Fratelli e sorelle,
le letture di questa domenica ci aiutano ad entrare profondamente nella celebrazione dell’Eucaristia, che è memoriale dell’incarnazione, morte e risurrezione del Signore Gesù. Molte volte veniamo a Messa aspettandoci di ricevere dal parroco o da chi presiede un commento al Vangelo, una parola da portarci a casa, ma trascuriamo che è Cristo stesso che ci parla. Quando rispondiamo e diciamo «Gloria a te, o Signore», «Lode a te, o Cristo», ci rivolgiamo a Cristo che ci parla e gli diamo del «tu», riconosciamo la sua voce, che non è una voce semplicemente umana, quella del lettore, del sacerdote o del diacono, ma la sua.
Il Signore non è venuto primariamente per darci una regola di vita morale, ma per amarci, per salvarci, per renderci uomini e donne felici, liberi, nuovi, missionari. Il suo amore è l’elemento originante di ogni vita nuova, fraterna, di ogni vita secondo lo Spirito.
Siamo, dunque, qui convocati come comunità, come un “noi di persone e di famiglie”, perché Gesù Cristo per primo (1 Gv 4,19) ci ama (Gv 3,16), ci desidera (Lc 22,15), ci colma di ogni bene (Sal 144,16), ci dona la sua pace (Gv 14,27), sé stesso. Lui, come ha chiesto ai suoi discepoli, ci domanda: «Ma voi, chi dite che io sia»? Domandiamoci, pertanto, chi è Cristo per noi. È il cuore della nostra comunità, è il centro della nostra vita quotidiana?
Il brano del Vangelo di oggi è fondamentale per dirci chi è Gesù per noi e per insegnarci che la nostra missione nel mondo non può realizzarsi senza la Croce, senza viverne il senso profondo. Come avete udito, Gesù camminava con i suoi discepoli e li interrogava su quello che la gente diceva su di Lui, su chi fosse. Ma subito dopo pone a loro la domanda: «E, voi, chi dite che io sia?». Pietro gli rispose: «Tu sei il Cristo». Dopo di che Gesù ordinò di non parlare di lui ad alcuno. E cominciò a insegnare a loro che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto, ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere. A questo punto Pietro prendendo in disparte Gesù cominciò a rimproverarlo. Ma, a sua volta, Gesù guardando i suoi discepoli, rimproverò duramente Pietro e gli disse: «Va’ dietro a me, Satana. Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini» (Mc 8,33). A Pietro che voleva togliere la croce alla missione di Gesù, il Signore stesso arrivò a dirgli che era Satana, nemico di Dio, del suo esigente progetto d’amore. Il Messia poteva redimere l’umanità, cambiarle il cuore, attraverso la sofferenza, abbracciando la croce. Ugualmente i suoi discepoli possono cambiare sé stessi, il mondo, salendo sulla croce, vivendo con Cristo crocifisso, ossia unendosi al dono totale della sua vita, alla sua lotta contro il male e la violenza sino a morire, per vincere il peccato, per far trionfare una umanità in pena comunione col Padre e con sé stessa.
Cari fratelli e sorelle, cari cresimandi e cresimande, la via della croce è una via che presuppone una grande passione d’amore per Dio e per l’umanità. È senz’altro via di rinuncia, di lotta, ma soprattutto via che richiede una vita attivissima nella donazione di sé, nel perdono, nell’impegno a liberare l’umanità dalle lotte fratricide, dalla violenza e dalle guerre, affinché si affermi la pace vera, la giustizia, la fraternità, la custodia e lo sviluppo del creato in Dio, la corresponsabilità di tutti nel bene comune.
Cristo salendo sulla croce ci dona la sua vita, ci dà sé stesso e ci invita a fare altrettanto: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi sé stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà».
La croce non è, dunque, il luogo del fallimento, bensì l’albero della vita, la via che conduce al trionfo di Cristo risorto. Ieri, non a caso, la Chiesa ha celebrato la festa della Esaltazione della santa Croce. Il cristiano, sopportando come Gesù le ingiurie, le avversità e le sofferenze della vita viene crocifisso con Cristo e partecipa alla gloria del Risorto. Nel legno della croce, Dio ha stabilito la salvezza dell’umanità, perché da dove sorgeva la morte di là risorgesse la vita.
Cari ragazzi e ragazze, fra poco riceverete il dono dello Spirito. Riceverete la sua stessa vita d’amore, il suo profumo. Vi segnerò proprio con il segno della croce. Essa è il luogo da cui il Signore Gesù, esalando il suo Spirito, ha effuso sul mondo il suo Amore: quell’Amore che rende fratelli, discepoli e unifica tutte le genti in un’unica famiglia, superando le inimicizie tra i popoli. Lo Spirito Santo ci rende discepoli ardenti di amore per Gesù. Ci insegna a rivolgerci al Padre dandogli del «tu», a chiamarlo «Papà», «Abbà».
Ci incoraggia a non avere paura nel donarci. Oggi tutti ci insegnano che la gioia sta nell’auto-realizzazione a ogni costo, nella conquista di grandi traguardi, nel possesso di tanti beni, nel successo.
Il Signore, invece, ci insegna che la vera gioia è quando siamo disposti, per amore, a perdonare, ad accettare la nostra fragilità e le nostre debolezze, nella certezza che Egli è la nostra forza e in Lui nulla è perduto (Gv 6,12). Cari ragazzi e ragazze, ancora una volta il Signore, con il dono del suo Spirito, vi dice che vi ama infinitamente. Abbiate fede in ciò che non potete vedere ed è seminato nel profondo del vostro cuore e da lì ispira e sollecita ad andare per le vie del mondo. Pregate e adorate per davvero lo Spirito che abita in voi, ogni giorno.
Due giorni fa ho avuto la gioia di visitare la sede della Misericordia, Confraternita di Marradi. Ho notato la presenza del gonfalone che porta ricamato il motto Concordes in Charitate: concordi nella Carità. Ossia tutti i componenti, nella varietà delle loro professionalità, sono chiamati a vivere uniti nell’amore di Cristo, servendo i malati. Non c’è, forse, un motto più eloquente e attuale sia per la Misericordia sia per la Parrocchia, sia per l’Unità pastorale. Non solo uniti, dunque, socialmente, giuridicamente, pastoralmente, ma vitalmente concordi e attivi nell’Amore di Cristo. Siatene annunciatori gioiosi, testimoni luminosi. Nella nuova situazione delle parrocchie della vostra Unità pastorale, ove si ha un progressivo impoverimento demografico e la diminuzione dei presbiteri, diventa evidente che il modello di parrocchia autosufficiente, con il parroco stabilmente presente in ognuna non è più possibile. È necessario che le varie comunità parrocchiali si integrino nelle varie attività pastorali e investano nei gruppi ministeriali, esperienza ecclesiale già varata da qualche tempo nella nostra Diocesi. Una tale forma di chiesa implica che si cresca nella corresponsabilità, a cui i laici e le laiche vengono sollecitati mediante graduale preparazione e coinvolgimento. Soprattutto non può mancare l’amore reciproco, la stima vicendevole. Vi ringrazio per la fraterna accoglienza. Dio vi benedica.
+ Mario Toso