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L’impegno politico degli ex-allievi salesiani in campo sociale ed educativo
Roma - Palazzo Montecitorio (Sala Aldo Moro), 15 luglio 2015
15-07-2015
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In allegato è possibile scaricare il testo della conferenza che S. Ecc.za mons. Vescovo ha tenuto presso la Camera dei Deputati ai parlamentari ex-allievi salesiani, in occasione delbicentenario della nascta di don Bosco.
Il testo è in formato pdf, per consentire di pubblicare anche le note a piè di pagina.

Quale Umanesimo per i diritti e i doveri?
Brisighella - Pieve Thò, 24 maggio 2015
24-05-2015

QUALE UMANESIMO PER I DIRITTI E I DOVERI?
 
Premessa
Mi congratulo con coloro che hanno organizzato, a nome della Diocesi di Faenza-Modigliana, in collaborazione con l’Associazione Romagna-Camaldoli, la serie di incontri su un tema di grande attualità, che è anche al centro dell’attenzione della Chiesa italiana, la quale ha intitolato il V Convegno nazionale così: «In Cristo un nuovo umanesimo».
Vi sono stati, vi sono e vi saranno molti umanesimi. E, comunque, l’esperienza ci dice che gli umanesimi ad impronta individualistica, utilitarista ed immanentista, frutto di una cultura post-moderna, non sono chiaramente proporzionati alla dignità delle persone concrete, al volume totale delle loro dimensioni costitutive. E, peraltro, non appaiono anche soddisfacenti quegli umanesimi che sono espressione di quella cultura liquida che  non li matura e non li stabilizza minimamente, bensì li sottopone a continui cambiamenti.
È proprio in questo contesto che la Chiesa italiana appare impegnata nella ricerca di un nuovo umanesimo, commisurato all’altissima dignità dell’uomo, alla sua trascendenza, sia in senso orizzontale sia in senso verticale.  Per essa un nuovo umanesimo potrà affermarsi solo all’interno di un processo di nuova evangelizzazione, propiziatrice di un rinascimento sul piano antropologico ed etico.
 

  1. Nuova evangelizzazione e umanesimo

Oggi assistiamo ad una catastrofe antropologica che ci fa toccare con mano quanto l’emarginazione di Dio dalla vita delle persone e dalle istituzioni pubbliche provoca di negativo nell’umano, a cominciare dalla stessa percezione che l’uomo ha di sé e delle società in cui vive. La distruzione antropologica a cui oggi siamo sottoposti, come singoli e come società, è testimoniata da più fatti. Basti pensare ai mutamenti in atto nell’attuale cultura dominante, che non solo non preserva la famiglia quale «baricentro esistenziale», ma la snatura, equiparandola a qualunque nucleo affettivo, a prescindere dal matrimonio e dai due generi. Basti pensare alla recente approvazione, da parte della Francia, ma non solo, del diritto all’aborto, con la conseguente omologazione di un arbitrio e l’indebolimento dello Stato di diritto: se l’arbitrio può essere riconosciuto come un diritto è chiaro che in tal maniera si ammette che non esiste più un fondamento oggettivo ed universale dei diritti, è chiaro che non esistono più diritti e doveri certi. Si è così esposti alla demolizione del valore normativo degli ordinamenti positivi, ma anche alla distruzione delle nostre democrazie, che hanno tra i loro pilastri ordinamenti giuridici certi. Che ci si trovi su una china pericolosissima per la libertà lo mostra il rimprovero mosso dalla Corte europea all’Italia perché troppi medici esercitano l’obiezione di coscienza nei confronti dell’aborto: episodio veramente grave non solo con riferimento all’assassinio di un nuovo essere umano ma anche con riferimento ad uno Stato  a tendenza totalitaria e dittatoriale. La destrutturazione e la confusione babelica a livello antropologico ed etico sono rese evidenti da quel primato della finanza sulla politica che rende quest’ultima strumentale ad un capitalismo che assolutizza il profitto a brevissimo termine e considera il valore fondamentale del lavoro una realtà marginale rispetto alla produzione della ricchezza nazionale: questa è prodotta anzitutto dalla speculazione; il lavoro sarebbe una mera variabile dipendente dei meccanismi finanziari e monetari.  Quando il lavoro sia considerato un valore marginale o addirittura una variabile dipendente dei meccanismi finanziari perde la sua rilevanza giuridica: ciò che è insignificante dal punto di vista morale non può costituire il fondamento di un diritto.
A ben considerare i fondamentali della cultura contemporanea si deve concludere che il rifiuto di Dio si traduce per l’uomo in un impoverimento della sua intelligenza della realtà, la quale viene decurtata della dimensione di trascendenza; in capovolgimento della scala dei beni-valori, in schiavizzazioni della persona, in privazione del diritto alla libertà religiosa, fonte e sintesi degli altri diritti.
A fronte di una crescente fenomenologia della disumanizzazione, dell’aumento delle diseguaglianze tra ricchi sempre più ricchi e poveri sempre più poveri, del progressivo deterioramento dell’ambiente che si traduce in danni per la stessa umanità, sia Benedetto XVI sia papa Francesco hanno reagito proponendo una nuova evangelizzazione. Solo questa può favorire l’incontro o il reincontro dell’uomo con Dio e con ciò stesso mettere le premesse di una rinascita dal punto di vista umano. Nella Caritas in veritate (=CIV) di Benedetto XVI troviamo scritto che l’annuncio di Cristo è primo e principale fattore dello sviluppo integrale e, quindi, del compimento umano (cf CIV n. 8). Abbastanza recentemente papa Francesco, in vista di un nuovo umanesimo, integrale ed inclusivo, comunitario ed aperto alla Trascendenza, nella sua Esortazione apostolica Evangelii gaudium, ha esortato  a vivere la dimensione sociale della fede e dell’evangelizzazione.
L’incontro con Cristo, l’adesione a Lui, la comunione esperienziale con la sua vita – vita di amore trasfigurante – ci induce non solo a porre le basi di un nuovo umanesimo dal punto di vista della dottrina, bensì anche sul piano della vita. Vivendo in comunione con Cristo siamo sollecitati non solo a formulare un nuovo umanesimo dal punto di vista teorico ma anche dal punto di vista pratico, mediante le opere. Proprio questa constatazione, frutto di una riflessione sull’esperienza, ha fornito la base dell’ideazione, della programmazione e della celebrazione del prossimo V Convegno ecclesiale. Dapprima mostrare che l’incontro con Cristo da parte dei singoli e delle comunità, grazie ad una nuova evangelizzazione, consente di elaborare un’antropologia e un’etica più adeguate, più rispondenti alla verità sull’uomo, sulla famiglia, sulla società, sul lavoro, sull’economia, sulla finanza, sulla politica, sull’ambiente. In secondo luogo, far comprendere come un nuovo umanesimo non si riduce a ortodossia, a corretta visione sull’uomo, a dottrina astratta, ma è anche vita buona, azione retta, ortoprassi efficace, perché costruisce la città a misura della dignità trascendente delle persone. Un nuovo umanesimo implica buone pratiche, comportamenti, stili di vita, istituzioni, leggi, movimenti sociali, ethos, politiche e culture orientati a favorire la crescita integrale dei singoli e dei gruppi.
Proprio per questo, papa Francesco parlando ai vescovi italiani li ha sollecitati a che il loro discernimento sulla situazione attuale li aiuti «a non fermarsi sul piano – pur nobile – delle idee, ma inforchi occhiali capaci di cogliere e comprendere la realtà e, quindi, strade per governarla, mirando a rendere più giusta e fraterna la comunità degli uomini» (Discorso  alla 66.a Assemblea generale della CEI, 19 maggio 2014). Detto altrimenti, il Convegno ecclesiale di Firenze non deve limitarsi ad analisi della situazione, ad esprimere giudizi, ma deve sfociare nell’impegno di modificare la realtà, la vita concreta delle persone, della nazione, per rispondere alle sue attese e alle sue speranze più profonde. I credenti non devono semplicemente tenere vive «utopie» ma devono saper costruire, creare «altri luoghi» di vita, dove si vive la fraternità, la comunione, la condivisione, l’accoglienza della diversità, la cura per l’altro.
 

  1. In Cristo un nuovo umanesimo per i diritti e i doveri

A fronte dell’odierna desemantizzazione del diritto e dell’ordine corrispondente è quanto mai urgente il ripristino di un fondamento certo  per essi, quale punto di riferimento per la statuizione della loro valenza antropologica ed etica.  Il diritto e gli ordinamenti positivi necessitano, in particolare, del superamento del loro sradicamento dalla legge morale naturale, propiziato da una cultura moderna propensa all’autoreferenzialità conoscitiva e al primato del fenomeno, nonché della attuale giustificazione mediante una ragione scettica e un individualismo  anarchico ed utilitaristico.  Occorre che i diritti ritrovino come strumento fondativo  del loro valore regolativo della vita sociale quella ragione pratica che è propria di ogni essere umano e che è radicata nella capacità nativa di ricercare il vero, il bene e Dio. Non si parla qui di un fondamento prettamente metafisico: esso farebbe cadere nel cosiddetto paralogismo naturalista. Ci si pone su un versante chiaramente morale.
Solo una nuova evangelizzazione che consente alle persone di vivere in comunione con Dio, Sommo Vero, Somma Bontà, Somma Bellezza, potrà aiutare a vincere la crisi semantica e valoriale del diritto contemporaneo. Solo chi vive in Gesù Cristo, Via, Verità e Vita  può disporre di una capacità conoscitiva e di un’esperienza morale che rende più evidente e certo ciò che possiamo definire la base etica primigenia da cui  partire per enucleare le esigenze universali del diritto  naturale e positivo. Solo chi dispone di capacità conoscitive ed etiche accresciute può offrire maggiori garanzie di fondazione e di solidità al diritto. Una nuova evangelizzazione, che consente una più grande comunione con la Verità, il Bene e la Bellezza rende più evidenti i primi principi morali che costituiscono il fondamento universale dei doveri e dei diritti. Essi sono: fa il bene ed evita il Male; fa agli altri tutto ciò che desideri sia fatto a te; uno sviluppo umano integrale, come ha insegnato la Populorum progressio di Paolo VI.
In breve, qualora, grazie ad una nuova evangelizzazione si potrà disporre di un più saldo ancoraggio con la legge morale naturale, si potrà sperare in un nuovo fondamento per i doveri e i corrispondenti diritti.

Saluto alla città di Modigliana
22-03-2015

Signor Sindaco, Signori Amministratori e Responsabili della vita civile, Signor parroco, cari fedeli,
un cordiale saluto a voi e a questa città, già sede prestigiosa di una diocesi. Assieme all’amato vescovo S. Ecc. Mons. Claudio Stagni vi ringrazio per la calorosa accoglienza. Come ho detto a Faenza, la scorsa domenica, mi accingo volentieri ad iniziare un cammino di collaborazione e di servizio, con l’aiuto del Signore e di Maria, Madre di Dio e della Chiesa, Madre del Principe della pace.
La comunità ecclesiale, mentre vive tra la gente, intende rispondere alla richiesta permanente di ogni persona che cerca incessantemente Dio. Come è attuale il Vangelo di questa domenica che ci presenta dei Greci i quali, avvicinandosi a Filippo, gli domandarono: «Vogliamo vedere Gesù»!  Ancora oggi, molte persone che sono in cerca  di Dio, pellegrine della Verità, ci domandano di mostrarLi a loro.
Nonostante l’acutizzarsi di secolarismi anche aggressivi,  che destrutturano l’umano, la Chiesa è persuasa che la gente ha sempre sete di Dio.
Essa, allora, non si vergogna di annunciare Cristo e il suo Vangelo. L’incontro con Gesù fa nasce un nuovo pensiero e un nuovo umanesimo, più aperti alla trascendenza, alla fraternità, all’accoglienza reciproca, alla convivialità, in una parola, alla vita. Sarebbe tragico per le nostre città se, da una parte, la Chiesa nascondesse Cristo e non lo testimoniasse credibilmente e, dall’altra, l’Autorità amministrativa e politica non operasse secondo la verità dell’uomo e della sua  intrinseca dignità trascendente.
I credenti non vivono in luoghi appartati. Risiedono in città condivise e vissute con gli altri. Mediante l’incontro e il dialogo, intendono portare novità negli stili di vita, nelle relazioni interpersonali e pubbliche. Nutriti dal pane che è Cristo, si prodigano come esistenze fragranti di amore e di oblatività, specie nei confronti dei più poveri e del bene comune.
La Chiesa guarda a tutti con simpatia, ma specialmente ai giovani, sulle cui energie fresche pensa di contare per disporre di annunciatori e di testimoni  innamorati e gioiosi di Cristo. So che in questa stupenda città, ricca di vestigia illustri e di una storia civile intensa, esiste  – spero continui ad esserci,  non solo nel sito del comune – una Consulta delle attività e politiche giovanili, avente lo scopo di consentire ai giovani la partecipazione alla vita amministrativa della comunità, tramite l’espressione di pareri, proposte, indicazioni. Cari giovani, siete davvero fortunati per questo coinvolgimento nella vita della città. Vi auguro di crescere nell’interesse per il bene comune, bene di tutti. È  importante non solo poter partecipare per esprimere il proprio parere. È altrettanto decisivo partecipare dedicandosi fattivamente al bene cittadino, servendo gli altri e la comunità, vivendo una libertà non solo a metà, ossia rispettando gli altri e non ledendo i loro diritti. Occorre vivere una libertà completa, che è quella che, mentre rispetta l’altro, si dona a lui, prendendosi cura della sua vita, considerandolo non come un estraneo, bensì come un fratello che ci appartiene in umanità e in Cristo. La Chiesa ha fiducia in voi e crede nel vostro senso di responsabilità. Vivete Cristo per il bene di tutti, specie dei più poveri.
Cari giovani e cari fedeli, vogliamo davvero mostrare il vero volto di Gesù a chi lo cerca e ha bisogno, come noi, di essere da Lui salvato? Guardiamo al Crocifisso. Inchiodato sulla Croce, Gesù si svela a noi come una vita donata totalmente a Dio e all’uomo, come Colui che lotta apertamente  contro il male, come umanità nuova in piena comunione con Dio sino alla morte. Gesù, per spiegare chi Egli sia – l’abbiamo appena udito -, adopera il paragone del seme di frumento, un’immagine che è facilmente comprensibile ed efficace. Agli stranieri che chiedevano di vedere Gesù e di capire chi egli fosse risponde così: «Volete sapere chi sono e cosa faccio? È molto semplice. Guardate un chicco di grano. Se il chicco di frumento, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto». Detto altrimenti, Gesù indica che Egli è una vita che si dona in pienezza, e come il chicco di grano, cadendo in terra, muore, germoglia o, meglio, «risuscita», moltiplicando la vita. Cristo, vita in pienezza, che muore e risorge, è il pane per la fame del mondo. Per poterlo donare agli altri dobbiamo esserne innamorati, inabitati sino ad esserne risplendenti, ossia luce che riflette la Luce. Solo vivendo uniti a Cristo, Dio potrà essere il nostro Dio e noi potremo essere il suo popolo (cf Ger 31, 31-34).

Saluto alla città di Faenza e alla diocesi
Faenza - Sagrato della Basilica Cattedrale, 15 marzo 2015
15-03-2015

SALUTO ALLA CITTÀ
Signor Sindaco, dott. Giovanni Malpezzi, Signori amministratori e responsabili della vita civile, rappresentanti dei Rioni, un cordiale saluto a voi e a questa stupenda città, ricca di storia e di arte, di illustri testimonianze di libertà e di santità. Al mio giungere qui ne sono stato subito conquistato. Per la prima volta mi rivolgo a voi e alla cittadinanza che rappresentate.  Ringrazio voi e l’amato vescovo, S. Ecc. Mons. Claudio Stagni, per la calorosa accoglienza. Mi accingo volentieri ad iniziare un cammino di collaborazione, a servizio della città e della diocesi di Faenza-Modigliana, accompagnato dalla presenza  materna della patrona principale di questa città, la Beata Vergine Maria Madonna delle Grazie, che ha spezzato le frecce del male: ha salvato il popolo faentino dalla peste e dal colera, dalla violenza di un terribile terremoto.
Questa piazza è uno scenario tra i più belli d’Italia. Qui si riunisce il popolo per le sue principali feste. Il popolo della città secolare si mischia col popolo della città di Dio. Che sia sempre così, nella distinzione e nell’inevitabile compenetrazione!
Oggi constatiamo che l’Europa – il cui ideale comunitario qui a Faenza è coltivato da tempo –  è divenuta multipolare, multiculturale e multireligiosa. Lo divengono sempre più anche le nostre città, le quali, pertanto, debbono trovare  una nuova unità, una nuova comunione nel bene, nel vero, nel bello e in Dio. Autorità civili e religiose, comunità amministrative ed ecclesiali, sono chiamate a collaborare intensamente. Si tratta di praticare un dialogo ininterrotto, senza diminuzioni per l’identità di alcuno, volendo raggiungere, tramite accoglienza e simpatia, il cuore dell’altro, gli altri diversi da noi, in un processo di integrazione secondo il modello del poliedro, che non annulla, bensì unifica le differenze in un «tutto» armonico.
La comunità ecclesiale contribuisce a costruire la città secolare in profondità, offrendo linfa per la sua tenuta morale. Con i suoi membri, in particolare, collabora affinché fiorisca una libertà non illimitata, responsabile, una libertà che sa legarsi alla verità, che si prende cura dell’altro  e del suo bene. Di questa libertà hanno bisogno le nostre città e l’Europa, per essere convivenze civili, fatte di collaborazione nella realizzazione del bene comune, bene di tutti. Senza una libertà per gli altri, i legami sociali, la gioiosa condivisione di beni spirituali, morali, artistici, immiseriscono. Si perde il gusto del vivere insieme, dell’appartenersi, del volersi bene. Ci si sente più lontani, estranei.
Dio vive nella città. La Chiesa ne è pienamente cosciente ed intende «uscire» per incontrarLo, specie nelle periferie geografiche ed esistenziali della vita: in coloro che, pur non avendolo trovato, lo cercano in continuazione; in coloro che vivono la solitudine, un’anzianità non onorata, la disoccupazione che umilia la dignità; nei giovani a rischio. La Chiesa desidera porsi in ascolto dei poveri, di coloro che sono considerati «scarti», esseri inutili, destinati a diventare addirittura invisibili. Assieme alle autorità politiche ed amministrative, anela a rispondere alle loro inquietudini, alla loro domanda di giustizia, di «compagnia» e di sostegno. Una vera comunità civile cerca i poveri, li rende visibili, più partecipi di una solidarietà che include tutti, in un nuovo welfare che riparte dalle nuove «posizioni proletarie», da coloro che sono considerati «scarti» dalla società neoliberista.
Signor Sindaco e Signori amministratori, il popolo cristiano di questa città, assieme al suo vescovo, c’è. È con voi. Confortato da una moltitudine di uomini e donne illustri e di santi, che hanno reso più gloriosa la storia faentina, è felice di partecipare al cantiere sempre aperto di questa città. Mentre contribuisce con la sua specifica identità a rifondare i vincoli sociali e l’amicizia civica, specie mediante l’arte dell’educazione, è grato ai responsabili della cosa pubblica perché, amministrandola con onestà e giustizia, servono il «corpo» di Cristo, ne curano le piaghe, lo corroborano mediante la custodia del creato.
Grazie, Signor Sindaco ed amministratori, per tutte le volte che vi prenderete cura di noi cittadini, della sicurezza, del bene-essere favorendone la modalità societaria, delle famiglie, delle imprese, delle scuole, dei beni collettivi come l’acqua potabile e l’energia sostenibile per tutti, del patrimonio artistico, coltivando una visione anche spirituale e morale della città, nonché quel «progetto del bello» che essa invoca, per essere fruibile anche per le generazioni future.
Siatene certi: la Chiesa sarà al vostro fianco con il suo impegno di servizio al bene comune.
 

OMELIA per il SALUTO alla DIOCESI
01-03-2015

Vogliamo anzitutto vivere il dono della liturgia della seconda domenica di quaresima, che ci aiuta a cogliere il significato vero anche del saluto che la Comunità cristiana di Faenza-Modigliana sta manifestando al termine del mio mandato episcopale. È la domenica della Trasfigurazione, che intende orientare il nostro percorso quaresimale decisamente verso la Pasqua di risurrezione. Gesù ha portato i tre discepoli su un alto monte e si è manifestato nella sua gloria. E di questo essi non avrebbero dovuto parlarne se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti. Diversamente non sarebbero stati creduti.
Nella prima lettura abbiamo ascoltato la storia di Abramo, al quale Dio chiede in sacrificio il figlio della promessa. A lui Abramo legava la speranza del suo futuro, e con la sua morte tutto sarebbe finito. Invece fu proprio quel fidarsi ciecamente di Dio che fece sì che Isacco fosse ridonato ad Abramo come risorto. È la lettera agli Ebrei che ci fa capire questo modo misterioso di Dio: “Abramo pensava che Dio è capace di far risorgere anche dai morti: per questo lo riebbe anche come simbolo” (Ebr 11,17-19); simbolo di Cristo, che il Padre non ha risparmiato, ma che ha fatto risorgere per ridonarlo a noi.
Dio mette alla prova e ci fa uscire dalla prova rafforzati e cresciuti dall’esperienza del suo amore. Le prove di Dio si distinguono dalle tentazioni del demonio perché mentre queste tendono a mettere al centro noi stessi, il nostro piacere, il nostro potere, il nostro possedere, Dio mette alla prova la nostra fedeltà all’amore di Lui e dei fratelli. La cosa difficile è credere che nel momento in cui Dio sembra toglierci ciò che ci ha dato, invece ce lo vuole ridonare nel modo più pieno. Succede così nella nostra vita. Quante volte ci lamentiamo con Dio perché non comprendiamo il suo modo di fare. Poi basta continuare a credere e arriviamo a vedere che “tutto concorre al bene per quelli che amano Dio, per coloro che sono stati chiamati secondo il suo disegno” (Rm 8,28).
La liturgia ha il compito di mantenere vivo in noi questo modo che Dio ha di rendersi presente nella nostra vita, perché egli ci vuole bene più di quanto ce ne vogliamo noi stessi. In altre parole la nostra salvezza sta a cuore più a Dio che a noi. L’esperienza di Abramo, nostro padre nella fede, ce lo dimostra.
La liturgia ci aiuta a guardare la nostra vita nella luce di Dio; ci insegna a non accontentarci dell’aspetto superficiale degli eventi, ma a cercarne il senso profondo.
Volendo considerare il mio caso, arrivato a questo punto della vita, è dall’Eucaristia che sono aiutato a ringraziare.  S. Paolo a un certo punto in una sua lettera prorompe in una esortazione: “E siate riconoscenti”. Ha ragione: dobbiamo imparare a dire grazie, perché tutto è dono.
Questa Messa è per me l’occasione per dire grazie al Signore, alla Chiesa di Faenza-Modigliana, ai sacerdoti e religiosi, alle Suore e ai laici per questi dieci anni che ci sono stati donati. In questi giorni è successo che qualcuno, nella sua bontà, abbia voluto ricordare alcune cose fatte insieme. Il più delle volte per me è stata l’occasione per rendermi conto di quello che avrei dovuto fare.
Il bello di una Chiesa è vedere come le cose crescono dalla collaborazione responsabile di tutti. E la soddisfazione più bella è sapere che ciò che si compie nella Chiesa è sempre a favore di altri, per il loro bene spirituale e qualche volta anche materiale. Che nella vita ci siano delle difficoltà e dei problemi non è una novità, soprattutto quando si condivide la responsabilità di persone. Ma anche in questo caso c’è sempre da ringraziare, perché nelle situazioni più difficili c’è sempre da imparare.
Credo che la vita non basterebbe per dire grazie per tutto quello che abbiamo ricevuto. E pensare che il bello deve ancora venire, perché è nella vita risorta che si compirà ogni nostra speranza.
L’Eucaristia è ringraziamento e sacrificio, che ci conduce ad offrire ciò che abbiamo a nostra volta ricevuto. Non è che Dio abbia bisogno delle nostre cose o di noi stessi, ma questo diventa il modo concreto per noi per riconoscere di aver gradito il dono, partecipando quello che abbiamo. A Dio poi è gradito il nostro sacrificio di lode, nel riconoscere le cose belle che Lui ha fatto; ed è gradita l’offerta delle nostre fatiche e delle nostre sofferenze.
Quando una malattia ci colpisce noi vediamo subito il limite in cui ci troviamo e il deterioramento del nostro corpo. Quello è il momento in cui possiamo donare qualcosa di nostro, non perché siamo bravi, ma perché Gesù con la sofferenza ha salvato il mondo e coinvolge anche noi. C’è una frase di un sacerdote bolognese, don Giuseppe Codicè, che altre volte ho ricordato, che dice: “Di una cosa si rammaricano gli angeli: di non aver potuto offrire mai una sofferenza per il loro Signore”. Noi fintanto che siamo in vita possiamo offrire sempre qualcosa, anche se non ce ne rendiamo conto. L’importante è aver riconosciuto che tutto abbiamo ricevuto e che tutto possiamo donare.
Ringraziare, offrire e vivere il futuro. L’Eucaristia ci porta avanti; è l’anticipo qui in terra di ciò che sarà nel cielo, anche se ne è solo l’ombra e l’immagine. Nella vita non si può rimanere ancorati alla nostalgia e ai ricordi, come se non ci fosse più niente nel nostro futuro. Ci ricorda il Concilio: “Nella liturgia terrena noi partecipiamo, pregustandola, a quella celeste, che viene celebrata nella santa città di Gerusalemme, verso la quale tendiamo come pellegrini, dove Cristo siede alla destra di Dio” (SC, n. 8).
Guardare la vita senza rimpianti non è sempre facile. Spero di poter far tesoro del realismo con cui mia madre affrontava il saluto degli amici quando si trattò di lasciare Bologna per venire a Faenza. A coloro che le dicevano: “Vogliamo poi vederci ancora; in fondo Faenza è vicina ecc.” rispondeva: “Se ci vediamo ancora sono contenta, altrimenti ci vedremo in Paradiso”. Era la visione di una persona che aveva davanti a sé un futuro reale, nel quale si aspettava il compiersi della beata speranza.
Il momento che stiamo vivendo con l’avvicendamento del vescovo ci offre l’occasione per un bell’atto di fede nella Chiesa: i vescovi cambiano ma la Chiesa continua, perché è Gesù che la guida. Vi invito sinceramente ad accogliere il Vescovo Mario come l’inviato del Signore per guidarci verso il Regno. Anche questo fa parte del futuro nel quale siamo invitati a vivere, in vista dell’eternità.
La Vergine santa, Madre della Chiesa e di tutte le grazie ci accompagni e ci protegga