggi, colta in flagrante adulterio e portata davanti a Gesù, può dire di aver incontrato Cristo in conseguenza del suo peccato. Anche qui si può dire: ‘O felix culpa!’. Anche lei ha fatto l’esperienza che il Figlio di Dio ‘non è venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo (cfr Gv 12,47). Gesù ha pure detto che è venuto non per i giusti, ma a chiamare i peccatori a convertirsi. ‘E di questi il primo sono io’, dobbiamo aggiungere tutti con San Paolo (1 Tim 1,15). Il problema quindi non è nemmeno il peccato, quanto il riconoscere di essere peccatori, di aver bisogno di perdono, chiederlo e accoglierlo.

Cos’è che ha cambiato la vita alla donna del Vangelo? Non gliel’avrebbe certo cambiata la lapidazione, se fosse stata applicata la legge di Mosè. Ciò che ha cambiato la vita a quella donna è stato l’incontro con Cristo: ‘Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più’.

Possiamo sicuramente pensare che se quella donna non è più caduta nel suo peccato non sarà stato per la paura della legge di Mosè, ma perché è rimasta sconvolta da questo Rabbì che non l’ha condannata e le ha detto di non peccare più. L’incontro con Cristo cambia la vita.

Cominciare ad incontrare Gesù nel perdono, poi continuare nell’accettare la croce, poi le opere di carità verso i piccoli e i poveri, per poterlo poi riconoscere nell’Eucaristia quando Egli viene incontro a noi. Le vie lungo le quali il Signore ci tende il suo agguato sono le più diverse, ma hanno come unico scopo di farci incontrare Lui.

L’esempio di P. Daniele, che la Chiesa si sta preparando ad offrire all’imitazione di tanti, deve farci coraggio: è possibile lasciare tutto per il Signore, è possibile incontrarlo nella fede, è possibile amarlo nei piccoli e nei poveri; anche per i giovani questo è possibile, come ci ha testimoniato la vita di P. Daniele.

Abbiamo raccolto nella liturgia di oggi il racconto della liberazione di un popolo dall’esilio, di una donna dalla solitudine del suo peccato; abbiamo sentito l’invito a liberarci dalle cose di questo mondo che sanno di vecchio, per correre con Cristo verso la perfezione: nessuno può dire di averla conquistata, fintanto che è in questa terra; ma continuiamo a ‘correre verso la meta, al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù’.

La Pasqua dell’Anno della fede, in questo tempo meraviglioso che la Chiesa sta vivendo con il dono di Papa Francesco, sia l’occasione per una vita veramente nuova, che Cristo ha fatto germogliare in noi.

OMELIA per la celebrazione delle CENERI 2013
Faenza - Basilica Cattedrale, 13 febbraio 2013
13-02-2013

‘Convertitevi e credete al Vangelo’ è l’invito che accompagna l’austero segno delle ceneri poste sul capo nella celebrazione di inizio Quaresima.

È il tempo favorevole per riprendere con più convinzione il nostro cammino di conformazione a Cristo, con l’aiuto di tutta la Chiesa, dalla liturgia alla preghiera dei Santi, dalla parola di Dio alle mortificazioni che vengono fatte in varie forme, oltre a quelle indicate dalla Chiesa, ridotte a gesti simbolici.

La Quaresima è un pellegrinaggio spirituale verso la Pasqua, per arrivare a riconoscere Gesù risorto con gli occhi purificati dai nostri peccati, con l’animo alleggerito dal peso di tutto ciò che si trattiene dall’elevarci a Dio nella preghiera e nell’amore verso i fratelli.

Il Papa nel messaggio per questa Quaresima ha messo a confronto le virtù teologali della fede e della carità, sia per ricordare l’Anno della fede, sia per non dimenticare che la penitenza più meritoria è sempre la carità.

Fede e carità, che in una considerazione superficiale possono essere considerate come la teoria e la prassi del vivere cristiano, vengono messe dal Papa in un rapporto di reciprocità, per cui si può dire che si richiamano a vicenda, al punto che una non può vivere senza l’altra; basti a questo riguardo ricordare che ‘l‘esistenza cristiana consiste in un continuo salire il monte dell’incontro con Dio per poi ridiscendere, portando l’amore e la forza che ne derivano, in modo da servire i nostri fratelli e sorelle con lo stesso amore di Dio’ (n.3).

Nell’approfondire questo rapporto il Papa fa alcune considerazioni:

‘La fede, dono e risposta, ci fa conoscere la verità di Cristo come Amore incarnato e crocifisso’: è una delle verità più consolanti, che si conoscono per fede e che cambiano il modo di vedere non solo la nostra vita ma anche il nostro rapporto con il prossimo; infatti, continua il Papa: ‘la fede radica nel cuore e nella mente la ferma convinzione che proprio questo Amore è l’unica realtà vittoriosa sul male e sulla morte’.

‘La fede ci invita a guardare al futuro con la virtù della speranza, nell’attesa fiduciosa che la vittoria dell’amore di Cristo giunga alla sua pienezza. Da parte sua, la carità ci fa entrare nell’amore di Dio manifestato in Cristo, ci fa aderire in modo personale ed esistenziale al donarsi totale e senza riserve di Gesù al Padre e ai fratelli’. Non si può amare solo a parole, ma in opere e verità, sia verso gli uomini sia rispondendo all’amore di Cristo, dal quale nulla ci può separare.

Per quest’anno le indicazioni da tenere presenti per un percorso concreto, ci vengono offerte dal Papa in questi termini:

La Quaresima ci invita proprio, con le tradizionali indicazioni per la vita cristiana, ad alimentare la fede attraverso un ascolto più attento e prolungato della Parola di Dio e la partecipazione ai Sacramenti, e, nello stesso tempo, a crescere nella carità, nell’amore verso Dio e verso il prossimo, anche attraverso le indicazioni concrete del digiuno, della penitenza e dell’elemosina’ (3).

Ma la Quaresima di quest’anno sarà caratterizzata da un evento che riguarda tutta la Chiesa, essendo collocato in questo tempo santo la celebrazione del Conclave per l’elezione del Sommo Pontefice. Non deve essere visto come una coincidenza, ma come una opportunità per dare il tono giusto a questo momento, che deve essere accompagnato  dalla preghiera e dalla penitenza, piuttosto che dai pettegolezzi. Esiste anche la fede nella Chiesa, che ricordiamo quando diciamo ‘Credo la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica’; è la realtà di salvezza voluta da Cristo, e in questi momenti delicati la nostra fede e amore aiutano ad orientare lo sguardo verso  di essa con più rispetto. Non lasciamoci ingannare da chi guarda l’istituzione umana della Chiesa, separandola dalla sua anima divina, che è un modo astuto per arrivare a negare l’una e l’altra. Non possiamo essere noi a volere una chiesa spirituale senza l’istituzione visibile voluta da Cristo, il quale sapeva che sarebbe stata fatta da uomini con tutti i loro limiti. Amare la Chiesa  vuol dire anche avere una fede grande per vedere, sotto la realtà visibile fatta di uomini, di strutture e di storia con tutto ciò che questo comporta, la Sposa di Cristo che ci porta la Parola e la grazia di Dio, di cui abbiamo bisogno per raggiungere il suo Regno. Pregheremo per il Papa Benedetto, perché il Signore lo sostenga e lo ricompensi per le sue fatiche, e pregheremo per il nuovo Papa che lo Spirito Santo vorrà scegliere per la sua Chiesa, e lo accoglieremo con gratitudine, pronti a seguire il Pastore universale della Chiesa come un dono fatto al nostro tempo per tutto il mondo.

OMELIA per la solennità della EPIFANIA 2013
06-01-2013

La grazia della solennità dell’Epifania non è data dalla storicità dell’evento che oggi celebriamo, ma dal significato che quell’evento ha avuto nel racconto di Matteo. In altre parole l’evangelista Matteo ci presenta l’episodio dell’arrivo dei Magi dall’oriente come la primizia dei popoli pagani che vanno verso Cristo.

Siamo nel mistero della ‘manifestazione’ di Gesù al mondo; questo mistero viene celebrato nella liturgia in vari momenti, per sottolineare alcuni aspetti importanti del mistero, che non si esauriscono nella celebrazione liturgica, ma vengono offerti come un percorso spirituale a seconda delle situazioni personali di chi è in cammino verso Cristo.

Nel Natale Cristo è entrato in rapporto con tutta l’umanità. Leggiamo nella Gaudium et spes n. 22: ‘Con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo’; con questo non si vuol dire che tutti gli uomini sono cristiani, ma che per ognuno è possibile incontrare Cristo, che ha già fatto il primo passo verso tutti.

Nell’Epifania, il mistero di oggi, S. Paolo ci ha ricordato che ‘le genti (cioè i pagani che non appartengono al popolo di Dio) sono chiamate in Cristo a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo (cioè la Chiesa) e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo.

Ci sarà poi la festa del Battesimo del Signore, quando Gesù si manifesta al suo popolo, nella voce del Padre che dice: ‘Tu sei il Figlio mio, l’amato, in te ho posto il mio compiacimento’.

Infine Gesù si manifesta ai suoi discepoli a Cana di Galilea, con l’inizio dei segni da lui compiuti: ‘egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui’ (Gv 2,11).

Il mistero dell’Epifania si presenta a noi con alcuni aspetti che mi piace mettere in evidenza, perché possono essere educativi anche per noi nell’imparare a lasciarci raggiungere dalla luce di Cristo che oggi si manifesta. Anche noi cristiani infatti non abbiamo la fede in modo pieno, ma siamo gente di poca fede e abbiamo ancora una percentuale di paganesimo, che deve essere convertita a Cristo.

a)      i Magi si muovono attratti da un segno posto nel creato, una stella. La creazione è stato il primo atto salvifico di Dio verso l’uomo. Scrive S. Paolo ai Colossesi: ‘Tutte le cose sono state create per mezzo di Lui e in vista di Lui (cioè di Cristo;1,16); e nella lettera ai Romani: ‘Le sue perfezioni invisibili vengono contemplate e comprese dalla creazione del mondo attraverso le opere da Lui compiute (1,20); e il Salmo 18 dice: ‘I cieli narrano la gloria di Dio, l’opera delle sue mani annuncia il firmamento’.

b)      Ma la natura non basta: occorre l’aiuto della Parola di Dio.  È penosa la figura di coloro che pur conoscendo la profezia non si muovono. I Magi invece credono alla parola loro riferita dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, si muovono di conseguenza e trovano la conferma dal primo segno che tornano a vedere. Al vedere la stella provarono una gioia grandissima. È la gioia di sapere di essere sulla strada giusta; non è ancora la méta, ma la sicurezza che la méta non è lontana. Questo atteggiamento dell’animo si chiama fede. Per chi è in ricerca è già un grande conforto, dona speranza, ma non può bastare.

c)      Il terzo momento è l’incontro con il ‘re dei Giudei che è nato’; ‘entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre’. Queste poche parole ci dicono molto su ciò che i Magi hanno trovato. Anzitutto una casa, in cui sono accolti; dirà S. Paolo: ‘Voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio’ (Ef 2,19). Ad accoglierli c’è la Madre, Maria; è Lei che rende familiare ogni incontro e presenta il suo Figlio: ‘videro il bambino, si prostrarono e lo adorarono’. La loro fede li porta a compiere un atto di amore, che li mette in comunione profonda con il signore Gesù. I doni che essi offrono sono l’espressione del vincolo nuovo che è nato in loro verso Gesù, e che li accompagnerà sempre, anche quando faranno ritorno al loro paese. Ormai essi hanno incontrato Colui che cercavano e sono stati confermati nella loro fede.

L’annuncio cristiano a coloro che ancora non conoscono Cristo continua anche oggi nell’opera della Chiesa che invia i missionari del Vangelo. Tra poco noi daremo il mandato missionario ad un laico volontario che si chiama Augusto; egli andrà in Tanzania, nella diocesi di Mwanza, con l’AMI per lavorare in una opera promossa da questa associazione della nostra Diocesi. Con la benedizione del Vescovo e la consegna del Crocifisso la nostra Chiesa si impegna ad accompagnarlo con la preghiera e con l’affetto, perché con il lavoro e la vita egli sappia rendere una testimonianza di fede e di carità, e così annunciare il Signore Gesù.

La solennità dell’Epifania infatti ci ricorda che sono ancora tanti gli uomini che non conoscono Cristo e che il dovere di annunciarlo ricade su di noi, non fosse altro diventando partecipi dell’impegno di coloro che a nome della Chiesa continuano a portare il Vangelo nel mondo. E insieme ad Augusto ricordiamo questa sera anche tutti i missionari della nostra Diocesi che sono sparsi nel mondo nel nome di Cristo.

OMELIA per la GIORNATA MONDIALE DELLA PACE 2013
01-01-2013

Quando 45 anni fa Paolo VI propose di celebrare la Giornata mondiale della pace il primo giorno dell anno, certamente non si illudeva di raggiungere il risultato in poco tempo. Se propose questa giornata di preghiera e di riflessione sapeva che la pace è possibile, è un dono di Dio che va chiesto, ed è un dono affidato agli uomini; ma fintanto che celebreremo il primo giorno dell anno, dovremo anche pregare per la pace.

Lo sguardo alla realtà del mondo di oggi è semplicemente sconfortante; non sono diminuite le guerre, le rivoluzioni, le violenze, i soprusi, e spesso vi si è aggiunta una motivazione religiosa, che, è bene precisare, non è mai quella cristiana.

Afferma il Papa all inizio del suo messaggio: Allarmano i focolai di tensione e di contrapposizione causati da crescenti diseguaglianze fra ricchi e poveri, dal prevalere di una mentalità egoistica e individualista espressa anche da un capitalismo finanziario sregolato. Oltre a svariate forme di terrorismo e di criminalità internazionale, sono pericolosi per la pace quei fondamentalismi e quei fanatismi che stravolgono la vera natura della religione, chiamata a favorire la comunione e la riconciliazione tra gli uomini (n.1).

La solennità della Maternità divina di Maria ci chiede di fermare la nostra riflessione sul disegno divino di salvezza, di cui abbiamo celebrato l avverarsi nel mistero dell Incarnazione del Figlio di Dio. Come conseguenza di quel mistero siamo tutti figli di Dio, anche quelli che non ci credono o non lo sanno; per cui esiste una radice oggettiva della nostra fraternità e dell esigenza di una pace cercata e possibilmente realizzata da subito.

La realizzazione della pace dipende soprattutto dal riconoscimento di essere, in Dio, un unica famiglia umana La pace non è un sogno, non è un utopia: è possibile (n.3).

Se la pace è possibile, ben vengano coloro che ci credono e lavorano per essa: Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio.

La promessa indicata da Gesù non deve essere intesa solo riferita all eternità, ma già adesso ha la sua attuazione: La beatitudine consiste nell adempimento di una promessa rivolta a tutti coloro che si lasciano guidare dalle esigenze della verità, della giustizia e dell amore (n.2).

È interessante cogliere l attualità del Beati gli operatori di pace , perché sono tanti coloro che ne parlano, la reclamano, la pretendono dagli altri, ma pochi sono coloro che fanno qualcosa di positivo per portare un mattone alla costruzione della pace, che invece avanza solo se c è chi la fa crescere.

L operatore di pace, secondo la beatitudine di Gesù, è colui che ricerca il bene dell altro, il bene pieno dell anima e del corpo, oggi e domani (n. 3).

Il Papa entra nel merito di varie operazioni che i costruttori di pace devono affrontare e che in modo sintetico provo ad elencare.

Come condizione preliminare per la pace, si deve smantellare la dittatura del relativismo e della pretesa di una morale autonoma e individuale, che prescinda dalla legge morale naturale;

la pace comporta la costruzione di una convivenza sociale fondata sulla verità, sulla libertà, sull amore e sulla giustizia, come scrisse già Papa Giovanni XXIII nella Pacem in terris 50 anni fa;

per diventare costruttori di pace bisogna pregare Dio per chiedere la redenzione conquistataci da Gesù suo Figlio;

i veri operatori di pace difendono e promuovono la vita umana in tutte le sue dimensioni, dal concepimento alla morte naturale;

anche la struttura naturale del matrimonio va riconosciuta e promossa, quale unione fra un uomo e una donna; è un principio inscritto nella natura umana stessa, riconoscibile con la ragione, comune quindi a tutta l umanità, nonostante i tentativi di destabilizzarlo;

promuovere la libertà religiosa, insidiata soprattutto nei confronti del cristianesimo, perché si possa testimoniare la propria religione;

contrastare le ideologie del liberismo radicale e della tecnocrazia, che vorrebbero promuovere la crescita economica a scapito della funzione sociale dello Stato e della solidarietà, nonché dei diritti e dei doveri sociali tra cui principalmente quello del lavoro;

operare per un nuovo modello economico, a fronte di quello prevalso negli ultimi decenni che ricercava il massimo profitto in una visione individualistica ed egoistica, verso una prospettiva che rispetti la persona umana, valorizzi le capacità intellettuali e l intraprendenza, e operi per uno sviluppo economico vivibile e umano; si tratta di esercitare l attività economica per il bene comune, andando oltre il proprio interesse, a beneficio delle generazioni presenti e future;

infine gli operatori di pace devono considerare la crisi alimentare mondiale, che è ben più grave di quella finanziaria, e che richiede interventi di solidarietà a livello locale e internazionale.

Prima di concludere il Papa ricorda il ruolo primario dell educazione alla pace, in cui hanno un compito importante i genitori, ai quali deve essere riconosciuta la libertà di educazione. Ricorda pure il ruolo della scuola e dell università, nel promuovere una vera cultura della pace.

La forza della parola del Papa sta nella libertà con cui egli si rivolge a tutti gli uomini, auspicando che possano essere veri operatori e costruttori di pace. Questa infatti non è una prerogativa solo per qualcuno, e tutti possono aiutare la pace universale iniziando a costruirla nel proprio cuore, nella famiglia e con il prossimo; la pace infatti è un bene indivisibile da ricercare sempre e dovunque.

La Vergine santa, Madre di Dio e Madre nostra ci aiuti ad essere fedeli discepoli di suo Figlio, il principe della pace, al quale chiediamo di benedirci e custodirci in questo anno e per sempre. Amen.

OMELIA per il NATALE 2012 (sintesi)
Faenza - Basilica Cattedrale, 25 dicembre 2012
25-12-2012

La bellezza del Natale per i credenti sta nel sapere che non stiamo ricordando un evento passato, ma viviamo la presenza della nascita di Gesù, del Dio fatto uomo. Di qui si vede la fortuna di avere la fede, perché si possono conoscere anche le verità più impensabili. Non credo che si possa argomentare la verità storica di questo evento solo dal fatto che lo stiamo celebrando da tanti secoli, ma la verità storica ci è data dai Vangeli e da come ce lo hanno raccontato, nella semplicità della realtà.

Gesù è venuto in mezzo a noi, è vissuto come uno di noi, fino a quando non ha manifestato la sua gloria, per farci toccare con mano che Dio ama gli uomini, non ha paura della vita umana, e la condivide con noi per redimerla, cioè per liberarla dal peccato e da ogni male.

Una delle realtà più sconvolgenti dei nostri giorni è sapere che vi sono giovani e meno giovani che hanno perso il gusto di vivere, non trovano un senso alla vita e si distruggono volontariamente. Se Dio ha scelto di condividere la vita umana, vuol dire che questa un senso ce l’ha.

Quando succedono le stragi come quella prima di Natale in America, si cercano delle spiegazioni; ma il senso di quelle cose non può stare nelle eventuali spiegazioni delle cause immediate che le hanno provocate. La vita deve avere un senso sempre per ognuno.

Gesù è venuto perché abbiamo la vita, e l’abbiamo in abbondanza, cioè in pienezza. La pienezza di umanità è vivere nella dimensione divina, come figli di Dio. Anche per quei bambini uccisi, per i quali rimane il fatto esecrando della violenza subita, la vita, seppur breve e troncata così atrocemente ha avuto il senso di introdurli nella vita eterna. Per questo non diremo che allora tutto va bene, ma diremo che anche quei piccoli non sono stati privati del loro diritto alla vita vera.

Dio è venuto in mezzo a noi non certo per insegnarci qualche rito o qualche preghiera nuova; da quel giorno tutto è diverso, perché l’uomo è destinato ad essere partecipe della natura divina e a vivere da figlio di Dio. Questo è il senso della vita, dentro il quale ci stanno anche le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce che tutti incontriamo. Anch’esse hanno un senso, perché se il Figlio di Dio le ha prese su di sé vuol dire che un senso o ce l’hanno o glielo ha dato Lui.

Celebriamo quindi il Natale ricuperando questa luce di cui il mondo ha bisogno, e noi dobbiamo esserne un riflesso. Non possiamo fermarci a recriminare le cose che non vanno, ma rinnovando la nostra fede, viviamo facendo vedere che si può cambiare.