Cari fratelli e sorelle,
nella celebrazione dei santi Arcangeli Michele, Gabriele, Raffaele, la Chiesa spinge il nostro sguardo oltre le cose che possiamo conoscere e capire pienamente. Non solo perché abbiamo la pretesa di poter parlare di Dio, di come Egli è, di come tutte le cose visibili ed invisibili sono state create per Lui, ma anche perché possiamo affermare che Egli ha voluto rivelarsi a noi, alla nostra esperienza così piccola e limitata.
Come mi conosci? La domanda di Natanaele a Gesù è la domanda che abita il cuore di ogni uomo: come è possibile che Dio si interessi a me? Com’è che gli importa così tanto della mia vita? Come si relaziona il Signore con la nostra comunità? Su queste domande si innesta il cammino di conversione missionaria al quale siamo tutti chiamati nella solennità del Patrono san Michele.
Dio è una relazione viva d’amore, è il Bene, è la Verità, la Felicità piena che il nostro cuore desidera anche quando prendiamo decisioni sbagliate. Lui ci conosce, ci ama e ci chiama ad una vita piena.
A noi, che lo abbiamo incontrato nella nostra vita, che lo riconosciamo mentre spezza il suo Corpo e versa il suo Sangue nell’Eucaristia, è chiesto di rispondere al suo amore.
Ogni esperienza ecclesiale, ogni orientamento pratico, la stessa fede della Chiesa se non è alimentata e non sgorga dall’incontro vivo con Cristo, con il suo Amore, diviene una pratica stancante, che non suscita il dono gioioso di noi stessi a Lui. L’insegnamento del Vangelo potrebbe essere percepito come un freddo precetto che non fa fiorire la vita, ma la vuole ingabbiare.
Seguire il Signore, invece, vuol dire aprirsi alla vita nella sua pienezza, lasciandosi provocare dalla sfida del dono di sé per gli altri: è così che Gesù Cristo, suscitando in noi il desiderio di farci dono a Lui e al prossimo, si pone come il promotore e il garante della nostra libertà e della nostra felicità.
Dalla centralità del nostro incontro con il Redentore scaturiscono alcuni compiti irrinunciabili che, come battezzati, siamo chiamati a raggiungere insieme.
Dal fatto che per la comunità, come per ciascuno di noi, vivere è accogliere Cristo, celebrarlo e annunciarlo ecco alcuni orientamenti, che abbiamo considerato insieme durante la Visita pastorale di questi giorni, nel contesto di un nuovo scenario per la Chiesa che vive in questa vallata.
Accompagnamento dei giovani
Non dobbiamo avere paura di spendere le energie pastorali per l’accompagnamento costante e paziente dei giovani, che in questi anni sono rimasti senza cure sufficienti, favorendo il loro abbandono. Vanno affiancati, presi per mano, accompagnati nello sperimentare una vita comunitaria e parrocchiale ove ci si ama, ci si aiuta a fare di Cristo il centro della propria esistenza, a provare il piacere spirituale di essere popolo, famiglia di Dio. La preghiera, l’ascolto della Scrittura, l’adorazione, i ritiri, le molteplici iniziative formative debbono portarli più esplicitamente all’incontro con il Signore, non tanto alla partecipazione del singolo evento. I vari momenti a cui partecipano i giovani debbono, allora, essere pensati e organizzati in modo che conducano i giovani non solo a conoscere ma soprattutto ad amare il Signore, a donarsi a Lui, alla Chiesa! Cristo deve essere riconosciuto come Colui che è più intimo a loro di quanto non lo siano a loro stessi. È tutta la comunità che li evangelizza e li educa. Come è bello che i giovani siano felici di portare Gesù in ogni strada, in ogni piazza, in ogni angolo della terra, in particolare ai loro coetanei, che si sono allontanati da Cristo.
I vari percorsi vocazionali vanno, pertanto, pensati e predisposti affinché nel cuore dei giovani fiorisca il desiderio di donarsi al Signore nella vita matrimoniale, nella vita religiosa, nella vocazione al sacerdozio, nella vita associativa, professionale, nel servizio al bene comune, con lo Spirito d’amore di Cristo Gesù. Nel nostro territorio abbiamo sperimentato, anche in occasione della terza alluvione, lo spettacolo dei giovani definiti «angeli del fango». Il loro slancio nell’essere solidali va lodato ma anche incoraggiato ad essere atteggiamento stabile nel tempo, un habitus che giunge ad illuminare costantemente il loro volto. Così, vanno incoraggiati a non anteporre nulla a Cristo: Egli va posto al centro della propria vita per portarlo nel cuore del mondo. I giovani vanno sollecitati a guardare al futuro con speranza, a non lasciarsi intrappolare da una cultura che fa perdere il desiderio di trasmettere la vita.
La vita è un dono meraviglioso che va vissuto con generosità e responsabilità, non come un mero consumo egoistico.
Una parrocchia viva
Non posso che riconoscere che l’Unità pastorale di Brisighella sta mostrando nuovi germogli, una vitalità più evidente, frutto dell’impegno delle molteplici componenti, che peraltro sono chiamate a superare la frammentarietà tramite l’ascolto e il dialogo. Sono contento del lavoro dei catechisti, del loro impegno a trovare un’articolazione per l’educazione alla fede nel raccordo delle comunità dell’Unità pastorale. La Caritas «Madonna del Monticino» costituisce una realtà viva, che ha compreso come il suo futuro e la sua crescita dipendono dalla collaborazione con le varie istituzioni e il terzo settore, dall’essere sempre espressione di tutte le comunità ecclesiali.
Non bisogna, però, fermarsi. La crescita comunitaria dipende da una perdurante formazione a tutti i livelli, dal coinvolgimento delle varie competenze esistenti. Lo stile sinodale è il segreto di una felice riuscita, data dal concorso di più fattori: il dialogo vicendevole, l’ascolto dello Spirito, il discernimento di scelte concrete, in ordine all’annuncio e alla missione.
Depaupera e indebolisce la comunità una vita di fede statica, che ripete la tradizione senza il confronto con le nuove sfide e le diverse situazioni socioculturali. Non bisogna ignorare che non c’è più nella società odierna una mentalità religiosa diffusa come un tempo, anzi, si scorgono dovunque segnali chiari di un certo analfabetismo religioso.
Un simile fenomeno ci interroga e ci provoca, tra l’altro, a superare un’idea di parrocchia ripiegata e centrata su sé stessa o solo sul parroco. Abbiamo bisogno di comunità non introverse, ma estroverse, vitali, capaci di articolare una corresponsabilità reale, concreta. Abbiamo bisogno di persone generose che sappiano superare sterili campanilismi, visioni troppo clericali della parrocchia, per riconoscere che tutti fanno parte della stessa Chiesa. La comunità cristiana e le varie componenti non possono pensare solo a sé stesse, in questa maniera: “finché stiamo bene noi, siamo a posto”. Occorre sentirsi provocati dal fatto che, se il nostro prossimo non sta bene, anche noi non possiamo stare bene. Se la cultura cristiana è disprezzata e considerata antiquata occorre mostrarne la vitalità. Occorre rendere ragione della nostra speranza
Basti pensare anche solo alla questione dei migranti, molte volte appartenenti ad un’altra religione: non è difficile comprendere che non è in sintonia con la dignità delle persone lo sviluppare relazioni solo in termini di “tolleranza”. Occorre, piuttosto, aprirsi ad un’accoglienza sincera, cordiale, fraterna, come aveva già mostrato di fare Mons. Elvio Chiari. Solo rispettando le diverse identità, conoscendoci l’un l’altro, mediante un franco dialogo, è possibile crescere insieme e lavorare concordemente per il bene comune.
Per la ricchezza della comunità cristiana, per la sua efficacia missionaria, è necessario che siano coltivati i ministeri laicali. Essi rendono meno clericale la comunità ecclesiale. Diventano di fatto un’opportunità a conoscere e ad annunciare meglio Gesù Cristo e il suo Vangelo. La Visita pastorale vi invita, allora, a camminare verso ad una ministerialità più visibile, istituita anche per aiutare il parroco nel suo servizio più proprio.
Corresponsabilità
Come ho ripetuto a Marradi, nell’attuale situazione storica i parroci sono chiamati ad avere una prospettiva più ampia, devono avere presente il contesto delle Unità pastorali, dove non è pensabile che il parroco possa seguire ogni iniziativa personalmente. Il parroco dovrà sostenere e alimentare la collaborazione delle tante persone che si impegnano perché in questa terra non manchi l’annuncio del Vangelo, la celebrazione dei Sacramenti e la carità verso gli scartati dalla società.
Solo in questa prospettiva la comunità saprà rispondere in maniera più pertinente ai bisogni degli ultimi, dei poveri, degli anziani, dei malati, di quelli che abitano lontani dal centro del paese. Siamo chiamati ad avere uno sguardo diverso verso le periferie del nostro territorio.
Il Signore vi benedica e vi doni la sua misericordia e la sua consolazione.
+ Mario Toso